Essere in grado di ritagliare porzioni di spazio dalla realtà che ci circonda e fargli assumere una valenza che prima non sembrava esserci.
Provate a farci caso, quand'è che ci emoziona una foto? Quando la riconosciamo come un ritaglio della vita reale, mai visto prima. Quando nella nostra testa, nel giro di qualche istante, avviene una trasformazione, una sorta di sublimazione che estrapola ciò che stiamo osservando e lo proietta in un contesto ricco di emozioni, esperienze, sentimenti frutto del nostro bagaglio.
Per fare una similitudine, pensiamo alle barzellette, alle battute comiche. Ci fanno tanto più ridere, quanto più è ampia l'attesa del finale, la distanza tra la comprensione del normale e del potenziale equivoco, dello stupore che creerà in noi la battuta che dovremo riconoscere come vera o parzialmenta vera, ma vista in modo diverso.
Analogamente nelle immagini ci affascina una porzione di reale che non ci aspettavamo di vedere in quel modo. Avviene una sorta di 'riconoscimento' di un pezzo del reale, di elementi reali. Più l'immagine rappresenta un qualcosa che non avevamo ancora visto in quel modo, più ci meraviglia, ci incanta.
Quando una foto invece ci sembra banale? Quando rappresenta una cosuetudine, un qualcosa di abituale, un oggetto comune, visto e rivisto in quel modo, riconosciuto come normale nel nostro 'mondo' di vedere, un po' come una battuta scontata che non ci fa ridere perchè ce l'aspettavamo proprio così.
La bella fotografia è quindi un piccolo ritaglio di vita che in pochi istanti riconosciamo come rappresentante di un mondo che sta tanto fuori quanto dentro di noi, coinvolgendoci nei sentimenti.
La nostra mente non è mai ferma, interpreta, elabora, insomma fa la cosa per cui ha motivo di esistere: si mantiene in vita.
Ci avete mai fatto caso che nei primissimi istanti in cui guardate una foto, la mente è ferma? Per pochi istanti, ma lo è. E' ferma in uno stato di curiosa attesa... e aspetta. Cosa? La reazione.
L'occhio separa da una parte il mondo reale e dall'altra il mondo mentale, quel mondo fatto di miliardi di cellule vive che 24 ore su 24, da tanti anni quanti quelli che abbiamo, scambiano dati, controllano, memorizzano, elaborano.
Solo questo lavoro che sta dietro l'occhio dovrebbe bastare come sola meraviglia, ma la magia non si ferma qui. La nostra mente è in grado di reagire in modo emozionale alla semplice visione di una piccola immagine su un pezzo di carta o su un pezzo di vetro (monitor). Perchè?
Perchè riconosce e associa un qualcosa. Associa forme e colori a idee, ricordi, sogni, fantasie e questo inevitabilmente coinvolgerà i sentimenti dell'essere umano.
Non è necessario che la foto rappresenti un qualcosa di già visto, anzi. Come dicevo, il già visto rischia di apparire poco interessante e se poi si trova in un contesto comune o è un'oggetto quotidiano, c'è il rischio che sembri banale.
Non è la foto in se che la nostra mente riconosce, ma gli elementi. Bastano pochi elementi perchè si scateni il processo associativo.
Processo associativo
Guardiamo per pochi istanti una foto ed il processo inizia, parte l'elaborazione. Più associazioni si creeranno e più emozioni ne verranno fuori. Saranno queste emozioni a farci dire: che bella foto. Le emozioni risultanti potranno essere anche relative a sentimenti di tristezza, malinconia, ma un buon critico non deve giudicare tanto il tipo di emozione provata quanto il processo che ha portato a quell'emozione. Ci si può emozionare nel bello e nel brutto dei sentimenti umani, ma la bellezza della fotografia dovrebbe rimanere immune da classificazioni di questo tipo.
La bella foto è bella perchè il processo associativo porta ad un'emozione, quale che sia non ci deve influenzare, eventualmente influenzerà il nostro genere di foto che ci piace vedere o meno.
Il processo associativo dell'osservazione viaggia un po' come nel mondo dei sogni. E' infatti un'immaginare, sognare ad occhi aperti.
Come nel mondo dei sogni le immagini, i simboli, i ricordi, le esperienze si associano, creando una trama. E' un mondo da psicoanalisi che a noi interessa comprendere solo in minimi dettagli.
Difronte al processo associativo è facile capire come questo sia soggettivo, sia tutto appartenente all'osservatore. La fotografia sembra assumere le forme di uno specchio che riflette semplicemente le associazioni dell'osservatore.
E' un po' così in effetti. Non a tutti gli osservatori piace la medesima foto e non a tutti piace per gli stessi motivi.
Processo vivo
L'osservazione è un processo vivo a se stante. Coinvolge due persone: il fotografo e l'osservatore.
