29.12.2012
Alla generazione che leggeva avidamente gli stenogrammi
Dei Congressi dei Deputati del Popolo [1], si dedica…
Se un popolo che 20 anni fa sognava la libertà oggi sceglie la schiavitù, se è nauseato dalle parole "uguaglianza" e "fraternità", se si annoia quando parlano di democrazia e si addormenta quando si tratta della Costituzione, ciò non significa ancora che vi è andata male con il popolo. Significa solo che qualcuno ha ingannato bene questo popolo e ora questo non crede a nessuno.
Il peccato originale della rivoluzione russa
Il 4 febbraio 1990 a Mosca si svolse l'azione di protesta più massiccia nella storia dell'URSS, a cui presero parte, secondo varie stime, da 300 mila a 1 milione di persone, che richiedevano l'abolizione del 6° articolo della Costituzione, che fissava la posizione dominante del partito comunista nel sistema politico del paese. I sondaggi dell'opinione pubblica mostravano che più di metà della popolazione della Russia e più del 70 per cento degli abitanti di Mosca e Leningrado sostenevano le richieste dei manifestanti. Tre giorni dopo, il 7 febbraio 1990, al Plenum del CC del PCUS fu presa la decisione di rinunciare al ruolo guida del PCUS, di stabilire un sistema multipartitico e introdurre il posto di presidente dell'URSS. Questo fu il prologo della futura rivoluzione.Il 24 dicembre 2011 alla più massiccia manifestazione di protesta contro le "elezioni disoneste" sono andate, secondo varie stime, da 30 a 130 mila persone. Leader della protesta sono risultati in senso proprio e figurato i figli di chi portò la gente in piazza 20 anni fa. Tuttavia questo movimento non ha ottenuto alcuno sviluppo, né un vero sostegno di massa. Dopo letteralmente qualche mese l'attività politica della popolazione è calata e l'iniziativa è passata al potere. Un anno dopo, nell'autunno 2012, il governo ha compiuto l'ennesimo ciclo di controriforme costituzionali, mettendosi convinto "sotto i piedi" non solo lo "spirito della Costituzione", ma anche la lettera. Così è stato finito di scrivere l'epilogo della controrivoluzione, che si preparava da almeno 10 anni.
Perché ai figli non è riuscito fare ciò che seppero fare i loro padri? Oso supporre che sia successo perché i padri hanno tradito quella stessa rivoluzione che hanno compiuto. Hanno scambiato la libertà con la privatizzazione e in tal modo hanno scelto per la nuova Russia il destino che si merita.
La privatizzazione è il peccato originale della rivoluzione anticomunista (liberale) in Russia. Senza pentirsene la Russia non potrà mai tornare indietro nell'alveo del movimento costituzionale e democratico. Proprio la barbarica privatizzazione, in pari grado socialmente immorale ed economicamente insensata, ha minato per molti decenni la fede del popolo russo nei valori liberali.
Paradossalmente i più sfrenati sostenitori del regime e i suoi più scatenati avversari nelle questioni della privatizzazione sono un fronte unito. La privatizzazione è uno di temi più tabù nella società russa contemporanea. I suoi critici vengono immutabilmente messi ai margini della discussione sul futuro della Russia. Richiedere un riesame degli esiti della privatizzazione è ritenuto perfino più indecente che dichiarare inevitabili la rivoluzione e la dittatura. La privatizzazione è diventata silenziosamente la "vacca sacra" del post-comunismo russo. La invocano sia il Cremlino, sia molte guide di piazza Bolotnaja [2]. E' giunto il tempo di macellarla.
