Pseudonimi letterari e identità fittizie: da Stephen King a J.K. Rowling, passando per J.T. Leroy e Lara Manni

Creato il 18 luglio 2013 da La Stamberga Dei Lettori
Non c'è niente di peggio, per uno scrittore, di suscitare polemiche e far parlare di sé per tutto meno che per il contenuto dei suoi libri.E' una amara lezione che molti scrittori hanno presto o tardi imparato: tra le ultime arrivate, si  piazza J.K. Rowling e il suo recente caso di coming out da pseudonimo letterario. Un caso che mi è  parso ottima occasione per un articolo - opinione non richiesta sul fenomeno degli pseudonimi  letterari. O, per meglio dire, su un particolare uso degli stessi.Da sempre gli scrittori, per innumerevoli e ragionevoli motivazioni, ricorrono con facilità agli  pseudonimi letterari. Necessità di protezione: evitare di "macchiare" il nome nobile della famiglia  di appartenenza o celare la propria identità. Necessità di oltrepassare le barriere: quella sociale, con un nome altolocato, quella sessuale (come le sorelle Bronte, che inizialmente hanno adottato nomi maschili), quella linguistica (come il polacco Jozef Kondrad Korzienowski, che s'inventò un Joseph Conrad più congeniale ai britannici). C'è chi preferisce tenere le carriere separate: come il  matematico Charles Lutwidge Dodgson che firmava i suoi libri per bambini con il nome di Lewis Carroll. O persino chi muta il nome per tracciare distinzioni tra i diversi generi (come Agatha Christie che si trasformava in Mary Westmacott, scrittrice di romanzi rosa). Per finire con le  logiche di mercato: autori come T.S. Eliot, D.H. Lawrence, ma anche J.R.R. Tolkien e da ultimo George R.R. Martin devono certamente una parte del loro successo al fascino delle lettere puntate. Fascino che si aggiunge al beneficio del dubbio nel caso di scrittrici come J.K. Rowling o P.D. James che, venendo incontro alle logiche di un mercato editoriale che premia gli uomini, celano il proprio genere.

Se aumentiamo la focalizzazione e ci concentriamo sulla seconda metà del Novecento e sulla narrativa  contemporanea, vediamo come il fenomeno muti, assumendo connotazioni sempre più polemiche, di  protesta. Se è vero che genere sessuale e posizione sociale non sono più un problema, gli scrittori sono abilissimi a crearsi nuove barriere e nuovi problemi. Un problema è effettivamente il peso dell'eccessivo successo, che spinge molti scrittori a tentare vie alternative sotto pseudonimo.  Celeberrimo il caso di Stephen King, che tra gli anni Settanta e Ottanta ha firmato diversi romanzi come Richard Bachman.

Stephen King

Una scelta operata per varie ragioni, soprattutto per mettere alla prova i suoi  lettori e il mondo editoriale. King organizzò bene la sua burla: pubblicò cinque romanzi con una casa editrice diversa dalla sua e diede spessore al ritratto di questo suo alter ego, pubblicandone pure  una presunta fotografia. Quando il gioco venne scoperto, King fece morire "di cancro" la sua creazione, per poi onorarne la memoria nei romanzi successivi. Un esperimento, dunque, per niente fallito: i romanzi di Bachman ebbero un discreto successo, ma sicuramente più successo ha avuto la  creazione del suo alter ego.Nell'operazione di King burla, gioco e invenzione letteraria s'erano intrecciate alla polemica contro i pregiudizi delle case editrici. Quest'ultimo aspetto in poco tempo diviene predominante nel ricorso  allo pseudonimo: così è in casi più recenti e anche più noti e sorprendenti. In Francia ha fatto scalpore il caso di Romain Gary (già pseudonimo), unico scrittore a vincere due volte, contro il  regolamento, il prestigioso Premio Goncourt, partecipando con un romanzo firmato con un altro pseudonimo ancora. Polemica voluta dall'autrice, invece, nel caso di Doris Lessing, Premio Nobel 2007: quando era già  famosa, mandò un manoscritto a una casa editrice sotto falso nome, ma venne scartato. La Lessing a quel punto scoprì le carte e puntò il dito contro l'ipocrisia delle case editrici.Ultima arrivata, la Rowling. Una scrittrice che, al netto dei quattrini guadagnati con la fortunata  serie di Harry Potter, fa parlare di sé anche quando non vorrebbe e mostra già insofferenza per l'ossessione mediatica cui è sottoposta - in effetti, mancano solo le recensioni alla sua lista della spesa.

