Pubblicare un libro: quattro domande per quattro editor

Creato il 08 aprile 2014 da Leultime20 @patrizialadaga

Come si decide se un manoscritto merita la pubblicazione? I criteri di scelta sono immutabili o variano in funzione dei tempi, dei costumi, delle mode? Perché per anni un testo viene rifiutato e d’improvviso diventa un bestseller mondiale? Qual è il modo migliore per proporre il proprio lavoro a una casa editrice?

Domande che tutti gli aspiranti scrittori, ma anche i lettori più attenti, si pongono, prima o poi.

Le ho girate a quattro professionisti di grande esperienza che lavorano all’interno di note case editrici italiane: Joy Terekiev, editor Fiction Mondadori, Nicola Lagioia, scrittore ed editor di Minimum fax, Giuseppe Strazzeri, direttore editoriale di Longanesi e Gemma Trevisani, editor narrativa italiana di Rizzoli.

Ecco che cosa mi hanno risposto.

1. Quali sono i criteri con cui si decide se un manoscritto merita la pubblicazione?

Joy Terekiev, editor Mondadori

La gente è convinta che esistano dei criteri specifici ma io non la penso così. È una questione di gusto personale. Ognuno ha reazioni diverse davanti alla pagina scritta. Io mi pongo in modo completamente istintivo. Mi piace o non mi piace.

Nicola Lagioia, Minimumfax

La qualità letteraria del testo. Se ci convince, si pubblica. Altrimenti no. Il che ovviamente non toglie che si possa anche sbagliare.

Giuseppe Strazzeri

Distinguerei prima di tutto fra narrativa e saggistica. Per quest’ultima, semplificando per forza di cose, i criteri (perlomeno all’interno di una casa editrice d’impostazione generalista come quella per cui lavoro) sono la competente consapevolezza dell’autore su un tema significativo presso l’opinione pubblica, una vivace capacità argomentativa e una disposizione non forzata alla divulgazione.  Per la narrativa direi che valgono invece criteri dinamicamente interconnessi e di non completa riducibilità a un paradigma del tutto razionale: invenzione narrativa, capacità di costruzione del plot, voce, tenuta stilistica. Sulla pubblicabilità o meno perciò sono svariati i fattori che entrano in gioco, ma in specie per la narrativa credo che tra i non addetti ai lavori a volte si tenda a scambiare gli elementi costituivi del bello scrivere per quelli del buon narrare, mentre ci tengo a sottolineare che dal punto di vista editoriale gli uni e gli altri non sono di necessità coincidenti. Ci sono scrittori che sono cantastorie nati, sanno avvincere dalla prima pagina con la forza della loro invenzione ma non fanno della ricchezza stilistica o linguistica la loro forza. Vi sono autori invece in cui raffinatezza linguistica ed eleganza stilistico-formale sono caratteristiche precipue. Prendendo in prestito altrove una distinzione di generi, è oggi assodato che esistono autori classici, rock, pop, e jazz, ognuno con dignità di esistenza entro l’arte musicale. Se abbiamo però in buona parte jntroiettato l’idea che non esista di fatto un metro assoluto per definire come superiore uno tra i vari generi musicali esistenti, questo non sembra ancora valere per la scrittura. Mentre io credo che il buon editore è colui che sa assegnare e riconoscere in un testo la qualità intrinseca a ogni genere.

Gemma Trevisani 

Non esistono dei criteri universali e, per fortuna, ogni libro ha una storia a sé. Dico “per fortuna” perché se tutti gli editori si attenessero a delle regole prestabilite e fisse penso che sarebbe molto difficile intercettare delle novità di valore. Ovviamente, al di là delle singole vicende editoriali, i romanzi devono avere dalla loro tratti davvero convincenti: una storia, la scrittura, i personaggi, la costruzione. Eppure, non basta neanche il riconoscimento di una qualità letteraria: oggi per farsi spazio in libreria serve una marcia in più, quell’elemento di scarto e di sorpresa di cui gli editori, ognuno in un modo diverso, sono alla ricerca.

 2. Quanto contano il curriculum, il carisma o la notorietà dell’autore ai fini della pubblicazione?

Joy Terekiev

Conta a livello di promozione, non c’è dubbio. Se hai un nome televisivo o radiofonico hai una grancassa diversa, ma in fase di acquisizione, parlo a titolo personale ovviamente, non mi interessa. Io scelgo un libro se nel testo “ci vedo” qualcosa.