La privatizzazione barbarica
Si usa ritenere che nel XX secolo la Russia per due volte, all'inizio e alla fine, abbia sperimentato la più grande rivoluzione politica e sociale. Tuttavia, se la rivoluzione bolscevica, senza alcun dubbio, si può ritenere sia politica sia sociale, a dire una cosa del genere della perestrojka e dei susseguenti cataclismi la lingua non si muove. Che sia stato un rivolgimento politico non causa dubbi, ma che sia stata una rivoluzione sociale pare una forte esagerazione. Il potere e la proprietà in Russia dopo la perestrojka di fatto sono rimasti nelle mani della stessa classe (o più delicatamente della stessa élite) che li possedeva prima del rivolgimento. Sono cambiate solo le forme della sua signoria politica.All'inizio della perestrojka l'élite sovietica consisteva della nomenklatura, dei vertici dell'intellighenzia e delle autorità criminali. Questi in essenza hanno costituito anche il nucleo dell'odierna élite russa. Non si è verificata alcuna "rivoluzione sociale" in Russia né negli anni '90, né negli "anni Zero". Se si cerca un vero rivoluzionario in questo senso, risulterà esserlo Brežnev, sotto cui si verificò un cambiamento radicale nella posizione della "corte sovietica", che fu separata dallo stato e prese coscienza dei propri interessi di clan particolari (privati). Il principale di questi consisteva nel difendere il diritto di fatto di disporre del patrimonio dello stato come del proprio. La privatizzazione è stata il metodo con l'aiuto del quale l'élite sovietica ha potuto trasformare il proprio "diritto de facto" in diritto "de iure".
Gli apologeti della privatizzazione cercano di porre il segno di uguaglianza tra questa e il riconoscimento del diritto alla proprietà privata, senza cui l'ulteriore sviluppo della società russa (sovietica) era davvero impossibile. In realtà la privatizzazione, nella forma in cui fu condotta, non ha niente a che fare né con lo sviluppo dell'istituto della proprietà privata, né con lo sviluppo di un'economia di mercato concorrenziale, né con lo sviluppo della democrazia. Al contrario, tutto ciò che in 20 e più anni è stato raggiunto in Russia in questi ambiti, è stato fatto non grazie alla privatizzazione, ma suo malgrado. Se si parla di democratizzazione della società, il picco di questo processo fu superato già ai tempi di Gorbačëv e con lo sviluppo della privatizzazione per l'appunto coincise l'involuzione della democrazia. La nuova Costituzione fu scritta con il sangue del parlamentarismo russo sulla coscienza privatizzata della nazione.
Proprio la privatizzazione è il demiurgo della società russa contemporanea e dello stato con tutti i suoi problemi e disfunzioni. Conseguenze dell'"accelerata" privatizzazione sono state la disuguaglianza sociale (che ha trovato incarnazione nell'oligarchia post-sovietica) che paralizza la società e la totale trasformazione della vita economica, sociale e politica in qualcosa di criminale. La privatizzazione ha rallentato tutte le riforme di mercato e democratiche in Russia e ha reso impossibili alcune di esse. E' stata la maggiore catastrofe sociale dai tempi della rivoluzione bolscevica e della Guerra Civile.
Una nazionalizzazione da gangster
Non c'è niente di stupefacente nel fatto che già a metà degli anni '90 del secolo scorso il rifiuto della privatizzazione da parte della maggior parte della popolazione sia stato il leitmotiv fondamentale della protesta politica. Verso il 1996 su questo terreno sorse perfino la minaccia di un cambio di potere, che al Cremlino riuscì neutralizzare solo grazie al tradimento dei leader del partito comunista, che a quel tempo era riuscito a "privatizzare" di soppiatto il movimento di sinistra.Gli odierni comunisti hanno insieme al governo la responsabilità diretta di tutto ciò che si è verificato in Russia a partire dalla metà degli anni '90. Scuotendo a parole gli stracci polverosi di dogmi pseudo-marxisti, in pratica hanno riconosciuto gli esiti della privatizzazione e si sono inseriti comodamente nel sistema economico e politico da essa sviluppatosi. Proprio la posizione concordante dei comunisti ha permesso di evitare il puntuale riesame degli esiti della privatizzazione e di conseguenza lo sviluppo storico della Russia è entrato in un vicolo cieco. Direttamente legate al tradimento dei comunisti sono anche le aste dei pegni, che hanno contrassegnato la rapina del paese.
