Purgatorio: l’anticamera del Paradiso

Creato il 24 gennaio 2012 da Senziaguarna

di Roberto Beretta

La Sacra Scrittura insegna la possibilità di espiare i peccati anche dopo la morte. Ma la credenza nel Purgatorio è una risorsa per la civiltà. Lo afferma Franco Cardini.

La Navicella del Purgatorio - miniatura dal Purgatorio della Divina Commedia Egerton, f.65v - Bologna, 1340 ca.

La gaffe di Le Goff. Il gioco di parole è subito spiegato, quando si ricorda che Jacques Le Goff è un famoso storico francese e che la sua opera capitale s’intitola La nascita del Purgatorio: un librone in cui lo studioso del Medioevo dimostra come i monaci di Cluny, dal Mille in poi, elaborarono l’immagine di un luogo dell’aldilà in cui le anime si purificavano prima dell’ascesa al Paradiso.
Vuoi dire dunque che il purgatorio è stato “inventato” dalla Chiesa addirittura un millennio dopo Cristo? Questa è l’impressione che molti lettori – un po’ frettolosi, però – hanno ricavato dal saggio di Le Goff: il purgatorio sarebbe soltanto una favoletta creata per far paura ai cristiani; nel Vangelo non c’è niente che ne accrediti la presenza e comunque si tratta di una concezione teologica superata. Ma è proprio così? Per rispondere a Le Goff (o, meglio: ai suoi interpreti) nessuno è più adatto di Franco Cardini: prestigioso collega, nonché amico, del medievista francese.

L'albero dei golosi - miniatura dal Purgatorio della Divina Commedia Egerton, f.103v - Bologna, 1340 ca.

Professore: per molti, anche cattolici, sembra ormai stabilito che il purgatorio sia un’“invenzione”. Ma Le Goff ha detto veramente questo, oppure no?
“Per la verità no, anche se qualche volta l’illustre storico finge di averlo sostenuto. Le Goff ha dimostrato un’altra cosa: ovvero che nell’immaginario collettivo l’idea del purgatorio come luogo è andata radicandosi nel tempo fino alla grande rielaborazione dei monaci di Cluny, avvenuta nel X e XI secolo e giunta fino a noi. Il purgatorio, come molte altre credenze, ha insomma una sua storia, che dipende anche dalla cultura del tempo in cui lo si è studiato; perciò Le Goff avrebbe fatto meglio a parlare di “scoperta” piuttosto che di “nascita” del purgatorio: come se prima del Medioevo non esistesse la nozione di uno stato di purificazione delle anime dei defunti”.

Non fu così?
“No. Nella tradizione cristiana il problema delle pene purgatorie (da cui il nome di “purgatorio”) è molto antico, legato al concetto d’imperfezione dell’anima quando si è separata dal corpo. Dove “abitano” infatti le anime dopo la morte? Due erano le ipotesi correnti: la morte come una specie di sonno e d’attesa (si tratta dell’idea ebraica, accettata dai primi cristiani e passata anche nell’islam), oppure l’anima che vaga senza sosta (è il concetto greco e pagano in genere: le “anime in pena”, quelle di chi ha commesso un crimine grave oppure di chi non ha avuto una sepoltura onorevole, si aggirano nell’aria senza riuscire a trovar pace). Di qui il concetto di una beatitudine non perfetta dell’anima, che deve ripulirsi dalle impurità anche attraverso la sofferenza, si trasferisce nel cristianesimo”.

L’idea della purificazione ultraterrena esiste dunque fin dai primi secoli cristiani?
“Sì, la si nota già in alcune passioni dei martiri e poi in molte vite di santi, che parlano di un periodo intermedio dopo la morte. Nel Medioevo si comincia invece a formulare la convinzione che tale stato sia collegato anche a un luogo fisico, di solito sottoterra come volevano le mitologie ebraiche e classiche. Oggi siamo tornati a pensare a una condizione psichica e spirituale dell’anima, piuttosto che a un punto geografico: in un certo senso siamo più vicini alle credenze cristiane primitive”.

