Ieri pomeriggio, fuori dall’ipermercato Coop a pochi metri da casa mia, ho assistito a una conversazione che credo racconti molto della consapevolezza politica di buona parte degli italiani rincitrulliti da una troppo radicata abitudine a televisione e centri commerciali.
Due signori ben oltre la cinquantina confrontavano le loro opinioni circa gli imminenti referendum, e uno dei due chiedeva delucidazioni all’altro sui temi delle diverse consultazioni.
«Ah, ma io a votare per l’acqua mica ci vado», dichiarava bello convinto il meno informato, «Tanto a me mica me ne frega niente: io bevo solo acqua minerale!»
L’amico ha cercato in tutti i modi di fargli capire che la questiona va ben oltre un bicchiere di Uliveto, che qui si tratta, oltre che di una questione di denari, anche di un principio, della difesa di un concetto, e di un diritto inalienabile tipico di ogni società civile. Ma non c’è stato nulla da fare.
Per tutto il tempo a me necessario per travasare la spesa dal carrello al bauletto dello scooter, l’uomo con le bollicine ha continuato a rimanere convinto della sua idea:
«Sì ma.. tanto io compro solo i cestelli da sei bottiglie della San Bernardo.. E quella non è già acqua privata?»
E’ inoltre notizia di questi giorni l’imminente scomparsa dalle scenografie di tutte le nostre città le cabine dei telefoni pubblici che hanno segnato un’ottantina di anni della storia del nostro paese, e ascoltato centinaia di milioni di storie, ma che oramai non hanno più senso di esistere, superate dall’invasione dei cellulari e degli smartphones entrati di prepotenza nelle nostre vite e ormai indispensabili come l’ossigeno.
Nel 1992, quando per la prima volta vidi un telefonino portatile dal vero, mi sembrava roba da grandi manager, tecnologia costosissima buona per James Bond, non certo qualcosa che potesse avere a che fare con me. Oggi, come tutti, di cellulari ne ho due, e quasi nemmeno ricordo i tempi in cui, per un ragazzo alla buona, era già uno status symbol sinonimo di benessere e alta indipendenza l’avere nel portafoglio una carta telefonica da diecimila lire.
E sebbene mi renda conto che c’è una certa differenza tra acqua e telefono, non posso fare a meno di chiedermi se anch’io, come l’opinionista da hard discount,un domani ricorderò come un periodo in bianco e nero e demodé gli anni in cui l’acqua era ancora un bene pubblico e, tutto felice per la mia vita effervescente naturale, entrerò in bagno, mi spoglierò e infilerò il mio corpo nudo sotto una meravigliosa, privatissima doccia di acqua Ferrarelle.
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