Scontri, attentati e crisi energetiche: cosa è la Libia oggi?
Che sia il giorno che ha “condizionato la storia”, come lo ha definito oggi il ministro degli Esteri Emma Bonino, o quello del “coraggio” che Obama ha chiesto agli statunitensi durante la commemorazione delle vittime dell’attentato alle Torri gemelle, l’11 settembre è sicuramente una data dalla straordinaria portata simbolica. E non solo per l’Occidente.
Un anno fa a Bengasi, durante un assalto alla sede consolare, veniva ucciso l’ambasciatore statunitense in Libia, Christopher Steven, e altri tre diplomatici americani. Oggi, nella stessa città, un’autobomba è esplosa davanti a una sede del ministero degli Esteri libico a Bengasi. Un attentato che ne commemora un altro, già di per se celebrativo? Forse.
Lo scontro principale è tra Tripoli, sotto il controllo del salafita Hashim Bishr, e Bengasi, roccaforte dei miliziani di Libya Shield – lo scudo della Libia. Le due fazioni si accusano a vicenda di voler incassare i proventi del petrolio e attentati e omicidi quotidianamente fanno degenerare il settore già in crisi per gli scioperi di chi lavora sulle piattaforme. I miliziani impiegati nel petrolifero, da due mesi, chiedono aumenti di stipendio per loro e royalitis per le brigate di appartenenza.
Un clima di terrore e una guerra civile forse più “democratica” rispetto a quando a governare era il Rais, ma non meno cruenta. Ed è tra le piaghe di questo disastro che proliferano quei fattori che dall’11 settembre 2001 sono diventati uno spauracchio per tutti noi: terrorismo, attentati, fondamentalismo. Il vuoto di potere che i “volenterosi” hanno creato e che poi non sono riusciti a colmare, temporeggiando per spartirsi la torta, si è trasformato in uno scontro continuo, in una crisi economica ed energetica.
Si pensa già come correre ai ripari: ieri gli Stati Uniti, secondo quanto riferito dalla CNN, hanno trasferito 250 marines dalla base militare spagnola di Moron a quella siciliana di Sigonella, per essere più vicini a Bengasi ipotizzando, probabilmente, un inasprirsi degli scontri. Inasprimento di cui, effettivamente, l’attentato di oggi è espressione. La normalizzazione è lontana, così come lo è per l’Egitto. Una “primavera” annunciata che però non arriva.