J.K. Rowling

La madre del maghetto l'estate scorsa ha sorpreso tutti con la pubblicazione di un giallo per adulti, scritto nonostante il pericolo di una pioggia di critiche e il peso della sua fama. Pochi  libri, secondo il mio modesto parere, possono vantare l'ossessione che il suo Il seggio vacante ha suscitato, quasi come fosse il flop di una scrittrice da Nobel e non, com'è realisticamente, al netto delle opinioni personali, una prova diversa per una fortunata ma dilettante autrice di una saga per bambini. Tutte ragioni, comunque, che l'hanno indotta a rispolverare l'uso dello pseudonimo  letterario, pubblicando sotto la falsa identità dell'esordiente Robert Galbraith un secondo giallo, The Cuckoo's Calling. Rifiutato, snobbato dalla critica forse ancora più del precedente, ha venduto solo 1500 copie in tre mesi, incontrando però il favore di un pubblico limitato ma sinceramente entusiasta. A cercare sui social network librari le più vecchie recensioni, s'incontra un giudizio positivo e ben disposto verso il libro. Proprio quel che cercava,  probabilmente, la Rowling: un riscontro serio che non venga falsato dal suo nome, per un romanzo di genere scritto solo per il  piacere di raccontare una storia. Dispiaciuta per le limitate vendite, a sentire le malelingue, o più realisticamente, messa alle strette da un giornalista che si è accorto che Rowling e Galbraith condividono lo stesso agente letterario, la Rowling dopo soli tre mesi ha scoperto le carte: immediatamente - riporta Amazon - le vendite sono aumentate del 150%. Queste esperienze chiamano una prima riflessione. La domanda che sorge  spontanea a conclusione del caso Rowling è sempre la stessa: chi ci ha rimesso in immagine, la Rowling o le case editrici? Le limitate vendite di The Cuckoo's Calling sono una pessima figura per la Rowling, sintomo di una sua capacità letteraria che ora si scopre infima, o per critici e lettori  che hanno snobbato un romanzo di genere non riconoscendo il marchio della Rowling? Difficile  rispondere, difficile scegliere una delle due posizioni: se la prima pare semplicistica e approssimativa, la seconda è poco realistica. La verità è che - come ha voluto dimostrare l'autrice stessa - il nome vende più del libro, e il ricorso allo pseudonimo oggi è forte come in passato. Ultimamente si è andati oltre ogni limite immaginabile, portando all'eccesso esperienze come quella  di Stephen King: lo pseudonimo da alter ego diventa individuo vero e proprio.Uno dei casi più celebri che ha aperto il nuovo millennio è senz'altro quello di J.T. Leroy. Autore  di due romanzi autobiografici (Sarah e Ingannevole è il cuore più di ogni cosa), si presenta come un  giovane poco più che ventenne, sopravvissuto a una vita di abusi e prostituzione. Jeremiah ha un aspetto androgino, compare saltuariamente in pubblico ma è attivo nel web, con un blog seguitissimo.La sua storia è subito diventata un caso mondiale, andando ben oltre il comparto letterario, finendo  con l'attirare l'attenzione e la solidarietà di star del cinema, di scrittori che l'hanno preso sotto la loro ala protettiva (a cominciare da Dennis Cooper, scopritore del giovanissimo Jeremiah), persino del mondo della musica (il gruppo Garbage ha composto la canzone Cherry Lips in suo onore).

