Tempo di mietere le suggestioni.
Due cose apprese in pochi giorni dalla lettura incrociata di O. Henry e di Le Scienze:
A) Un vero amico è quello che ti segue anche dietro il sipario dell’assurdo. [Credi tu alle favole, alle credenze, alle dicerie, alle deduzioni illogiche? Certo che sì, se può tornare utile.]
B) Non esiste algoritmo di processo dei Big Data in grado di eguagliare i risultati dell’intuito umano. [La privacy di Mr. Obama è salva (malgrado Spotify -dice la mia amica Olga- spifferi la musica che ha ascoltato oggi il Presidente), almeno finché Beyoncé non si metterà a cantare.]
Anche intristita per la scomparsa di Roberto “Freak” Antoni, vi toccherà sopportare una riflessione post-punk.
Quella punk* è un’attitudine a due facce.
A) L’eccitazione, lo sballo, la rampa di lancio, la rampa di lancio, la rampa di lancio, la rampa di lancio la rampa di lancio, la rampa di lancio, la rampa di lancio. Che sembra non finire mai.
B) Un bagliore accecante. Il tetto del mondo, il grido. E subito dopo il down.
Il mio è un down soffuso, dolce, silenzioso e calmo. Serie di fotogrammi singoli, uno simile all’altro nello slow motion. Neve che sfiocca lenta.
Forse anche alle altre persone serve sentirsi punk, solo che non lo sanno. Solo che esplodono dietro un impulso sterile, che chiamano disperazione, passione, tifo, fede, speranza, carità o altro.
Tutto bene, finché non intralciano la mia libertà.
Solo che le altre persone trascurano la fase down, tutti quei fiocchi di neve da raccogliere. Non conta che, prigionieri in una scatola di scarpe, si volatilizzino in un alone umido. Basta tenere un orecchio sul coperchio per continuare a sentirne il crepitio, per decifrarne, meglio di come farebbe la NSA, la verità racchiusa (C=A+B).
Punk’s not dead. C’è ancora del Neanderthal nel genoma del Sapiens, e molto cammino da fare sulla strada dell’evoluzione.
È andata. E nel prossimo post solo letteratura, chiarezza e metodo scientifico.
*) Punk è un termine inglese (che come aggettivo significa di scarsa qualità, da due soldi)