Il secondo filone, quello sulla povertà, è invece concentrato molto sugli aspetti metodologici delle misure di povertà, principalmente in un’ottica multidimensionale. In tal senso particolare attenzione è stata data ai paesi in via di sviluppo, attraverso una vasta rappresentanza di ricercatori che hanno presentato lavori in particolare su America Latina e Cina, a testimonianza della crescente attenzione verso paesi a medio reddito.
All’interno di questo secondo filone si inserisce il dibattito sugli aiuti internazionali e sul loro impatto in termini di povertà. La conferenza ha visto infatti la partecipazione di alcuni esponenti emeriti della World Bank, fra i quali Martin Ravaillon e Ravi Kanbur.
Quest’ultimo in particolare ha tenuto un intervento sulla possibilità dei paesi a medio reddito (Middle Income Countries – MIC) di continuare ad essere destinatari di aiuti internazionali, pur essendo essi stessi donatori verso altri Low Income Countries. In effetti, è una realtà di fatto l’esistenza di nazioni quali la Cina ed in particolar modo l’India che, pur essendo entrate nel club dei MIC e avendo esse stesse agenzie di coordinamento e gestione del proprio aiuto internazionale verso paesi terzi, sono ancora destinatarie di aiuto internazionale. Sino al paradosso della Gran Bretagna che continua a inviare aiuti verso una nazione (India) le cui multinazionali hanno in alcuni casi acquisito imprese britanniche. E ciò vale tanto nel caso di aiuti bilaterali che multilaterali.
In termini empirici il paradosso è presto risolto se si guardano le cifre al di fuori delle medie. Ad esempio, l’India ha ancora 400 milioni di persone che vivono in condizioni di povertà (World Bank).
Partendo da tali riflessioni, Kanbur chiama in causa il principio rawlsiano del “maximin”[2], in base al quale occorre migliorare il più possibile la situazione di coloro che stanno peggio. Alla regola del maximin si attengono, secondo Rawls, gli individui nella posizione originaria, ovvero quando, incerti sulla propria condizione sociale futura, scelgono razionalmente la soluzione più equa dal punto di vista morale. Essi cioè optano per una società dove le ineguaglianze siano usate per migliorare la condizione dei più svantaggiati (tra cui un domani potrebbero esserci anche loro. Estendendo tali considerazioni su scala globale (Global Rawlsian) ne deriverebbe un’attenzione verso gli ultimi a prescindere dalla loro nazione di appartenenza. Ma Rawls stesso era contrario ad un’estensione del principio in un’ottica cosmopolita[3].
Sulla base di queste considerazioni filosofiche, Kanbur sottolinea la pericolosità di una drastica riduzione dell’aiuto verso i MIC, poiché in essi risiedono circa i ¾ dei poveri del mondo. In tal senso, all’interno della stessa World Bank vi è un intenso dibattito sui nuovi criteri di eleggibilità dell’aiuto internazionale da parte degli stati. Ciò, al fine di bilanciare da un lato il dovere dello Stato di tutelare i propri cittadini attingendo a fondi nazionali e dall’altro la lotta universale contro la povertà, che va al di là dei confini delle nazioni.
[1]Checchi D., Braga M., Meschi E., Van de Werfhorst H. “The Policy Response to Educational Inequalities”, in Changing Inequalities and Societal Impacts in Rich Countries: Analytical and Comparative Perspectives, OUP 2013, http://checchi.economia.unimi.it/pdf/78.pdf; Blaise M, Santangelo G. (2013), “The evolution of gender wage gap”, http://www.ecineq.org/ecineq_bari13/documents/booklet05.pdf; Raitano F., Vona F. (2011), “From the Cradle to the Grave: The Impact of Family Background on Carrier Paths of Italian Males”, http://www.ecineq.org/ecineq_bari13/FILESxBari13/CR2/p135.pdf
[2]Rawls J., A Theory of Justice, Cambridge, Massachusetts: Belknap Press of Harvard University Press, 1971.
[3]Rawls J., The law of peoples, Cambridge, Massachusetts, 2001.