L'emozione di un determinato momento coinvolge il fotografo che scatta la foto. La foto origina il processo associativo che darà vita ad un'emozione nell'osservatore. Il cerchio si è chiuso come in una catena, ma il processo è vivo perchè le due emozioni non coincidono quasi mai. Non siamo difronte a qualcosa di meccanico o prevedibile.
Avrete fatto caso ai commenti di una stessa foto come frequentemente sono diversi. Chi ci vede una cosa e chi ne vede un'altra. Interpretazioni a volte distanti, a volte il fotografo da spiegazioni completamente diverse dai commenti.
Ecco il perchè di un processo vivo, cangiante. Un processo che si modifica anche nel tempo. Quante volte è capitato di giudicare un'immagine in un certo modo d'acchito e scoprirene poi altri aspetti a distanza di tempo, dopo una seconda o una terza visione. Questo rapporto vivo rende unico il piacere dell'immagine. Il fotografo sa di aver fatto una bella foto, ma non saprà mai come e in che intensità sarà recepito. Chi osserva una foto può apprezzarne o meno gli aspetti, ma non saprà mai con esattezza cosa ha visto l'autore.
A meno che ... non ci sia un commento che faccia da guida per entrambi gli 'attori'.
In questa fase è di importanza rilevante la propria esperienza di vita e la propria sensibilità. A volte capita che un'immagine non venga apprezzata perchè non capita dall'osservatore. Questa incomprensione può nascere fondamentalmente da tre motivazioni. La prima è che il fotografo può avere realizzato un'immagine talmente personale, talmente particolare, da non far scaturire un adeguato processo associativo nell'osservatore. La seconda è praticamente figlia della prima ma pone l'accento su chi osserva, quest'ultimo forse non ha acquisito, nella sua esperienza di vita, quegli elementi sufficienti alla giusta comprensione dell'immagine.
La terza riguarda un’osservatore ‘evoluto’, crsciuto ‘fotograficamente’ che non è più coinvolto da determinate immagini già viste, per le quali aveva provato piacere tempo prima, ma che ora non lo coinvolgono più perché in cerca di altro. Un ricercatore che non prova più emozione per sentieri già percorsi.
Crescita per livelli
Come in tutte le discipline e le arti avviene una crescita per livelli anche in fotografia. Si inizia da un punto e si procede. Si affina il gusto, la tecnica, l’esperienza, la sensibilità. Crescita che ognuno di noi decide se iniziare e quando finire. Lo scopo è il piacere di creare belle immagini di cui godere, non necessariamente divenire un esperto, un luminare, un grande professionista. Quest’ultime son cose o esigenze personali che possono nascere col tempo.
Mi spiego con un esempio pratico e molto comune: la foto di tramonti. Il tramonto è un soggetto molto inflazionato perché è uno spettacolo della natura gradevole che capita con una certa frequenza. Un giovane fotografo ne è subito attratto. Trovata l’occasione inquadra e scatta. Foto bella, bei colori il nostro giovane fotografo ne è soddisfatto. La fa vedere ad amici e parenti ricevendo lodi. Poi incappa in un amico più ‘cresciuto’ il quale gli dice che la foto è banale, scontata, scialba.
Siamo difronte ad una situazione in cui il processo associativo non si instaura nell’osservatore con più esperienza. Questo osservatore non apprezza più quella foto, quella tipologia, il che è ben diverso dal non essere in grado di apprezzarla.
Questa situazione può essere o non essere uno spunto di crescita per un fotografo inesperto, valutazioni personali, soggettive. Una simile situazione a volte diviene un’occasione di scherno da parte del più esperto, con battute minimizzanti o ridicolizzanti nei confronti dei lavori apparentemente più semplici.
Questo atteggiamento è alquanto riprovevole perché l’esperto decide di porsi autonomamente su un gradino più alto, ma nessuno ha mai detto che la crescita ad un livello fotografico più ‘elevato’ giustifichi dei commenti mortificanti per immagini più semplici. Difronte a queste situazioni, mi pongo sempre questa domanda: ma come, un fotografo di un certo livello non dovrebbe essere più portato, dotato, capace di vedere la bellezza in un’immagine più modesta? Insomma, più si sale da una parte e più si scende dall’altra? C’è qualcosa che non mi torna. Quello che non torna può assumere diversi aggettivi a seconda del caso: orgoglio, presunzione, invidia, gelosia. Segue il tipico meccanismo: ‘io sono diventato bravo ed è evidente che tu non lo sia, potresti esserlo, ma non so se potrai farcela, non sarò di certo io a dirti come fare’.