Vladimir Putin, giungendo al potere, intraprese immediatamente passi diretti al rafforzamento degli esiti della privatizzazione, in particolare introducendo i corrispondenti emendamenti al Codice Civile della Federazione Russa. Allo stesso tempo dovette reagire politicamente a una potentissima richiesta sociale, il cui senso portava allo svolgimento della ri-nazionalizzazione. L'intercettazione degli slogan del movimento di protesta non è cosa nuova per Putin. Già all'inizio degli "anni Zero" raccolse il guanto lanciatogli e rispose alla sfida. Proprio allo svolgimento di una nazionalizzazione nascosta porterà il contenuto di tutta la sua politica economica nel corso degli ultimi 10 anni.
Il rifiuto diretto della privatizzazione era impossibile per Putin, poiché aveva ricevuto il potere dalle mani di chi ne era il principale beneficiario Perciò dette inizio a una "nazionalizzazione storta", sotto cui la proprietà formalmente continuava a restare privata, ma disporne senza l'assenso del governo era già impossibile. Questa nazionalizzazione risultò tanto banditesca quanto lo fu la stessa privatizzazione. Lo stato, con l'aiuto dei servizi segreti e l'appoggio diretto della criminalità costruì un sistema di controllo informale sugli imprenditori, alla base del quale stava il terrore economico (il diritto del governo di togliere qualsiasi proprietà a qualsiasi proprietario e di reprimere il proprietario stesso).
La "nazionalizzazione storta" è un compromesso politico. Da una parte numerosi redditieri, sorti in seguito alla privatizzazione, hanno conservato la possibilità di ottenere ancora le proprie rendite. Questa classe parassitaria è perfino cresciuta di misura, riempiendosi di numerosi rappresentanti della "burocrazia delle strutture armate" che non erano giunti in tempo alla "prima distribuzione". D'altra parte tutti questi si sono trasformati in detentori condizionati di asset, che ne dispongono con il permesso del governo, che gli impone vari pesi di carattere tanto sociale quanto di corruzione.
Questo sistema mostruoso, fondato sulla nuda violenza appena drappeggiata, senza risolvere alcuno dei problemi generati dalla privatizzazione, ha aggiunto a questi nuovi problemi, conseguenza dell'abuso legale da questo generato. Proprio il tentativo di compiere una nazionalizzazione nascosta ha portato alla trasformazione finale della Russia in uno stato mafioso. Putin ha "curato" la Russia, ma non l'ha guarita. Con la sua politica a doppio senso ha solo cacciato la malattia all'interno.
Un ingorgo di sinistra sulla corsia di destra
Il ritorno della Russia a una politica liberale è possibile attraverso l'assoluzione di compiti che di solito spettano al movimento di sinistra. Dopo ciò che i riformatori hanno fatto con la Russia all'inizio degli anni '90, nella "corsia di destra" si è formato un "ingorgo di sinistra". Adesso in cambio del "vicolo cieco del comunismo" è venuto il "vicolo cieco della privatizzazione".
A un primo sguardo la situazione appare del tutto disperata. La privatizzazione è il conservante dell'attuale sistema economico e politico. Non si può cambiare senza riesaminare i suoi esiti. Allo stesso tempo il riesame degli esiti della privatizzazione 20 anni dopo potrebbe dare il via a una così dura redistribuzione della proprietà che nessun governo sarebbe in grado di controllarla.
Non c'è risposta neanche alla domanda su dove siano i limiti morali e legali entro cui si possa svolgere una nazionalizzazione oggi. Infatti non sono state privatizzate solo le compagnie estrattive e le grandi banche. Per tutto il paese milioni di persone per 20 anni hanno giocato alla "roulette russa". E dal punto di vista del metodo di privatizzazione qualsiasi "Sibneft'" [3] si distingue poco dalla privatizzazione di una qualsiasi base per la produzione di verdura in un qualsiasi distretto. Inoltre posso supporre che intorno a una base di distretto talvolta siano ribollite passioni scespiriane più sferzanti che nel romanzo criminale di Abramovič con Berezovskij [4]. Ma non si può far tornare indietro la storia e togliere tutte le basi per la produzione di verdura agli attuali proprietari. La privatizzazione è andata avanti ovunque nello stesso modo criminale. Tutta la Russia posa su queste traballanti fondamenta. Toccale e l'edificio può semplicemente crollare come un castello di carte.
