Un tempo, quando (il più delle volte) prendevo i miei pasti in solitudine, lo facevo però in compagnia dei miei autori, alternando bocconi e sorsi con le parole dei loro libri più amati.
Poi l’età fra altre cose mi recò in dono la presbiopia e dovetti porre termine a quella buona consuetudine; seguendo i cattivi consigli di pur ben intenzionati consiglieri acquistai un televisore e presi ad accompagnare i miei cibi con le notizie dal mondo.
Così, giorni fa, mi è capitato di udire e vedere, in rapida sequenza, di manifestazioni sacrosante e con ogni probabilità vane contro la vivisezione; di polli non più portati in tavola, ma ridotti in polpette e venduti in cartocci negli stadi, durante partite a mezzodì della domenica; di una giovane morta tenuta in vita artificiosa per farle dare alla luce la piccola di cui era incinta, affinché il marito possa tornare nella sua terra portando agli altri figli la nuova sorellina, cui s’imporrà il nome della madre finalmente lasciata al suo riposo; e del leader in difficoltà che tenta una facile mozione degli affetti parlando dei “nostri ragazzi in Afghanistan” colpiti in vili attentati.
Sono vegetariano, eppure a quelle immagini e frasi mi è salito violentemente in gola un ripugnante frullato di carne e sangue. Ogni carne e ogni sangue, di animale e di uomo, del primo o terzo mondo, sono oramai buoni soltanto come ingredienti per questo frullato. E peggio per chi non se ne accorge, per quanto possa digerire e dormire meglio.
Unica cura, anche se a questo punto solo palliativa: pane e acqua, vegetali e vino accompagnati da letture e musiche, che facciano riflettere ma non abbrutiscano, ascoltate in religioso silenzio.