Nella bianca vertigine calcarea,
la città indolente si trascina
in fittizie sembianze definite
di moderni e dinamici profili.
La bruma sospende l’acropoli
e le eburnee torri marziali
opposte svettano poliedriche
in abbaglianti moniti spettrali.
Il soffio perentorio del maestro
s’insinua salmastro e satura
gli inerpicati vichi artritici
e gli antichi muri ammuffiti.
La rosea palude tinge le piume
dei regali trampolieri e si fonde
coi tetti refrattari all’impazienza
dei frettolosi tempi omologanti.
Precipitato in sella, Lucifero
ghigna compiaciuto dal promontorio
per l’occhio sbiecato e l’apatia
che trasformano in inferno un paradiso.