Pro/vocazioni. Dieci domande a scrittori e poeti italiani. 6 # RICCARDO FERRAZZI

Creato il 10 agosto 2010 da Fabry2010

a cura di Franz Krauspenhaar

Dieci domande secche (o delle 100 pistole) a scrittori e poeti italiani. Sempre le stesse domande per tutti, non si scappa. Scrittori e poeti giovani e meno giovani, famosi e poco conosciuti. Domande provocatorie (forse) sulla vocazione letteraria. Uno spaccato, un ritratto, un modo di vederci più chiaro, uno spunto per approfondire una conoscenza. Uomini e donne che fanno della loro vita un romanzo non solo da continuare a vivere ma anche da continuare a scrivere. O sotto altre forme della scrittura, come la poesia. Un modo per essere al mondo ed esprimere non solo se stessi ma proprio questo mondo che noi siamo e allo stesso tempo ci contiene.

Sei uno scrittore. Chi te lo fa fare?

Omammamia! Mi tocca raccontarti la storia della mia vita! Fino a quarantacinque anni ho fatto il bravo ragazzo che lavorava e si ulcerava le pareti dello stomaco per la carriera; poi è successo qualcosa (tu sai che cosa) e, guardandomi allo specchio, mi sono detto: ma sai che della carriera non me ne frega un accidente? Ed è stato poco piacevole rendersi conto di aver passato la parte migliore della vita a rincorrere un falso scopo.

Beh, cosa puoi fare quando senti sotto i piedi la botola che si apre? Frughi nel passato per cercare di aggrapparti a una passione sincera colpevolmente messa da parte. E così ho fatto. Sono andato in cerca delle cose che avevo, un po’ troppo frettolosamente, mandato in soffitta. Appena ho aperto la porta del solaio mi è venuta incontro la scrittura.

Oggi per me non c’è niente di più gratificante che imbattermi in uno spunto, lasciare che mi intrida fino a cambiare la percezione della vita, e lavorarci sopra fino a sviluppare una storia. Mi piace, mi fa sentire vivo, mi dà (immagino) lo stesso piacere che provavano gli scultori di una volta (quelli che lavoravano il marmo con martello e scalpello), in tutte le fasi della lavorazione, dall’invenzione fino al limae labor et mora.

Produco relativamente poco proprio perché continuo a lavorare sui miei testi per anni, e probabilmente non lo faccio perché ne abbiano bisogno, ma perché mi piace, perché in quel momento non ho altri spunti, o perché mi sento in the mood per la revisione piuttosto che per la creazione.

Amori e odi letterari. Per favore alla voce odi non citare solo gente defunta.

Per me è difficilissimo evitare i defunti. Il primo di tutti i miei amori è Eschilo. Il secondo è Dante. Il terzo è Shakespeare. Capisci bene che, prima di arrivare arrivare ai giorni nostri, la strada è lunga. Se vuoi qualcosa di più vicino a noi, ti cito Hemingway. Proprio in questi giorni ho riletto “Fiesta!” e ho preso nota di quanto Hemingway ha ricavato dall”Ulisse” di Joyce, nel bene e nel male.

Se vuoi dei nomi di italiani, ti cito Piero Chiara e Giuseppe Pontiggia. Magari ti meraviglierai perché non cito Gadda. Il fatto è che credo nella cosiddetta “ricerca sul linguaggio” solo quando è ricerca della forma per raccontare qualcosa di vero; quando è fine a se stessa diventa stucchevole. In questo senso “La cognizione del dolore” è un grande libro, mentre nel “Pasticciaccio” e negli altri scritti gaddiani non riesco a togliermi il sospetto che la voglia di parodiare d’Annunzio abbia prevalso su tutto.