La difficoltà del compito, tuttavia, non libera dalla necessità di cercare una soluzione. La vita stessa ha suggerito una delle possibili soluzioni. Come nel noto film di Gajdaj [5] – "Chi ci disturba ci aiuterà". La crisi economica degli anni 2008-2009 ha confermato il fiasco totale dell'ideologia e della pratica della privatizzazione, mostrando che buona parte delle imprese "private" sviluppatesi su questo terreno sono economicamente inconsistenti e senza l'aiuto dello stato non possono esistere. Distribuire la proprietà in mani private non significa creare una classe di imprenditori. Sì, una qualche parte dei nuovi proprietari ha saputo creare imprese commerciali efficienti, ma la maggior parte in tutti questi anni ha semplicemente tagliato cedole finché la crisi stessa non li ha tosati [6] come pecore.
Oggi il governo, come in epoca sovietica, attraverso istituti speciali da esso creati come la VĖB [7] e la VTB [8], come pure con decine di altri metodi caccia enormi quantità di denaro in imprese formalmente private, tenendole artificialmente a galla, salvandole dall'inevitabile fallimento, ma al contempo non toglie queste imprese ai loro proprietari. In cosa consiste il ruolo dei proprietari di queste imprese un tempo privatizzate? Nel mettere nelle proprie tasche parte dei mezzi finanziari stanziati dallo stato. Difficile immaginarsi una situazione più assurda. In questo caso la natura parassitaria dell'oligarchia russa diventa evidente per tutti.
Ma ciò significa che la ri-nazionalizzazione può anche essere svolta in parte con la semplice inclusione dei meccanismi di mercato e di concorrenza. Se in seguito alla privatizzazione è sorta un'impresa redditizia che funziona efficacemente, che è piuttosto un'eccezione che conferma la regola generale, questa non ha bisogno di nazionalizzazione. Alla fin fine, con il tempo si possono costringere i proprietari a risarcire le spese con il pagamento delle tasse. A dire il vero, per questo è necessario tornare a un'aliquota differenziata di tassazione. Ma se un'impresa privatizzata si trova di fatto ad essere sovvenzionata dallo stato (attraverso crediti offerti a condizioni non di mercato, attraverso ordini di stato garantiti o perfino attraverso sussidi diretti), non c'è alcun fondamento per lasciarla nelle mani di proprietari inefficienti. La nazionalizzazione si compie in parte da sola, se lo stato cessa di tenere a galla ciò che è destinato ad affondare.
In un modo o nell'altro, la società si deve difendere da una classe parassitaria gonfiatasi a dismisura in seguito alla privatizzazione. Questa è oggi il principale freno al progresso storico della Russia. Putin era e resta il principale difensore e la principale espressione di questa classe. Perciò l'opposizione deve presentare alla società non un programma di lotta con Putin (con il regime putiniano), ma un piano strategico di superamento delle conseguenze di quella catastrofe economica, sociale e politica che è stata per la Russia la privatizzazione e che, in sostanza, ha generato anche Putin.
Alla nascosta nazionalizzazione mafiosa che Putin compie dal 2003 dev'essere contrapposto un programma alternativo di aperta e trasparente nazionalizzazione, il cui scopo non è il ritorno al passato sovietico, ma la preparazione del terreno per la creazione di una vera economia concorrenziale e libera. Solo in tal modo l'opposizione liberale (ma anche qualsiasi altra) potrà farsi ridare fiducia dal popolo e garantire il livello di sostegno che aveva il movimento democratico all'inizio degli anni '90.
