Pro/vocazioni. Dieci domande a scrittori e poeti italiani. 17# CRISTINA ANNINO

Creato il 24 febbraio 2011 da Fabry2010

A cura di Franz Krauspenhaar

Dieci domande secche (o delle 100 pistole) a scrittori e poeti italiani. Sempre le stesse domande per tutti, non si scappa. Scrittori e poeti giovani e meno giovani, famosi e poco conosciuti. Domande provocatorie (forse) sulla vocazione letteraria. Uno spaccato, un ritratto, un modo di vederci più chiaro, uno spunto per approfondire una conoscenza. Uomini e donne che fanno della loro vita un romanzo non solo da continuare a vivere ma anche da continuare a scrivere. O sotto altre forme della scrittura, come la poesia. Un modo per essere al mondo ed esprimere non solo se stessi ma proprio questo mondo che noi siamo e allo stesso tempo ci contiene.

Sei uno scrittore. Chi te lo fa fare?

Dal mio punto di vista di poeta, io penso che la scrittura  non si fa, ma si è, e per questo  si continui a scrivere. Così come ritengo che non ci sia differenza se non formale,  tra poeti che producono libri e poeti che, per ipotesi o a un certo punto della loro vita, si trovino a svolgere una professione lontana da quella letteraria. Ugualmente poeti rimangono. Perché il punto d’origine di entrambi è l’essere in un certo modo e non in un altro. Personalmente ho provato ambedue le situazioni; sono cioè ritornata alla scrittura dopo alcune interruzioni volontarie. Ma posso dire che ho vissuto quei mutamenti biografici  con identica idea di me e del mondo,  con quella forma di pensiero cioè che sta al cervello come una ruota sta alle altre, nel mandare avanti un veicolo. E’ impensabile che le ruote abbiano velocità diverse, qualunque strada si percorra. Mi sento anche di aggiungere che, a un cero grado di forza di tale coscienza, scrivere o meno diventa paradossalmente secondario: la vocazione (perché di questo si tratta) divora ogni stato esistenziale, ha un alto valore mimetico e non è assolutamente bigotta. Nel senso che sopravvive ad ogni condizione apparente.

Amori e odi letterari. Per favore alla voce odi non citare solo gente defunta.

I grandi amori, quelli ai quali più o meno devo il mio modo di “qualificare” la letteratura e  qualche aspetto della vita, sono narratori ovviamente non più viventi, Richard Wright, H.Miller,  Doblin,  Hamsun;  li rileggo spesso. Per la poesia, un grandissimo poeta peruviano sul quale feci la tesi di laurea, Cesar Vallejo e che da allora non ho più “sfogliato”. Tra i poeti contemporanei: Elio Pagliarani, poi, i più giovani Stefano Gulielmin, Roberto Bertoldo, Nadia Agustoni. Di questi ultimi ammiro anche la prosa e la saggistica, come pure quella di Marco Ercolani.  Tra i narratori preferisco Walter Siti, di cui do per scontata l’importanza critica e Franz Krauspenhaar che a mio giudizio ha anche una  forza poetica molto interessante.

Odio per un autore, bah, sarebbe addirittura auto lesivo, preferisco ammettere che provo avversione nei confronti di chi scrive senza un minimo di passione, per chi non genera qualche sorpresa e per tutti quelli che, privi di una propria originalità ma forniti invece di tanta ambizione, succhiano silenziosamente dalle radici di qualche albero maestro.

Quanto pensi di valere? Per favore rispondi non in scala da 1 a 10 ma con un discorso articolato.

Quanto pensi di valere io è purtroppo irrilevante, non è l’autostima che mi manca, né consensi importanti. Ma anche questi non bastano; credo che, attualmente, non basti nulla a stabilizzare il valore di un poeta. Stranamente questo mondo senza mercato (che vivaddio, anche se minimo costituirebbe un primo grado di discriminazione)  fluttua però  come altri universi artistici (quello dell’arte figurativa, ma anche quello della narrativa cui si chiede una precisa risposta economica) senza però giustificare tali mutazioni in valore reale. Con l’esito allora, che non esistendo un vera e propria normativa della poesia, stabilita -come si fa del resto in altri paesi- da un adeguato mercato ripeto, non è sancibile nemmeno un qualsiasi parametro di qualità.