Il capitolo odii in realtà è vuoto: odiare è una perdita di tempo. Semmai posso indicare scrittori che considero sopravvalutati. Secondo me McCarthy (anche se è molto discontinuo) vale tre volte più di Roth e Pynchon vale almeno il doppio di De Lillo. In Italia non saprei: forse sono io che vivo fuori dal mondo ma non riesco ad appassionarmi alle tematiche correnti. A esser sincero, non capisco neanche quali siano, a parte la solita, eterna, autoreferenziale “ricerca sul linguaggio”. Per esempio, sono stufo di Camilleri, delle sue macchiette nivure e nirbuse che si scantano, si susono e dicono nonsi.

Quanto pensi di valere? Per favore rispondi non in scala da 1 a 10 ma con un discorso articolato.

Giuro: non ne ho la più pallida idea.

Fammi prendere il discorso alla larga. Io mi sono fatto l’idea che la forma-romanzo abbia perso la sua modalità originaria di tragedia borghese e mantenga un senso solo come introduzione a un mistero. Se questo è vero, le residue modalità disponibili sono soltanto il giallo (con  la sua variante noir) e il viaggio iniziatico/bildungsroman. Ma anche i gialli e i romanzi di formazione dovrebbero dire qualcosa di più che “il colpevole è il maggiordomo” oppure “il protagonista, fattosi uomo, sposò la figlia del visconte di LaPatonne”. Di romanzi così abbiamo fatto indigestione. Io cerco di forzare la gabbia del giallo e della bildung per portare alla luce temi più profondi: la morte, il senso della vita, i limiti della verità.

Dunque, quanto penso di valere? Non lo so. Dipende. Il mio programma è valido? L’ho svolto in modo da renderlo interessante anche per i lettori? Se sì, allora valgo molto. Se no, no.

Cosa pensi dell’amore? (Rispondi a parole tue)

A quindici anni è un mistero appassionante. A trenta è bulimia sessuale. A quarantacinque è fretta di ricuperare tutto ciò che si crede di aver trascurato. A sessanta è rimpianto, rassegnazione, voglia di tenerezza. A settantacinque non lo so: fammici arrivare, poi te lo dico.

Beh, non dovrebbe mancare molto… Pensi che Dio, che tu ci creda o no, è ancora “materiale letterario”?

Che uno ci creda o no, Dio è l’unico “materiale letterario” che val la pena di maneggiare.  Saramago, per esempio, a Dio non ci credeva, ma non ha mai smesso di farsi domande e di scriverne. Lo ha fatto con certe intenzioni? Non importa: buon pro gli faccia.

In realtà tutti quanti, atei e credenti, scrivono per cercare una risposta alle domande: “Che senso ha la vita?”, “Perché le cose stanno così?”. Dio non è l’unica risposta possibile e non è neppure definitiva, non taglia la testa al toro, lascia aperta una quantità di domande. Ma il guaio è che le altre risposte non sono messe meglio.

E se non ci occupiamo del senso della vita, del perché non possiamo cambiare le cose come stanno, di cosa vogliamo occuparci? Del campionato di calcio?

Sei invidioso?

Non pretendo di essere imperturbabile. Davanti a certi battages pubblicitari resto perplesso. Davanti alle vendite di certi libri devo fare uno sforzo per ricordare che si tratta di segmenti di mercato tutti particolari.

Però in genere non me la prendo per i successi altrui. Anche se uno/a va a letto con l’editor e così pubblica, ottiene recensioni, visibilità, premi, e grazie a tutto questo magari vende anche, beh, che ci vuoi fare? Mica toglie spazio a nessuno. Mi sbaglierò, ma secondo me in Italia c’è spazio per una ventina di successi editoriali all’anno, intendendo per successo editoriale non il best seller ma il libro che vende bene, diciamo 100.000 copie.

A me non interessa andare a pavoneggiarmi in tv o vincere il premio vattelapesca. Mi interessano le recensioni intelligenti, scritte da chi ha letto il libro. Insomma: se il mio libro è buono, se chi lo pubblica ci crede, se l’ufficio stampa fa il suo lavoro, avrò comunque quel che merito, poco o tanto che sia; e se nel frattempo qualcun altro avrà venduto un milione di copie, avrà vinto il premio Pincopalla e si sarà fidanzato con Elisabetta Canalis, saremo contenti tutti e due.

