PUGLIAMONDO un viaggio in versi

Da Fabry2010

Franco Corlianò, Vincenzo Errico, Annamaria Ferramosca, Abele Longo, Vincenzo Mastropirro,
Pierluigi Mele, Francesca Pellegrino, Pasquale Vitagliano

Pugliamondo – un viaggio in versi
con disegni di Nadia Esposito
Edizioni Accademia di Terra d’Otranto, collana Neobar
agosto 2010

“Perché Pugliamondo? Perché sono convinta che oggi la nostra terra, con il suo rinascere in musica e danza e parola, proprie della sua tradizione popolare, sviluppatasi dalla e per la condivisione, non fa che ricordare al mondo la necessità di una nuova guarigione dai ragni dell’individualismo e dell’alienazione, di un’ inversione di rotta verso la dimensione antica ma sempre necessaria, che stiamo perdendo: quella dei cerchi della comprensione e del cammino solidale. E’ questa febbre genuina dell’incontro che sento viva nella mia terra e che cerco di trasmettere in poesia, un’”artetica” che cerca la condivisione e apre al mondo un orizzonte di soluzioni altre, possibili, per ogni violenza, ogni incomprensione.”
Annamaria Ferramosca

*

T’astèria (Franco Corlianò)

Tunìfta ì’ t’astèria pu me kanonùne
jatì ‘èn ècho tìpo ecès t’ammàddia-mu.
Amès to kòsmo èchi ‘i zoì
makà ‘i zoì-mmu.
Pos sòzo kanonìsi tin anghèra?
Pos ti sòzo milìsi pu ‘s emèna?
Evò ‘èn ècho tipo
jatì ‘èn ime tipo.
Ta guàita dikà-mu
ì’ poddhì plèon kèccia
a ta pràmata ‘s addhò.
Otikanè mu fènete dhammèno
puru t’astèria …
c’evò ‘è fitèome n’us kanonìso.

Le stelle

Sono le stelle stanotte a guardarmi
perché vuoti sono i miei occhi.
Nell’universo domina la vita
non la mia vita.
Come posso guardare il cielo?
Come posso parlargli di me?
Non ho niente
perché sono niente.
I miei problemi
sono piccola cosa
rispetto a quelli degli altri.
Tutto intorno è cambiato,
anche le stelle …
che io non riesco a guardare.

*

Da giorni quasi barricato (Vincenzo Errico)

relazioni pubbliche che scadono,
conversazione che non procede,
lettere che non corrispondono,

gli altri hanno in mente altro.

Riesco solo a non evitarmi,
sistemandomi attorno tutto ciò
che può dare l’idea
di ogni cosa al suo posto,

in tanto sorprendente decadere.

da Taccuino scarso (1995-1997)

*

la piazza delle vinte tarantole * (Annamaria Ferramosca)

Abbiamo altre parole questa notte
un corpo musicale
a vendicare il tempo
passato senza fuochi
Abbiamo l’alba
che batte su pelli tese in sarabanda,
furore d’argento sugli olivi,
fino al mare – l’eco
ingelosisce le grotte –
Piedi
a scandire colpi d’amore sulla terra
e tuoni
a dissipare tutte le aracnitudini

In piazza l’aria
è disegnata di spade con le braccia
le ragazze scintillano la terra
dove ballano
volano i cerchi delle gonne alla luna
S’incendiano i tamburi. Fino a sangue
(a sciogliere i cani ritmici, all’unisono,
si sfianca la paura)

* E’ la piazza di Torrepaduli, nel Salento

da Il versante vero, FERMENTI, 1999

*

Le cose di una vita (Abele Longo)

Una striscia di case sul mare
un branco di cani
l’inverno dei tossici randagi.

La tenga bene signora è morta
qui mia madre sola di crepacuore.

Fu un rumore in cucina a svegliarla,
i cani che guaivano.

Una delle due consolò l’altra.

Conosce la rotta del vento
la polvere che sfida
le cose di una vita.

*

La gestizie de Criste (Vincenzo Mastropirro)

La povèrtò se mange la povèrtò
e quanne nan’ tine nudde, ‘cchiù nudde è

allore Gesùcriste
maine ‘na scosse de tèrrèmote
e pelizze u munne da tanta gìente
ca nan’le sìerve mangh’ad Idde

difatte tande ca so assè
pe prequalle le mèttene tutte ‘nzime
ammassòte cume l’anemòle
inde-a-re fusse comìune.