Nicola Lagioia

Non contano niente. Possono contare dopo. Nel senso che se l’autore che abbiamo scelto di pubblicare è noto o carismatico questo magari può aiutare il libro a farsi spazio. Ma si tratta di ragionamenti successivi alla decisione di pubblicare il libro. Ci è capitato di rifiutare testi di autori molto noti, perché non ci convincevano. Allo stesso tempo, è capitato che andassero benissimo testi di autori completamente sconosciuti, prima di pubblicarli. Il caso di Valeria Parrella. O di Giorgio Vasta. O di Paolo Cognetti. Tutti e tre esordi di minimum fax.

Giuseppe Strazzeri 

Se un autore possiede curriculum, carisma e notorietà è chiaramente un autore pubblicato, e probabilmente anche con un certo successo. Per lui o lei si porrà al limite il problema se tale carisma e notorietà siano sufficientemente messi a frutto dal proprio attuale editore. Per gli esordienti chiaramente valgono invece  i criteri cui ho sopra accennato. I nuovi autori sono la linfa di ogni editore. Spetta a lui in buona parte individuare le potenzialità che ha una nuova voce di imporsi su un pubblico.

Gemma Trevisani

Per niente e moltissimo. Nel senso che solo quando si è di fronte a un libro valido allora il fatto che l’autore abbia visibilità serve veramente. Quando c’è il libro, la capacità di comunicarlo da parte dello scrittore diventa importante: il dialogo con i lettori, la presenza in rete e tutto il resto. Ma, al contrario, non basta la notorietà per vendere un brutto libro, in particolare un romanzo. Una cosa vera, però, è che oggi gli spazi per parlare di letteratura sono pochi, specialmente in televisione, dove si arriva quasi esclusivamente se si è già conosciuti.

3. Perché talvolta accade che per anni un testo venga rifiutato e d’improvviso diventi un bestseller mondiale?

Joy Terekiev

Proprio perché molti, come me, valutano un testo esclusivamente in base al gusto personale. A volte è anche questione di fortuna riuscire ad arrivare alla persona giusta nel momento giusto.

Nicola Lagioia

Nessuno conosce la formula del bestseller, tantomeno io. A ogni modo il concetto di “besteller mondiale” mi lascia un po’ freddino proprio come definizione. Sembra uscita da un ufficio marketing. Preferisco la storia di “Chiamalo sonno”, di Henry Roth. Ignorato per decenni, e poi rivelatosi (ma non propriamente un “bestseller mondiale” come le “Sfumature di grigio”) all’improvviso come grande romanzo degli ebrei-americani, gioiello tardivo del modernismo di cui non ci si era accorti. O di Faulkner scrittore semisconosciuto che aveva però già scritto libri come “L’urlo e il furore”, “Luce d’agosto” o “Mentre morivo” e all’improvviso (complice la pubblicazione di un’antologia) rivelatosi il grandissimo cantore del Sud, capace di rivaleggiare coi Melville o gli Hawthorne. O ancora i “Buddenbrook” che diventano un caso dopo l’uscita del tascabile. Insomma, rimasta ferma l’insondabilità del fenomeno, diciamo che ai misteri dei “besteller mondiali” preferisco i misteri dei capolavori della letteratura che piano piano, a un certo punto, vengono allo scoperto, e l’umanità si risveglia con un esemplare in più di cui andare fiera. Anche perché le “sfumature” sbiadiscono velocemente mentre il segno profondo inciso dagli Henry Roth, dai Thomas Mann, dai William Faulkner dura molto più a lungo nel tempo.