Preferisci una notte d’amore stupenda con il partner ideale o una maxirecensione di D’Orrico?

La risposta corretta sarebbe, ovviamente, la notte d’amore. Ma, anche se il Viagra può fare qualcosa, dubito che possa ridarmi l’efficienza di trent’anni fa. Per la povera partner la “stupenda notte d’amore” rischia di essere un supplizio!

Tutto sommato, preferisco adeguare le mie speranze ai miei mezzi. Anche senza pastiglie c’è stata qualche gentile signora che mi ha onorato dei suoi sentimenti e anche senza recensioni c’è stato qualcuno a cui sono piaciuti i miei scritti. Mi basta.

Cosa pensi del Nobel della Letteratura a Bob Dylan? Sei favorevole o contrario?

A Bob Dylan? E perché non a Mogol?

Personalmente sono favorevole all’abolizione del Premio Nobel. Tanto per cominciare, un premio serio non dovrebbe essere assegnato se non c’è in vista nessuno all’altezza (il che si è verificato piuttosto spesso). Se poi volessimo entrare nel merito, cosa dovremmo dire dei criteri di assegnazione? Alzi la mano chi aveva sentito parlare di Saint John-Perse o di Le Clézio prima che fossero premiati e chi ne ha letto una pagina, dopo. Alzi la mano chi è convinto che Gabriel Garcia Marquez meritasse il premio e Borges no. Alzi la mano chi è convinto che Dario Fo stia all’altezza di Pirandello. Eccetera eccetera.

Da un punto di vista estetico ti sembra giusto che lo Strega l’abbia vinto Pennacchi e non l’Avallone?

Non saprei giudicare. Ho cominciato a leggere “Canale Mussolini”. Per ora ho sospeso la lettura, ma fin dove sono arrivato mi sembra un manuale di storia, il che dal punto di vista estetico non mi sembra azzeccatissimo. Riconosco che, volendo raccontare quei fatti, da quel punto di vista, forse le scelte estetiche di Pennacchi sono state le più logiche. Ma, visto il risultato, mi domando se non era il caso di scegliere un diverso punto di vista oppure, se proprio voleva mantenerlo, di evitare quel tono fintamente colloquiale che, di tanto in tanto, scade nel becero gratuito.

Della Avallone ho visto una foto. Sembra una bella ragazza.

Progetti per il futuro?

I progetti di vita contemplano principalmente: pesce al cartoccio, vino Pigato, coniglio alla ligure.

Quanto ai progetti letterari, sto lavorando su “I nomi sacri”: uno straordinario mattone di circa 600 pagine (la prima parte è già gratuitamente scaricabile da Vibrisselibri) nel quale non è mai facile capire se il protagonista è vivo o è morto. Se salta fuori un editore tanto pazzo da pubblicarlo, vi consiglio di approfittarne e leggerlo!

Per favore aggiungi una breve nota biobibliografica.

Sono nato nella prima metà del secolo scorso. Sono laureato alla Bocconi (sigh!) e ho fatto l’impiegato, il dirigente, l’imprenditore. Una discreta carriera, basata sul principio che, per andare avanti, bisogna adattarsi a risolvere le grane che gli altri non sono in grado o non hanno voglia di affrontare. A quarantatre anni ho deciso di averne piene le tasche delle grane altrui e mi sono messo a fare le cose che piacevano a me.

Raul Montanari mi ha fatto pubblicare due racconti insieme a due suoi in un libretto ormai introvabile intitolato Il tempo, probabilmente (Literalia). Miei racconti sono apparsi su blog come Nazione Indiana e La Poesia e Lo Spirito. Faccio parte della redazione della rivista di poesia, arte e cultura La Mosca di Milano.

È da qualche mese in libreria il mio romanzo Gli occhi di Caino (Eumeswil).



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