La nazionalizzazione della libertà
Paradossalmente in Russia la via per la democrazia e il mercato passa attraverso la nazionalizzazione. Per la Russia contemporanea la nazionalizzazione non è affatto un programma di sinistra, ma di destra, tra l'altro radicalmente liberale. Il compito della nazionalizzazione sta nel togliere la Russia da questo zigzag in cui l'ha contorta la privatizzazione criminale. Non ho un programma di nazionalizzazione, ma ho il preciso concetto che questo programma dev'essere preparato. Perché quella nazionalizzazione che Putin ha organizzato in società con la cooperativa "Ozero" [9] non mi va assolutamente. E solo dopo, quando tutte le rovine saranno rimosse, la Russia potrà tornare all'idea di privatizzazione, ma a condizioni di mercato e legali.La necessità della nazionalizzazione in Russia è condizionata non tanto da motivi economici, quanto politici ed etici. E' una questione di conservazione della salute morale della nazione. E ciò non riguarda affatto solo gli oligarchi, che hanno strappato in questo affare il boccone più grosso. Riguarda tutti e ognuno. Perché alla fine del secolo scorso, come pure all'inizio, tutta la Russia si è appassionatamente gettata in un avvitamento di rapina. Come giustamente ha notato a questo riguardo Jurij Pivovarov [10], in tutto il paese iniziò il duvan (la riunione dei cosacchi per la divisione del bottino). E se in senso economico-finanziario c'è differenza tra l'appropriazione di un qualche GOK [11] e la divisione in parti di un qualche kolchoz, in ambito morale non c'è alcuna differenza tra queste.
La privatizzazione è stata un grande tentativo che la rivoluzione russa non ha retto. Oggi si vede tutto nero e il tempo dell'autentico entusiasmo e del grande sollievo dello spirito che accompagnarono la perestrojka sembra un'epoca di continui errori, menzogne e passioni meschine. Ma non bisogna ingannarsi, la gente che andò in piazza del Maneggio [12] nel febbraio 1990 aspirava davvero alla libertà e credeva in essa. Tuttavia dopo qualche anno privatizzò la propria libertà, trasformò la libertà in un'industria privata. Perché il popolo creda di nuovo nella libertà, bisogna nazionalizzarla. Come pure tutto ciò che è stato rubato.
Vladimir Pastuchov [13], http://www.novayagazeta.ru/politics/56123.html (traduzione e note di Matteo Mazzoni)
[1] Il Congresso dei Deputati del Popolo era la "camera alta" del parlamento sovietico.
[2] "Del Pantano" (quello che c'era prima della sua costruzione), piazza del centro di Mosca, sede di manifestazioni contro il regime di Putin.
[3] Qualcosa come "Petrolio Siberiano", compagnia petrolifera.
[4] Boris Abramovič Berezovskij, faccendiere che ebbe una breve carriera politica sotto El'cin per poi sfuggire a Putin nel Regno Unito.
[5] Leonid Iovič Gajdaj, regista russo. Il film è "Una vergine da rubare" (in russo La prigioniera del Caucaso o le nuove avventure di Šurik).
[6] Nell'originale c'è un gioco di parole difficile da rendere perché strič' significa sia "tagliare" che "tosare".
[7] VnešĖkonomBank(qualcosa come "Banca per i Rapporti Economici con l'Estero").
[8] VnešTorgBank (qualcosa come "Banca per il Commercio Estero").
[9] "Lago", cooperativa per la gestione di dacie che costituisce in realtà il nucleo del gruppo di potere di Putin.
[10] Jurij Sergeevič Pivovarov, storico russo.
[11] Gorno-Obogatitel'nyj Kombinat(Complesso di Estrazione ed Elaborazione), complesso in cui si estraggono minerali e li si trasforma in oggetti.
[12] Piazza del centro di Mosca non lontana dalla Piazza Rossa.
[13] Politologo, professore invitato a Oxford.