Po’ dèisce ca Criste è granne, Criste è ‘bbune.

E’ ‘nu alte ca fosce sole le cazze ca vole idde e baste.

E’ chìesse la gestizie de criste?

Mah, sicce…
forsa-fùorse sime niu
ca ormai facèime acchessi sckèife
ca manche u Criatore ne stè ‘cchiù apprisse…

e comunque stè troppe ‘ngile
pe sapaie chère ca seccède do ‘bbasce.

da Antologia Corale per opera prima, LietoColle, 2010

La giustizia di Cristo

La povertà si nutre di povertà
e quando non hai niente più niente hai

allora Gesucristo dà una scossa di terremoto
e pulisce il mondo da tanta gente
che non serve nemmeno a Lui

infatti essendo così tanti
per seppellirli li mettono tutti insieme
ammassati come gli animali
nelle fosse comuni.

Poi dici che Cristo è grande, Cristo è buono

E’ un altro che fa solo i cazzi che vuole lui e basta.

E’ questa la giustizia di cristo?

Mah, chissà…
forse-forse siamo noi
che ormai facciamo così schifo
che neanche il Creatore ci sta più appresso…
e comunque stai troppo in cielo
per sapere quello che succede qui giù.

da Antologia Corale per opera prima, LietoColle, 2010

*

(Pierluigi Mele)

E la dolcezza non la puoi prevedere.
Prova a dire di chi manca a quest’ora
o della voglia del cielo di mandarci a morire
senza fargli la questua, le carte.
Però ne hai dolcezza del cielo,
c’è che da solo non sai proprio restare.
Tu fingi almanacchi
poeta, tu menti la fine.
E un poeta felice deve ancora venire.

*

Bugia (Francesca Pellegrino)

L’ultima volta si dormiva sui palmi
ed era di flanella il sonno
e se non fosse per l’arroganza dei metri
con la fretta nelle caviglie, verrei
a farti il caldo nelle mani
castagne ad ottobre.

Sapessi com’è sbiadito il furore dagli occhi
forse per via della tramontana
che ci è passata in mezzo, ma non temere
il freddo era solo all’inizio, ora sembra
quasi pace. Quasi
pace.

Ed intanto che non mi sai
vorrei tanto giocassimo assieme
a recitare le foglie, tu con le tue
ed io me le invento
sulle palpebre scese.
O anche provare a inseguirci
dita di maglie nel vento, tane su un muro,
le vite che voglio
con te.

Intanto che non ci sono
tu non aspettarmi così, coi gomiti
sugli stipiti ruvidi delle attese
ché non tornano. Ed io non torno,
ma non te lo sto neanche a dire
che il cielo non può attendermi
e che questo è un paradiso muto
senza la tua voce.

Arrivo presto
Come posso
Come questa
….

*

Non c’è HEIMAT (Pasquale Vitagliano)

perché non c’è mai stata
una terra, invano invocata
da una poesia civile
inascoltata perché estranea,
isolata perché solitaria,
irreale perché non si incarnò
in un bisogno barbarico di terra.
Ma finì per volteggiare nell’aria
di un luogo che fu e non è più,
di un ninnolo che si ereditò
da un tempo che fu di altri
sulla stessa terra di oggi.
Non i campanili, non le Sezioni,
non gli ipermercati ci appartengono;
il nostro luogo geografico è Scenario.
Apparteniamo tutti a noi stessi
e perciò tutti a nessuno
o al proprio Impresario.
Eppure una terra deve esserci
se esistono paesi a cui qualcuno
dette un nome così sacro:
DELLA DELIZIA.
Dove sempre plumbea
una pietra riaccolse
madre e figlio che a quella terra
appartennero. Ma il figlio non morì lì,
alla ricerca di un luogo che non c’era più,
se c’era mai stato.
Così lo ricorda un posto d’altri:
squallido, ostile, alieno e triste
come una sala d’attesa,
un parlatorio, una sagrestia,
una spiaggia di periferia,
dove andarono a morire
orfani o prodighi
i figli di questo paese senza terra,
neppure per quelli nuovi,
unicamente orfani
che ne vanno cercando una.



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