Continuiamo a parlare di Liebster Awards.
Quando vi ho chiesto di consigliarmi un film mi aspettavo di leggere tra le vostre proposte tanti classici, tanti titoloni imperdibili.
E ci sono stati, per carità.
Ma voi, che siete mica un gruppo di pirlotti, mi avete presa per mano e mi avete condotta attraverso strade ben più inusuali del classico filmone autoriale che sapevamo già sarebbe stato grandioso.
Nico, del blog 50/50 Thriller, per esempio, mi ha parlato di un film di cui avevo solo letto qualcosa qua e là sulla blogosfera.
Psycho Mentary è un thriller - horror italiano.
Diretto da una donna.
E vi dò il colpo di grazia per farvi scappare: è un mock.
FUGGITE, STOLTI!
Tornate qua, fagioloni, che scherzavo.
O meglio, è davvero un film italiano dalle tinte belle cupe, e pure mockumentary.
Però è bello. Giuro.
Io non lo so come sia possibile, come sia successo un simile e splendido evento senza che i manifesti urlassero al miracolo, senza che il mondo crollasse, senza che si incrinassero le costole dei fratelli Vanzina.
Lucia, la figlia del senatore Silvestri, viene rapita da un uomo mascherato. Il riscatto richiesto per il suo rilascio è di un milione di euro. La somma viene rapidamente versata, ma pare che all'uomo mascherato un milione non basti più. Adesso ne vuole 10, per non uccidere una dopo l'altra tutte le altre vittime che aveva sequestrato. Facili, da trovare, 10 milioni...
Io son qui che non contengo la gioia, non so da dove è bene iniziare.
Abbiamo un mockumentary in cui ogni telecamera è giustificata! Davvero! Le riprese sono fatte dall'assassino stesso con lo scopo di mostrare le sue eroiche azioni al capitano Brunetti, che si occupa del caso, (e non solo, vedrete) per cui non ci sono motivi del cavolo a giustificare le riprese!
Davvero!
Ogni. Singola. Telecamera. ha un motivo preciso per essere esattamente dove sta.
E' una sensazione bellissima. Come una doccia fresca dopo una corsetta i primi di giugno.
Altra cosa, altra cosa.
Avete ogni tanto quella sensazione strana legata ai prodotti italiani, per cui vedere un film magari indipendente o sentire una canzone nella nostra lingua causa un disagio che ti costringe a cambiare?
Io ce l'ho.
Mi sa che si chiama imbarazzo.
Poche volte me ne salvo. Quando ascolto Mannarino, per esempio. O quando vedo film che sono ben recitati.
BEN RECITATI, capito?
Psycho Mentary ha anche ottimi attori. Non sono i soliti noti (e meno male, regà), non conoscevo i loro nomi prima di questa visione ma, signori miei (e se l'avete pronunciato come Crozza che fa Renzi high five), sono bravi.
E se pensate che stia parlando solo degli interpreti principali vi sbagliate. Sono proprio bravi TUTTI. La moglie di Brunetti, per esempio. Si vede in una sola scena, mentre parla con la sua bambina, e si potrebbe dire che nemmeno sta recitando.
Pensate che le cose positive siano finite qui?
NO.
Ce ne sono ancora, sono felice come una bimba sulle giostre.
La Gualano ci regala un paio di scene con un livello di gore abbastanza elevato, eppure sono quasi eleganti. La violenza, e il disgusto che essa suscita, non sono ostentati, nè volutamente screditati. Ci sono, e basta, quindi te li mostro in quanto tali ma non ho bisogno di cercare il tuo sguardo schifato. Non serve.
Perché il piano dell'uomo in maschera è molto più di questo, è molto più della 'solita' violenza oscena e scandalosa.
E' subdolo, è furbo, ma soprattutto è perfettamente lucido. Ogni minimo dettaglio è studiato per far sì che nessuno sia costretto a soffrire più di quanto non lo costringano a subire le scelte degli altri personaggi. In un colpo solo infierisce tremende botte al nostro Brunetti pur mantenendosi in un certo senso la coscienza pulita.
Costruendo una simile premessa, era difficile scivolare su un finale affrettato, magari troppo action come accade spesso in certi tipi di thriller. Con tutto il tempo che le occorre (e badate che parliamo di un film breve) la regista ci conduce verso la conclusione della faccenda, e lo fa in modo esemplare.
Per lasciarci poi con l'amaro in bocca.
Ora, non voglio esprimermi troppo a proposito della questione economica che incontriamo più o meno a metà film, perché non mi sono informata su quanto ci sia di reale e quanto sia invece fiction.
E' un argomento troppo spinoso perché io ne sappia davvero qualcosa.
Ma il valore della vita è inquantificabile. Il valore dei nostri affetti è inqualificabile. Una gran banalità, vero? Ci ho pensato spesso durante la visione, a come mi sarei comportata io, messa in una tale posizione piuttosto che in quell'altra. Perché mentre io me ne sto qui davanti al ventilatore a scrivere una non richiesta opinione su un film molto bello, da qualche parte nel mondo qualcuno sta morendo. I miei secondi stanno scorrendo allo stesso modo, le mie dita continuano a scrivere. Se quel qualcuno, però, fosse mio fratello, o il mio ragazzo, o qualcuno che amo, la mia vita sarebbe irrimediabilmente e inconsolabilmente spaccata.
Guardando il film, quindi, viene da chiedersi: e se potessi salvarli, fino a dove mi spingerei?
E' una domanda che al momento non ho il coraggio di farmi, perchè non ho il coraggio di ascoltare la risposta.
Unico rimprovero che mi sento di fare riguarda la scelta del cognome del nostro protagonista. Più volte mi sono dovuta correggere perché stavo scrivendo Brunetta.
Sia mai che parli bene di lui.