Puntualizzazioni teoriche

Creato il 26 gennaio 2012 da Conflittiestrategie

Vi invitiamo ad andare sul nostro sito (www.ripensaremarx.it) perché è stato pubblicato un nuovo saggio di Gianfranco La Grassa: “Puntualizzazioni teoriche”. L’elaborato lagrassiano parte dall’Introduzione del 1857 a Per la Critica dell’economia politica di Karl Marx dove quest’ultimo, analizzando la formazione economico-sociale capitalistica, fissa gli elementi generali della produzione (che sono presenti in ogni epoca) al fine di meglio cogliere le differenze storiche specifiche e le forme relazionali peculiari di ciascuna di esse, soprattutto di quella in cui si trova ad operare. Con questo approccio scientifico Marx si sbarazza delle robinsonate degli economisti classici e neoclassici i quali facevano risalire i rapporti economico-sociali, derubricati a meri legami cosali,  alla notte dei tempi, fissandoli persino in una fantomatica natura umana sempre uguale a sé stessa, anziché al particolare contesto epocale in cui si sviluppava quella determinata formazione chiamata capitalistica. Per Marx, dunque, il Capitale è innanzitutto una specifica forma di proprietà dei mezzi produttivi, quindi è un rapporto sociale che determina in quale gerarchia si troveranno i detentori di tali mezzi e gli erogatori di mera forza lavoro nell’attività trasformativa, e questo nonostante sulla superficie sociale del sistema, cioè sul mercato, tali soggetti ormai liberati dai vincoli di dipendenza, si confrontino sempre come individui parificati, impegnati nell’atto di scambiarsi reciprocamente merci al loro valore (medio). Quindi, per il Moro a fondamento di tutto vi è la produzione di quel rapporto di subordinazione che non si vede nel mercato (il quale sale sul palcoscenico immediatamente empirico della società prendendosi tutta la scena) e che si verifica pienamente nel processo produttivo, riproducendo costantemente, non solo merci, ma forme relazionali adatte al funzionamento del Tutto Sistemico. La Grassa, estende questo ragionamento marxiano, che certamente non è economicistico ma che, tuttavia, risulta ancora troppo schiacciato sulla sfera economica pensata quale base della società, alle “epoche storiche”. Se vogliamo pensare non generalmente la nostra epoca, come Robinson fuori dal mondo reale, cioè calati in una dimensione sociale immutabile, senza spazio e senza tempo (questo lo vorrebbero i dominanti ed i loro ideologi prezzolati), dobbiamo procedere teoricamente con lo stesso criterio approntato da Marx. Difatti, sostiene La Grassa, occorre certamente fissare quegli elementi generali validi in ogni fase ma verificando, per via d’analisi, come mutano i rapporti tra questi per giungere alla valutazione della riproduzione sociale storicamente determinata. Per la prospettiva teorica di Marx gli elementi generali della produzione erano. 1) il soggetto che lavora, 2) l’oggetto su cui si esercita l’attività del soggetto, 3) lo strumento di lavoro. Per La Grassa, invece, che utilizza una diversa angolazione analitica, più contigua alla politica come complesso di mosse coordinate finalizzate a vincere nella lotta per la supremazia (razionalità strategica invece che strumentale), gli elementi generali e specifici vengono così articolati: “Le epoche (e fasi) storiche riguardano complessi raggruppamenti sociali (società, formazioni sociali), di cui isolare i gruppi che appaiono essere i decisori d’ultima istanza nel comportamento attivo di maggiore rilevanza, in quanto portatori del movimento in questione, in genere di carattere evolutivo cioè trasformativo delle loro strutture relazioni interne(…). Diciamo che i gruppi decisori sono, in generale, i soggetti (…) L’oggetto in generale è costituito dai raggruppamenti sociali complessivi (…) cioè delle formazioni sociali in generale, (…), il mezzo in generale per l’azione dei soggetti sull’oggetto è la lotta per la supremazia, lotta che assume forme estremamente variabili, ed il cui carattere di mutevolezza costituisce appunto l’aspetto generale “della lotta condotta dagli individui della nostra specie”. Così, è proprio lo squilibrio, in quanto astrazione di questa mutevolezza inarrestabile delle forme di conflitto, che costituisce l’elemento più generale delle società umane. L’equilibrio, quello che viene percepito dai sensi come l’ottimo cui la società tende quasi spontaneamente, è solo l’apparenza che prende il davanti della scenografia, proprio come il mercato, guidato dalla mano invisibile e dalle sue fantasmagoriche regole consolidatrici (“La vita è dunque lotta, conflitto per prevalere. Questo l’aspetto più superficiale, il corrispondente della concorrenza mercantile nell’ambito della produzione condotta secondo le modalità tipiche vigenti nella formazione sociale detta capitalistica”). Se questa ipotesi è vera, come noi crediamo, allora, al fine di orientarsi nello squilibrio incessante del reale, occorre stabilizzare il campo in cui l’azione dei soggetti deve svolgersi ed articolarsi, fissando le coordinate necessarie a “prendere posizione”, per quanto possibile e sempre provvisoriamente, nel perimetro d’azione in considerazione. La Grassa individua due mezzi di stabilizzazione del reale: la teoria e l’istituzionalizzazione, con la creazione di apparati retti da regole di comportamento dei corpi sociali in attività, sempre secondo una scala gerarchica. Tuttavia, tanto la prima che i secondi “tendono, per forza d’inerzia, alla conservazione dell’esistente; quindi si trasformano presto in strumenti di quest’ultima. Esse vengono addirittura rafforzate con successive ‘aggiunte’. Gli Istituti e apparati esistenti vengono specialmente difesi da apparati di coercizione e repressione di ogni tentativo di modificazione, tentativo compiuto per adeguarli allo squilibrio incessante che ha condotto verso altri assetti dei rapporti sociali. D’altra parte, l’adeguamento toglierebbe il potere ai gruppi decisori della ‘realtà’ precedente e lo assegnerebbe a nuovi gruppi. La teoria crea una cintura (o, forse meglio, nervatura) ideologica per obnubilare la coscienza dell’inevitabile corrosione cui è sottoposta la sua rappresentazione strutturale della realtà da parte del flusso di spinte squilibranti; essa cerca così, testardamente, di attestarsi sui vecchi supposti equilibri”.  Questo proposta scientifica stravolge le precedenti convinzioni e disegna un quadro della realtà, con un “doppio livello”, assolutamente inedito, del quale dobbiamo prendere coscienza (flusso squilibrante) al fine della conoscenza del nostro mondo (sistema sociale), tentando d’incidere, partendo proprio dalla pratica teorica, sui suoi pilastri. Se lo squilibrio costituisce lo sfondo o il fondo della vita associata, la costruzione di una nuova scienza sociale deve principiare dal conflitto generato da quello squilibrio, “dalle teorie come costruzione di campi di stabilità per combatterlo, dalle strategie quale mezzo principale di tale combattimento”.  Dunque, non si ha conoscenza del flusso del reale ma soltanto, e per gradi di riflessione via via più intensi, dei campi stabilizzati ma conflittuali in cui i soggetti portatori delle strategie si trovano a confrontarsi/scontrarsi. Soltanto con strumenti teorici adatti si può costruire, e per via d’approssimazione, tale realtà stabilizzata “che serva da campo delle nostre pratiche”. Su questi dobbiamo ora concentrarci collettivamente. In questa battaglia teoretica rischiamo soltanto di perdere le catene ideologiche di superate speculazioni che, in altre fasi, sono state utili e liberatorie ma che adesso costituiscono esclusivamente una benda sugli occhi.


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