Insomma, quello che il medioevo ha “inventato” è semmai la montagna di Dante, non il purgatorio.
“La montagna, l’isola, il luogo sotterraneo… Il Medioevo ha cercato una corrispondenza topografica per un concetto – l’immortalità dell’anima, la comunione dei santi e la graduale purificazione anche dopo la morte -che in realtà era ben noto fin dall’inizio del cristianesimo”.

Oggi, però, il purgatorio sembra un concetto “fastidioso”: i teologi ne parlano pochissimo e lo stesso “Catechismo della Chiesa cattolica” gli dedica solo alcuni paragrafi. Lei crede che nella cultura contemporanea abbia ancora un posto?
“Il purgatorio è spesso considerato una credenza irrazionale e devota, ma io – al di là dei risvolti teologici e dottrinali – vorrei sottolinearne il grande valore culturale e civico: il purgatorio è una delle risorse che hanno costruito la modernità”.

In che senso?
“Basta pensare che, secondo il principio della comunione dei santi, i vivi possono intercedere per i trapassati attraverso le opere buone. Ebbene, moltissime opere d’arte che oggi ammiriamo sono frutto dei suffragi per le anime del purgatorio, o magari di un anticipo versato a sconto delle sofferenze che si dovranno patire nell’aldilà. Il purgatorio è stato una straordinaria risorsa della civiltà. Tra l’altro, l’idea che il male si possa riscattare con opere buone anche per i propri cari defunti è geniale: cancella il limite invalicabile della morte, riequilibra le ingiustizie terrene e da una forza positiva a tutte le azioni”.

Inoltre il purgatorio è pur sempre una possibilità in più, una specie di “tempo supplementare” per recuperare in extremis anche il peccatore più incallito…
“Ma la giustizia retributiva non dev’essere molto simpatica ai nostri contemporanei, che preferiscono sostenere che l’inferno è vuoto (quindi neanche il purgatorio serve più…), lo invece temo che tale concezione non sia tutto sommato una gran bella trovata, dal punto di vista sociale, perché alla fine finisce per deprezzare il valore delle opere umane: se conta solo la misericordia gratuita di Dio, perché affannarsi tanto a “guadagnare” il premio?”.

I lussuriosi - miniatura dal Purgatorio della Divina Commedia Egerton, f.108v - Bologna, 1340 ca.

Che cosa crede la Chiesa sul Purgatorio
La Sacra Scrittura non parla mai di purgatorio, ma vari brani biblici (per esempio 2 Mac. 12, 39-46) attestano la possibilità di espiare i peccati dei defunti. Le prime tracce della fede nella purificazione delle anime appaiono dalla fine del II secolo negli scritti di alcuni Padri della Chiesa (Tertulliano, Clemente Alessandrino, Origene, Agostino) e nelle iscrizioni sepolcrali delle catacombe.
San Gregorio Magno (VI secolo) ritiene che “per quanto riguarda alcune colpe leggere, si deve credere che c’è, prima del giudizio, un fuoco purificatore”.
Il concilio di Lione (1274) afferma che “le anime sono purificate dopo la morte con pene che lavano”; il concilio di Firenze (1439) è il primo che indica il purgatorio come verità di fede.
Il concilio di Trento (1563) ribadisce che “il purgatorio esiste e che le anime ivi trattenute possono essere aiutate dai suffragi dei fedeli”.
Il Catechismo della Chiesa cattolica se ne occupa ai numeri 1030-1032: “Coloro che muoiono nella grazia e nell’amicizia di Dio, ma sono imperfettamente purificati, sebbene siano certi della loro salvezza eterna, vengono però sottoposti, dopo la loro morte, ad una purificazione… La Chiesa chiama purgatorio questa purificazione finale degli eletti, che è tutt’altra cosa dal castigo dei dannati”.
Giovanni Paolo II, nell’udienza del 4 agosto 1999, ha detto che il purgatorio “non indica un luogo, ma una condizione di vita. Coloro che dopo la morte vivono in uno stato di purificazione sono già nell’amore di Dio, il quale li solleva dai residui dell’imperfezione”.

da “Il Timone”, n. 14, anno III – luglio/agosto 2001 – pp. 38-39.



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