Prrrrrrrr : la P4 diventa PR

Creato il 22 giugno 2011 da Albertocapece

Anna Lombroso per il Simplicissimus

L’appalto da nove milioni di euro per l’informatizzazione degli uffici di Palazzo Chigi, i contratti tra la Ilte, società cartiera piemontese e le Poste, i rapporti tra Luigi Bisignani e l’ex dg della Rai Mauro Masi circa il contenzioso con Michele Santoro per la chiusura di Annozero: i fascicoli sulle prodezze dell’influente Giggi il faccendiere sono state trasmesse alla Procura capitolina da quella partenopea. Ma si sa già che il pacchetto inviato dai pm Francesco Curcio e John Woodcock, i titolari dell’inchiesta napoletana sulla cosiddetta P4, è stato retrocesso a modello 45, ossia senza indagati e ipotesi di reato. «Al momento è poco il materiale giunto da Napoli – lo liquidano così gli inquirenti capitolini – e non sappiamo se in futuro arriveranno altre cose».

Eh si non bisogna esagerare: le telefonate, i “contatti”, sospettati di essere solo le ostentate spacconate e le promesse impossibili di un blagueur di professione, sono solo “spunti di indagine”, nulla sarebbe penalmente perseguibile. Se per i pubblici ministeri Francesco Curcio ed Henry John Woodcock le risultanze delle indagini dimostrerebbero, tra gli altri, un’associazione a delinquere, per il giudice per le indagini preliminari, Luigi Giordano, che ha vagliato gli atti presentati dal pm, invece, le sole ipotesi accusatorie confermate sarebbero i reati di favoreggiamento e rivelazione del segreto d’ufficio. Peccati veniali che grazie al ricorso all’eufemismo caro di questi confusi giorni altro non sono che le sfumature di caliginose attività riconducibili alla lobby e alla pubbliche relazioni.

Chi per lavoro ha sfiorato questi campi sa bene che in effetti si tratta di professioni non ben catalogabili. Non foss’altro che per l’assenza di regole deontologiche precise e per la totale mancanza di una regolamentazione. Negli anni sono state assimilate alle PR e alla lobby la azioni indefinibili e le prestazioni di segretarie di potenti che si facevano pagare un tanto a appuntamento col capo, intermediatori da salotto, facilitatici di business in camera da letto, mansioni che con grande approssimazione hanno sostituito nell’immaginario di signore bisognose di sistemazione una boutique di intimo.

In Paesi meno pasticcioni e per fortuna anche qui molti si sono autoregolamentati. Ma so bene che non è facile fare con trasparenza e competenza un lavoro che grazie all’uso improprio di molti ha finito per sconfinare nell’arbitrarietà, nell’illiceità, nell’opaco dinamismo di improbabili brasseur d’affaires, più addestrati a favori di piccolo cabotaggio e a servizietti squallidi che all’allestimento di grandi operazioni nei labirinti dell’oligarchia.

È sconcertante infatti che grandi manovre condotte nella necessaria segretezza, ancorché molto intercettate come attestano le preoccupazioni dell’intelligenza più “mesciata” del governo, e per questo bisognose di sobria credibilità cristallina venissero affidate a un individuo discusso e discutibile, condannato negli anni Novanta per finanziamento illecito dei partiti, appropriazione indebita e corruzione. E ciononostante in possesso di un enorme credito da parte di politici, uomini delle istituzioni, giornalisti, manager e imprenditori.

Ma tutto si colloca su quella parola, su quella sfumatura delicata: ciononostante, diremmo noi che siamo fuori dai “giri” giusti”. Bisignani in realtà godeva di credibilità e autorevolezza, non “nonostante” ma “grazie” a quel know how di pratica zelante del malaffare, in virtù della competenza acquisita nel facilitare improbabili patti opachi e strabordanti nell’illecito, per riconosciuti meriti sul versante sdrucciolevole dell’omertà e della docile complicità. Ed anche per aver partecipato a quella ingegnosa confusione nella quale i segreti che non devono essere tali vengono taciuti e diventano pubblici quelli destinati a generare fumus, discrezionalità e arbitrarietà.
Certo chiamare relazioni pubbliche le attività molto privare di un piccolo criminale attivo nel favorire il processo di privatizzazione di un Paese da parte di una plutocrazia che si alimenta di personalismo e di densa e tenebrosa opacità è un ossimoro. Uno dei tanti di un regime che inalbera tra i suoi “valori” auto- attribuiti l’amore e la libertà.


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