P.T. Anderson: uno degli ultimi poeti viventi dell'Occidente
Creato il 29 gennaio 2013 da Presidenziali
@Presidenziali
Il secondo conflitto mondiale si è da poco concluso. Freddie Quell (Joaquin Phoenix) è un militare della marina americana che, scosso dall’esperienza bellica, non riesce a tornare alla vita di un tempo. Afflitto da problemi psichici, cerca conforto nell’alcol e nella sregolatezza, finché non incontra Lancaster Dodd (Philip Seymour Hoffman), il “Maestro” di una nuova setta denominata “la Causa”, che tenterà di domarloL’ultimo film di Paul Thomas Anderson, è stato uno dei più attesi alla 69° Mostra del Cinema di Venezia, dove si è aggiudicato due prestigiosi premi: il Leone d’argento per la migliore regia e la Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile ex aequo a Joaquin Phoenix e Philip Seymour Hoffman.Uno dei film più attesi quindi, ma allo stesso tempo anche più discussi, The Master, ha diviso sia il pubblico che la critica.Bisogna subito ammettere che questo ultimo lavoro di Anderson spiazza, perché non è quello che ci si aspetta, non è un film – come invece si era detto e scritto da più parti – sulla nascita tra anni Quaranta e Cinquanta di una setta apparentabile a (o echeggiante) Scientology. Anche perché se così fosse, il film sarebbe ben poca cosa. Sì, c’è un guru fondatore di un qualcosa che somiglia a un gruppo di devoti e fedeli alla linea, ma questa strana opera – forse la più differente, inclassificabile, fuori genere e fuori canone di tutta la sua filmografia – è altro, è su altro. È sulla relazione tra due uomini, un Master in posizione dominante e un ribelle, un outsider, che il Maestro vuole ridurre a discepolo o succube. Ma la manipolazione non è così chiara, netta e unidirezionale. Questo intricato rapporto contiene altro, ogni livello ne apre subito un altro ancora, e così via. Forse è un storia di amicizia, di affetto, chissà, anche di amore. A me ha ricordato un film come Il servo di Losey, su sceneggiatura di Pinter, anche se Paul Thomas Anderson non ha il dono o meglio la vocazione alla penombra, all’ambiguità, al non detto.Anderson dimostra ancora una volta di essere uno dei registi più capaci della sua generazione, usando una messa in quadro di forte impatto artistico: ci racconta magnificamente pezzi di America postbellica e quasi eisenhoweriana, con una maniacalità che definirei filologica nella ricostruzione degli ambienti, dei decori, dei volti soprattutto.Le sequenze iniziali, ambientate sull’isola lasciano incantato lo spettatore; il montaggio è sempre funzionale alla situazione narrativa, specialmente nei punti più drammatici, accompagnato dalla magistrale fotografia di Mihai Malaimare Jr. e dalla spendida colonna sonora di Jonny Greenwood.The Master però, non si limita a essere un bel racconto per immagini. Anderson, scava con profondità nel mito e nei paradossi fondativi del sogno americano, concentrandosi sul rapporto tra l’ambiguo Maestro e l'ex soldato mosso soltanto da istinti primari – lo conosciamo mentre mima un rapporto sessuale con la sagoma di sabbia di una donna e mentre dà interpretazioni ossessivamente erotiche alle macchie di Rorschach. Gli insistiti tentativi da parte di Lancaster di domare la brutalità di Freddie contro il volere della moglie Mary Sue (la solita meravigliosa Amy Adams), costituiscono lo scheletro narrativo del film; che, in parallelo, è giocato sul contrasto tra due grandissime interpretazioni: quella metodica, gigantesca di Philip Seymour Hoffman e quella ancora più letteralmente impressionante di Joaquin Phoenix, che il regista lascia spesso a briglia sciolta. Le sequenze che li vedono recitare in coppia, a partire da quella (già celeberrima) del primo “processing”, sono momenti di cinema colossale che lasciano davvero senza fiato.Maestro e discepolo, padrone e schiavo (ma chi è il padrone e chi lo schiavo?) i due non possono stare lontani. Questa è la storia, questo è The Master. Anderson non moraleggia sulle sette, ancora meno gli interessa mettere sotto accusa presunti plagi e manipolazioni, a lui importa solo scandagliare il legame tra due uomini. Un rapporto raccontato oltre ogni lettura psicologica, crudamente e in piena luce, sempre. Come se l’interiorità dei due fuoriuscisse e si materializzasse. Una storia di anime, trattata e raccontata con forza muscolare, che incredibilmente assurge a epica. Per quanto mi riguarda, grido al capolavoro. Immenso.Voto: 9
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