Psychosofatic – Germondari

Creato il 14 luglio 2014 da Lagrandebellezza @LaGranBellezza

2014
di Werther Germondari
con Werther Germondari, Maria Laura Spagnoli, Reinhard Zich

Venti anni fa Werther Germondari esordiva, se si esclude Picnic (1986), con un’opera cinematografica, Una strada diritta lunga, selezionata a Cannes. Un uomo con una bicicletta percorre una strada apparentemente infinita, attraversando simbolicamente la sua vita e le sue età. A termine corsa si volta indietro forse a riconsiderare l’intero percorso, cosa lascia o cosa ha perso.
Una vita ben lunga come la strada ma vincolata alla carreggiata e obbligata a fermarsi, concludersi: nonostante lo spazio fisico della strada sia ancora percorribile è la dimensione umana ad imporre limiti.

Vent’anni dopo in Psychosofatic c’è ancora un uomo, racchiuso in uno spazio, una sala d’attesa e protagonista è ancora l’iterazione tra dimensioni fisiche e durata umana. La sua permanenza nel luogo è limitata. Il tempo, segnato da un orologio fuori campo quasi ad indicarne l’imprendiscibilità, avanza come avanzava la bicicletta, per natura o per inerzia. La voce del dottore, che lo chiama nel suo studio, determina la fine di questo segmento di tempo e rivela la limitatezza di questo spazio. Stavolta l’uomo è obbligato ad alzarsi-uscire dal quadro. La “fine” è quindi, nelle due opere, sempre determinata da un mutamento di direzione-locazione, uno spostamento.

Un’unica inquadratura fissa (l’opera è costruita su un unico piano-sequenza) mostra l’uomo (lo stesso Germondari) mentre cerca la vita di questo spazio o una soluzione ad esso. L’ordine precostituito (sofà, colonna, carta da parati e quadri appesi al muro) vorrebbe essere stravolto. Infatti nell’ordine perfetto l’uomo ha trovato la sua antitesi: il simbolo-strumento della distruzione, un grosso martello. Lo prova sul sofà, due volte, senza sortire effetto. Al richiamo del dottore però rimette tutto a posto, con un’urgenza simile a quando si teme di essere scoperti.

Si intuisce allora che nel breve cortometraggio, in bianco e nero, il cui protagonista è muto e quasi keatoniano, c’è dell’altro. Cerchiamolo in tre elementi. Il sottofondo musicale, il ritratto di Freud alla parete e il finale e unico spostamento di camera.
La colonna sonora, composta da Paolo Pizzi è camuffata come uno dei soliti sottofondi posti ad “intrattenere” i pazienti nelle sale d’aspetto. In realtà il titolo del pezzo suonato è “Il valzer dell’insanità”. Siamo molto probabilmente da uno psicologo e l’armonia così instabile del duetto tra pianoforte e viola simula lo squilibrio presente nel paziente, uomo qualsiasi, rappresentante del nostro genere umano.
Freud è un po’ per tutti il simbolo ed il promemoria della nostra scissione interna e sotto i suoi occhi la contrapposizione “paziente educato” – “distruttore di sofà” è emblematica del classico dualismo tra Eros e Thanatos.
L’ultima scena vede l’uomo uscire dal quadro, verso la voce del dottore che inizia a porgli domande. La camera lentamente si sposta a destra andando così a rivelare un luogo più ampio di quello immaginato e soprattutto una inaspettata presenza femminile (la storica collaboratrice di Germondari, Maria Laura Spagnoli) che stupisce. I movimenti furtivi dell’uomo sembravano quelli di un uomo che, sapendo di essere da solo, compie un azione che sarebbe forse inaccettabile in pubblico. Scopriamo invece che tale donna era con lui per l’intera durata dell’azione, ma forse impassibile, fissa sullo schermo del computer, indifferente come una presenza irreale.
Si potrebbe ancora affidarsi alle teorie freudiane e vedere nelle tre presenze, uomo, donna e dottore, i tre poli di Es, Io e Super-io, ma nell’eludere, nel lasciare sospesi e nell’ “interrogare” lo spettatore dopo soli tre minuti di film (di vero e proprio film si tratta essendo stato girato con pellicola Kodak e un elegantissimo mascherino) sta uno dei pregi dell’opera.

Un’opera lunga un pensiero, un’idea, e tutto è risolto con grande consapevolezza estetica in una singola e misuratissima scena. Personalmente ho avuto il piacere di vedere solamente i due lavori che ho menzionato, gli estremi del suo percorso. Chissà se in futuro parleremo anche di ciò che è successo nel frattempo su queste pagine.

Un estratto: https://vimeo.com/ondemand/psychosofatic



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