Come aprii la porta, al leggero rumore si volse e cominciò a parlare: “Eccoti a giocare coi treni, le centrali e le dighe. E non ti accontenti di terre e di acque, ma ti arrampichi sopra le nubi e da lì minacci con la tua riserva di fulmini che credi infinita. Al di sopra non guardi, per non sentirti schiacciato. Bestie che siete, bestie senza la semplicità di quelle vere, tu e quelli come te, che usate il pollice opponibile per costruire macchine e il collo capace di levarsi in alto per prendere distanze e fare calcoli; invece di spianare i monti col pensiero, di camminare sulle acque, di volare allargando le braccia”.
Aveva parlato lento e a fatica, eppure fu come se fossi stato travolto dalla piena di un Nilo. Così gli risposi: “Grazie. Queste sono le parole che gli adulatori, quelli che rilevano i debiti e poi ne presentano il conto, mi hanno sempre negato. Grazie di cuore. Ti prego, non hai altro da dirmi?”.
“No. Ti ho già detto abbastanza. Nella tua testa c’è tutto, anche ciò che non osi ricordare. Tutti i volti che hai incontrato, e che ti accompagnano come una persecuzione o una condanna, il giorno in cui ti venissero meno saresti più solo, solo davvero; ti mancherebbero, e li rimpiangeresti. Perché sei quello che hai rifiutato, che hai scartato, lo sai.”
“Sì, lo so. Le tue parole hanno acceso luci che erano già presenti in me, che già erano mie. Grazie ancora. Ma prima di lasciarti mi posso sdebitare in qualche modo?”
“Mettimi un poco più comodo e poi vattene. È quasi l’ora del tè coi biscotti e devo assolutamente prepararmi.”
Lo tirai su e gli sistemai il cuscino dietro le reni. Era un vecchio in tuta con sopra una veste da camera piena di pillacchere e ciabatte di feltro, seduto non troppo composto su una sedia a rotelle. Un vecchio e un vinto, come tanti vecchi. Avrei voluto rimanere con lui, dirgli e riceverne altre parole, ma lui già mi mi aveva lasciato, e i suoi occhi chiusi sembravano fissare un punto ben oltre il muro grigio della stanza.
Era un vecchio e un vinto e la sua mente, malgrado il tono reciso che a volte riusciva ancora a tirar fuori, di certo vacillava. Perché allora, tornando fra mulini, ponti e scale, ero così turbato e vergognoso, e mi pareva di allontanarmi da un’acqua di cui non avrei più bevuto l’eguale?