“Mark Hunter è un ragazzo che frequenta un liceo dell’Arizona. Studente modello e adolescente sensibile di giorno, di notte però conduce una doppia vita: è infatti lo scatenato animatore di una stazione radio pirata. Nelle sue trasmissioni, che ottengono un crescente successo, incarna i desideri frustrati dei suoi coetanei. Finché un giorno un ragazzo, suggestionato da una sua trasmissione, si uccide”
Forse a causa dello sventurato periodo di uscita nelle sale o semplicemente per un pessimo lavoro di marketing, Pump up the volume fu al botteghino (sia americano che d’oltreoceano) un sonoro fiasco. Un risultato ingiusto, ripagato tuttavia col tempo da incredibili ascolti nei passaggi televisivi e da un’aura di culto che, anno dopo anno, il film conquistò grazie ai frequentatori dei videonoleggi.
In effetti la tematica ben si prestava ad un’identificazione totale nel giovane protagonista, diviso, schizofrenico e romanticamente maudit come da copione. Un personaggio affascinante che Moyle non scrisse pensando a Slater ma che, una volta nelle mani del giovane attore, entrò immediatamente nelle sue corde, definendo forse la sua migliore interpretazione insieme all’Adso de Il nome della rosa (1986) di Jean Jacques-Annaud. Nel complesso si può rimproverare alla vicenda qualche didascalismo di troppo, giustificato da una malcelata piaggeria verso il pubblico di riferimento. Ma i dialoghi restano a tutt’oggi serrati, originali, coinvolgenti e soprattutto mai ipocriti, scelta che prevedibilmente costerà all’opera un moralistico divieto ai minori di 14 anni.
Ultima, non secondaria delizia per estimatori è rappresenta dall’eccellente soundtrack curata da Cliff Martinez (oggi collaboratore di fiducia del telentuoso regista di Drive Nicolas Winding Refn), che vanta brani di nomi del calibro di Leonard Cohen, Pixies, Sonic Youth, Soundgarden, Peter Murphy…
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