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Pro/vocazioni. Dieci domande a scrittori e poeti italiani. # 13 ALESSANDRO ZACCURI

Creato il 07 settembre 2010 da Fabry2010

Pro/vocazioni. Dieci domande a scrittori e poeti italiani. # 13 ALESSANDRO ZACCURI

A cura di Franz Krauspenhaar

Dieci domande secche (o delle 100 pistole) a scrittori e poeti italiani. Sempre le stesse domande per tutti, non si scappa. Scrittori e poeti giovani e meno giovani, famosi e poco conosciuti. Domande provocatorie (forse) sulla vocazione letteraria. Uno spaccato, un ritratto, un modo di vederci più chiaro, uno spunto per approfondire una conoscenza. Uomini e donne che fanno della loro vita un romanzo non solo da continuare a vivere ma anche da continuare a scrivere. O sotto altre forme della scrittura, come la poesia. Un modo per essere al mondo ed esprimere non solo se stessi ma proprio questo mondo che noi siamo e allo stesso tempo ci contiene.

Sei uno scrittore. Chi te lo fa fare?

Nessuno. È il mio modo di guardare il mondo, niente di più. E scrivere, secondo me, è quello che mi riesce meglio. Per molto tempo ho cercato di far finta di niente, occupandomi di letteratura come critico. Ho pubblicato il mio primo libro di narrativa nell’anno in cui compivo i quaranta. Mi sarei anche fermato lì, al regalo per la raggiunta mezza età. Invece è andata diversamente. Non me ne rammarico.

Amori e odi letterari. Per favore alla voce odi non citare solo gente defunta.

Vale se dico che detesto Dan Brown? Pessime trame, stile inesistente e, oltretutto, ha rovinato almeno un paio di argomenti che, in mano ad altri autori, si sarebbero trasformati in romanzi interessanti. Quanto agli amori, ho una predilezione per alcuni grandi autori, Herman Melville e T.S. Eliot su tutti. Da qualche tempo, però, mi sto appassionando a una serie di “maestri minori”: scrittori poco o non abbastanza conosciuti, nei quali in qualche modo riconosco qualcosa di quello che sto cercando di fare. Qualche nome, distribuito grosso modo per ambito di appartenenza: Friedrich Glauser per la detective story, Nikolaj Leskov per l’Ottocento russo, Stefano D’Arrigo per il nostro Novecento, Mervyn Peake per il fantastico, E.L. Doctorow per la letteratura americana contemporanea. Più qualche scoperta recentissima, tutta da approfondire, come quella dei francofoni Jacques Chessex e Béatrix Beck.

Certo che vale detestare Dan Brown… Quanto pensi di valere? Per favore rispondi non in scala da 1 a 10 ma con un discorso articolato.

Il banco dei valori letterari è saltato da tempo, non mi pare esistano più (ammesso che mai siano esistite) scale condivise su cui misurarsi. Se il criterio fosse il “genere”, sarei un pessimo autore di genere, perché, pur avendo una certa conoscenza delle regole da rispettare, mi viene sempre da contraddirle. Continuo a coltivare l’idea di letteratura come organismo complesso, che non sia assimilabile tout court all’industria dell’intrattenimento. In questa prospettiva, nella prospettiva cioè di una letteratura “letteraria”, rivendico una mia eccentrica ragion d’essere. Come ne La cifra nel tappeto di Henry James, i romanzi e i saggi che scrivo sono legati tra loro da una sotterranea, quasi segreta continuità. Non mi dispiacerebbe che, prima o poi, qualcuno se ne accorgesse. Guadagnerei qualche punto, immagino.

Che cosa pensi dell’amore? (Rispondi a parole tue)

Dell’amore non si pensa niente. L’amore, se va bene, si vive. Sbagliando, sentendosi inadeguati, meravigliandosi. Di solito, non trovando le parole.

Pensi che Dio è ancora “materiale letterario”?

Dio è, da sempre, l’unico vero soggetto della letteratura. Lo è per chi crede, come me, e lo è a maggior ragione per chi non crede. Il dramma della letteratura contemporanea sta nell’aver dimenticato questa origine, che è evidentissima, per esempio, nell’opera di Shakespeare.

Sei invidioso?

Sì, di chi può vivere del suo lavoro di scrittore. Il che contribuisce, tra l’altro, a spiegare l’antipatia per Dan Brown.

Preferisci una notte d’amore stupenda con il partner ideale o una maxirecensione di D’Orrico?

La notte d’amore, non c’è dubbio. L’ottimo D’Orrico, poi, finisce che cambia idea, mentre dopo oltre vent’anni di matrimonio mia moglie non si è ancora pentita.

Che cosa pensi del Nobel della Letteratura a Bob Dylan? Sei favorevole o contrario?

Moderatamente favorevole. Sono stato, invece, molto contrario al Nobel a Dario Fo, e non per motivi ideologici. La letteratura per me è anche compiutezza della forma. Blowin’ In The Wind mi sembra più compiuta di Mistero Buffo. Nel senso che la prima è una bella canzone, chiunque la canti, mentre per rendere memorabile il grammelot ci vuole Fo in persona. Ma magari mi sbaglio.

Da un punto di vista estetico ti sembra giusto che lo Strega l’abbia vinto Pennacchi e non l’Avallone?

Canale Mussolini è un romanzo più strutturato e stilisticamente più maturo rispetto ad Acciaio, che pure è un esordio notevole. Silvia Avallone avrà tempo e modo di rifarsi, Antonio Pennacchi ha lavorato molto, in modo silenzioso, rivelando insospettate qualità epiche in un frammento di storia della provincia italiana. Credo che sì, il verdetto sia giusto.

Progetti per il futuro?

Nell’immediato, una novella sui libri da pubblicare in e-book, un romanzo sul tema del miracolo e la curatela delle opere di Elio Fiore, un poeta romano di cui sono stato molto amico.

Alessandro Zaccuri è nato a La Spezia nel 1963. Vive a Milano con la moglie e i tre figli. Lavora come giornalista per “Avvenire” e come conduttore per Tv2000. Ha esordito con il saggio Citazioni pericolose (Fazi, 2000), passando alla narrativa con il reportage Milano, la città di nessuno (L’Ancora del Mediterraneo, 2003, premio Biella Letteratura e Industria), al quale hanno fatto seguito i romanzi Il signor figlio (Mondadori, 2007, finalista al premio Campiello) e Infinita notte (Mondadori, 2009). Ha inoltre pubblicato i pamphlet Il futuro a vapore (Medusa, 2004) e In terra sconsacrata (Bompiani, 2008). Appartiene alla redazione di Lpels, ma la sua presenza in rete è purtroppo discontinua e saltuaria.



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