Cosa pensi dell’amore? (Rispondi a parole tue)

Definizione spinosa, piena di ossimori. In una tua precedente intervista di molto tempo fa risposi che l’amore autentico è per me la più grande protesi del mondo. Di qualunque grande amore si tratti.   Più si ama più si diventa felicemente artificiali. Con ciò ritengo che l’amore, se importante, costituisca uno stato di grazia, e che questa tolga inevitabilmente pezzetti di identità profonda e di sincerità.

Pensi che Dio, che tu ci creda o no, è ancora “materiale letterario”?

Certamente. Da che mondo è mondo, e lo sarà sempre.

Sei invidiosa?

Ci sono tanti tipi di invidia, come ce ne sono di magia, superstizione, ecc. Se immaginiamo di sovrapporre un certo tipo di invidia alla magia bianca (discorso assurdo ma limitatamente suggestivo) direi che non la stigmatizzerei affatto. La riterrei anzi il più palindromo tra i sentimenti umani, nel senso che, se ben gestita potrebbe diventare, paradossalmente, una notevole autodisciplina. Sarebbe insomma  una “doppia coscienza” la quale, riuscisse a immettere tutti i suoi effetti collaterali nei canali giusti, sorvegliandoli o altro, potrebbe arrivare in teoria a una  ri-codificazione  più originale del senso collettivo. Io comunque non credendo a nessun tipo di magia, e non essendo superstiziosa, penso che non riuscirei mai ad invidiare qualcuno.

Preferisci una notte d’amore stupenda con il partner ideale o una maxirecensione di D’Orrico?

Dunque: se avessi il partner ideale, avrei garantite tante notti stupende, se non ce l’avessi, nessun uomo potrei considerarlo ideale solo per una notte stupenda. In ogni caso, se D’Orrico decidesse di scrivere spontaneamente una maxirecensione sul mio lavoro, ecco, questo sarebbe stupendo.

Cosa pensi del Nobel della Letteratura a Bob Dylan? Sei favorevole o contrario?

Ho sempre amato le canzoni di Bob Dylan e, francamente non sarei sorpresa né dispiaciuta gli conferissero il Nobel. Ormai, anche a tale livello (svedese), un premio vale l’altro.

Da un punto di vista estetico ti sembra giusto che lo Strega l’abbia vinto Pennacchi e non l’Avallone?

Non posso esprimermi non avendo letto nessuno dei due libri.

Progetti per il futuro?

Me ne auguro tanti e ottimi. 

Cristina Annino è nata ad Arezzo, vive e lavora a Roma.  Scrive già nella prima infanzia e possiamo dire, anche allora, in maniera “pubblica”. Si laurea in Lettere moderne a Firenze dove svolge un breve assistentato.

Non me lo dire, non posso crederci, Téchne, Firenze, 1969

Ritratto di un amico paziente, Gabrieli, Roma, 1977

Boiter (romanzo), Forum quinta generazione, Forlì, 1979

Il Cane dei Miracoli, Bastogi, Foggia, 1980

La casa del Loco, Ediciones Libertarias, Madrid, 1980

L’Udito Cronico, in Nuovi Poeti Italiani, Einaudi, 1984

Madrid, Corpo 10, Milano, 1987, vincitore del premio Russo-Pozzale nel 1988

Gemello Carnivoro, Faenza, 2002

Macrolotto, (in collaborazione col pittore Ronaldo Fiesoli), Edizione Canopo, Prato, 2002

Casa d’Aquila, Levante editori, Bari, 2008

Magnificat, Puntoacapo Editrice, 2009, vincitore ex-equo del premio Aldo Montano 2010.ncora inedito il libro Una magnifica giovinezza terminato nei primi anni 80, del quale molti racconti sono stati pubblicati in varie riviste.

Da alcuni anni si dedica attivamente anche alla pittura.



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