Laura Albert / Savann Knoop "J.T. Leroy"

In Italia Ingannevole è il cuore più di ogni cosa viene candidato al Premio Strega 2000, mentre nel 2005 Asia Argento ne realizza un film. Il 9 gennaio 2006 arriva la rivelazione shock: J.T. Leroy non esiste. Al  suo posto, una donna quarantenne chiamata Laura Albert, autrice dei libri, e la giovane cognata di  lei, Savannah Knoop, che impersonava il personaggio nelle uscite pubbliche. Cos'è successo? E' successo che una trentenne (all'epoca), con la passione della scrittura e del camuffamento, di fronte agli ostacoli nel lungo cammino verso una pubblicazione, si sia spacciata per un giovane ragazzo,  finendo con l'impersonare completamente la sua creazione. Il mondo non l'ha presa molto bene: se alcuni gridavano al genio e parlavano del "caso J.T. Leroy" come una nuova forma di creazione letteraria, il potere giudiziario statunitense l'ha vista semplicemente come frode, condannando la Albert per un contratto cinematografico firmato con il suo pseudonimo.Esperienza tutta italiana, e con conseguenze ben diverse, quella di Lara Manni. Sebbene sia  fortissima la tentazione di ignorare questa disastrosa esperienza editoriale italiana, il caso Lara Manni ha il pregio di presentarsi come sintesi perversa delle nuove manifestazioni dello pseudonimo  letterario.

Loredana Lipperini

Saranno pochissimi a ignorare la vicenda, ma può essere utile ripresentarla in maniera rapida e semplice, attenendosi ai fatti. Fatti: Loredana Lipperini, giornalista per La Repubblica e scrittrice per Feltrinelli, viene accusata di essere Lara Manni, giovane scrittrice di fanfiction, che esordisce con Esbat, romanzo urban fantasy per i tipi di Feltrinelli. La misteriosa Lara Manni non è mai apparsa in  pubblico, ma scriveva giornalmente sul suo blog, risponde(va?) alle mail dei suoi ammiratori ed è grande amica del collettivo Wu Ming nonché, guarda caso, di Loredana Lipperini, con la quale condivide (anche lei, come la Rowling!) l'agente letterario. Proprio il loro rapporto alla Peter Parker/Spiderman (con tanto di recensioni incrociate) fa subodorare l'identità, finché il bollino della SIAE di Esbat, registrato a nome Loredana Lipperini, mette a tacere qualunque dubbio. Il mondo editoriale italiano registra appena il caso, che invece infiamma il web: la Lipperini insabbia tutto, minaccia querele a destra e manca e scoppia una guerra che viene combattuta a pagine di Wikipedia. Ad oggi, la Wikipedia italiana considera Lara Manni e Loredana Lipperini due persone distinte, accennando appena al caso. Qualunque sia la verità dietro il caso, il commento non può che essere uno solo: un'immensa pessima figura per scrittrice, editori e lettori.

Cerchiamo di tirare le somme. Perché - si potrebbe obiettare, in una semplicistica lettura di questo articolo - King è un genio, Laura Albert una pazza (ma comunque geniale), la Rowling una vittima e la Lipperini sarebbe, nelle peggiori delle ipotesi, un'ipocrita? A domanda banale e semplicistica, risposta altrettanto semplicistica: King ha  avuto successo e ha reinventato lo pseudonimo letterario, facendone addirittura un personaggio dei  suoi romanzi; la Albert ha commesso un reato ma commosso un mondo intero, mostrandone il doppio volto; la Rowling sta scoprendo i suoi limiti e il peso del suo nome; la Lipperini ha preso in giro i suoi lettori e ancora si ostina a non rivelarsi. Ma soprattutto: mentre King e la Rowling (quello della Albert è un caso differente) hanno tentato, scommesso su se stessi e pubblicato i romanzi sotto  pseudonimi con case editrici differenti, con tutti i rischi annessi, la Lipperini e la Manni convididono clamorosamente agente ed editore (almeno per il primo libro della trilogia). Concedetemi la conclusione pessimista: in ciò, il caso Lara Manni ha dimostrato come il sempiterno malcostume italiano, in barba al tanto sbandierato merito, stia facendo marcire anche il mondo editoriale. Più delle azioni di Lara Manni e Loredana Lipperini parlano le reazioni di fan e detrattori, che hanno sistematicamente impedito una risoluzione del caso, ma soprattutto inquinato di ipocrisia il rapporto tra scrittore e lettore. Così, quello stesso pseudonimo letterario, che in  mano a King e a Laura Albert è diventato motore di nuove creazioni letterarie, in Lara Manni è degenerato come moltiplicazione esponenziale di un'ipocrisia della quale siamo tutti intossicati e sempre più incapaci paradossalmente a fare a meno.
Articolo di Tancredi

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