Giuseppe Strazzeri

Semplicemente non si sa. Ed è la più semplice e incontrovertibile prova che il ben noto assunto pregiudiziale secondo cui le case editrici  “costruiscono a tavolino i bestseller” è una favola consolatoria che spesso alligna presso chi non ha ancora avuto accesso alla pubblicazione. Proprio la Longanesi pubblicò nei primi anni ’90 un grazioso ma per molti aspetti temibile libretto a cura di Mario Baudino, intitolato “Il gran rifiuto. Storie di autori e di libri rifiutati dagli editori”, di recente riproposto da Passigli. Fa una certa impressione, sfogliandolo,  vedere editori e letterati di prima grandezza motivare variamente il loro diniego ad autori come Primo Levi, Tomasi di Lampedusa, ma anche Tolkien e Stephen King. La verità, io credo molto semplicemente, è che un bestseller non nasce tale “in sé”. E per chi come me non crede in “capolavori assoluti” a prescindere, bensì in capolavori in relazione a una comunità viva di lettori, un testo non è sempre e comunque adatto alla pubblicazione indipendentemente da uno specifico tempo e contesto.  Ciò espone a responsabilità di scelta e a inevitabili errori. Esistono insomma circostanze storiche, di gusto,  di sensibilità cui non sfugge il migliore degli editori. A volte devono passare anni, mutare orizzonti percettivi e ricezione potenziale perché un autore trovi la sua strada e si imponga. In molti ricorderanno la traiettoria editoriale di George Simenon, da autore bestseller di narrativa serenamente apparentata ai gialli da edicola per i tipi di Mondadori, a scrittore languente in una pericolosa anticamera d’oblio, a consacrato autore letterario in casa Adelphi che ne reinventa radicalmente lo status e il posizionamento di pubblico.

Gemma Trevisani

Proprio perché non ci sono rigidi criteri di inclusione ed esclusione, capita che alcuni romanzi non trovino gli interlocutori giusti in un determinato momento. Nella storia dell’editoria ci sono decine di casi del genere, li si può chiamare errori, vi si può di certo vedere una miopia da parte delle case editrici, eppure sono un numero infinitamente maggiore i libri che hanno trovato una giusta collocazione e che hanno visto instaurarsi rapporti di fiducia e condivisione di idee tra scrittori ed editori.

4. Qual è il modo migliore per proporre il proprio lavoro a una casa editrice?

Joy Terekiev

Io mi occupo prevalentemente di narrativa straniera e l’80% dei testi mi arriva da editori o agenti. Ma talvolta leggo anche inediti italiani presentati da agenti o da conoscenti. Se ci si auto-candida l’ideale è presentare un riassunto breve, basta una pagina, più poche righe autobiografiche. E quando si scrive fare attenzione a non esagerare con la  ”formula del diario”. Molti pensano che scrivere un romanzo parlando di sé sia la cosa migliore, non c’è nulla di sbagliato, ma molto dipende dal come lo si fa.

Nicola Lagioia

Parlerò solo del metodo più difficile, perché è anche quello più sicuro. Scrivere un buon libro. L”80% dei libri che arrivano sono non libri. C’è un 10% di libri pessimi. Un 8% di libri mediocri. Un 2% di libri che vanno dall’interessante al molto bello. Dunque, un buon libro spicca subito nel mare di non libri e libri pessimi e mediocri.

Giuseppe Strazzeri

Semplicità, sincerità, breve lettera di presentazione di se stessi e dell’opera che si propone. In caso di narrativa sempre meglio inviare l’opera integrale, mentre per la saggistica può essere sufficiente un campione di testo e un’articolata scaletta. E quanto più possibile, inviare a un editore il testo in formato digitale. Ormai tutti leggiamo manoscritti “immateriali” con rapidità ed efficienza maggiori. Infine, sforzarsi di credere che che se non è materialmente possibile che un editore legga tutto (ma ci sono comunque squadre di fidati lettori), non è neppure vero che non legga niente di quanto gli si manda, secondo un altro inveterato pregiudizio. In più un buon editore è anche un buon assaggiatore: e a volte bastano pochi bocconi per decidere…

Gemma Trevisani

Il primo vero consiglio è quello di mandare il libro solo quando si è convinti al cento per cento: dopo aver scritto, riletto, chiuso, riletto ancora e corretto. È bene non avere fretta perché gli editori leggeranno una sola volta: con la mole di proposte che arrivano non sarebbe possibile fare altrimenti. Altra cosa, è importante scegliere gli editori a cui inviare il testo, conoscere almeno in parte le collane e la proposta di ognuno. Qualsiasi sia il punto di forza, un altro fatto essenziale è la coerenza: se si propone un romanzo rosa, ad esempio, e ci si trova invece alle prese con una prosa criptica e ampollosa (capita!), l’editore si domanderà che percezione ha l’autore del proprio lavoro. È sempre utile, poi, raccontare in poche righe l’idea, il cuore del libro. Altri piccole e banali osservazioni: l’incipit è sempre fondamentale. Spesso è la prima cosa che si è scritta e potrebbe essere molto migliorata, una volta terminato il libro. E poi il titolo: anche se magari cambierà, il titolo con cui ci si propone deve dirci qualcosa del libro e allo stesso tempo in qualche modo accendere la curiosità. ​

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