Questo è un meccanismo umano, poco maturo e più o meno contestabile, ma quello che io trovo veramente sbagliato è il dare per scontato che il neo-fotografo voglia crescere, cambiare, affrontare altre strade sentendosi dare ‘velatamente’ dell’incapace. Molto meglio sarebbe dire: ‘ho visto la tua foto, volendo, credo che riusciresti ad esprimere molto di più. L’ho visto fare, però io non sono in grado di aiutarti. Se ti interessasse crescere sotto questo aspetto, sappi che della tua foto non mi piace: questo, questo e quest’altro’. Il neo-fotografo potrebbe essere già appagato del suo tramonto, ma se decide di intraprendere una nuova ricerca, la miglior cosa è che questa nasca spontanea.
Punto comune
Comincia ad essere chiaro che la ‘bella foto’ necessita, sostanzialmente, di un punto comune tra il fotografo e l’osservatore (il critico).
Questo punto d’incontro dovrà accumunare certe situazioni culturali, certe esperienze emozionali e sicuramente anche certe esperienze tipiche della disciplina. In fotografia un bella foto può dipendere anche da determinate tecniche, ammirate, apprezzate da chi sa quanto siano difficili da realizzare.
Una foto è tanto ricca di elementi del mondo reale, quanto di molteplici aspetti tipici della psicoanalisi.
Per esempio possiamo dire che la foto di un tramonto piace a tutti perchè ha dei colori ‘caldi’, rappresenta serenità, quiete, pace, armonia… e via dicendo. Sentimenti che tutte le persone hanno. E’ difficile che un tramonto non emozioni la massa delle persone, non trovi nella maggior parte degli osservatori un consenso.
L’eventuale dissenso può arrivare da chi ha già goduto di certe immagini e ora le trova noiose.
Questo punto comune è ben studiato dai mass-media, dalla televisione, dai produttori. Serve per classificarci, per capire cosa ci piace e cosa venderci, cosa farci vedere. Tutto ciò che va sotto il nome di ‘commerciale’.
Quando pensiamo ad un film, una canzone, un liquore, un reality, un auto commerciale, a cosa pensiamo? Pensiamo a qualcosa che viene acquistato, visto, goduto, dal maggior numero di persone… quindi ciò che fa bussines. Siamo però tutti concordi che ciò che viene definito commerciale non è sempre il meglio della sua categoria o per lo meno non lo è sempre per noi.
Anche nella fotografia, concetti analoghi, possono trovare ragione.
Potremmo dire in altre parole che una foto è tanto più bella, quanto più soddisfa le attese dell’osservatore.
Questo concetto slega un po’ ‘la bella foto’ da un'idea di assoluto. Concetto in cui cadono molti, perdendo di vista che il primo bisogno del fotografo è appagare se stesso. Appagare gli altri è un passo successivo che nasce dal bisogno umano di confrontarsi per non vivere nella propria ‘nevrosi’, nella propria nicchia. Il confronto dona la possibilità di vedere se stessi attraverso gli occhi di un altro. Un processo mentale unico nel genere animale. Non so quanti di noi comprendono a fondo questo meccanismo di interscambio, vedere con gli occhi di un altro… non è incredibile? Purtroppo accade che sia molto più facile trincerarsi dietro i propri orgogli a difendere la propria nicchia che da tanta sicurezza, ‘la fuori il mondo è cattivo e ce l’ha con me’. Oppure ‘io son diventato così bravo che mi capisco da solo’
La foto può anche essere banale, inespressiva ma l’interscambio delle nostre opinioni, non può che aggiungervi valore. Finchè non ne discutiamo, non potremo sapere il motivo della nostra conclusione. Nel caso in cui fossimo certi di trovarci difronte ad una foto banale, sicuramente il fotografo ne è soddisfatto per quel che lo riguarda, ma certamente non sa perché noi la reputiamo banale. Questo vale anche per quegli autori, ricercatori che si esprimono con immagini di difficile assimilazione ‘commerciale’. Si esprimono senza spiegazione, evidenziando come la loro opera intellettuale sia rivolta solo a chi potrà capirla. Opinabile, ma giusto; ognuno è libero di fare ed agire come crede, l’importante è essere consapevoli che l’andare avanti non corrisponde sempre ad un avanzamento verticale.
Cercare, studiare, realizzare immagini sempre meno ‘commerciali’, immagini di un certo livello personale con il fine di aumentare la propria capacità di espressione, sensibilità, emozionalità è sicuramente positivo, il cammino dell'artista. Può diventare persino un nuovo genere di espressione, uno stile, un grande dono per tutti i fotografi.
Procedendo in questo modo la nostra capacità di ricezione del piacere fotografico ‘aumenta’. Aumenta la capacità di godere dell’immagine.
Una sana crescita deve nascere da un desiderio spontaneo e basata sul concetto di AUMENTO.
Non sempre però è così e a volte c’è una perdita. La perdita della capacità di apprezzare immagini più semplici che pur sempre rimangono immagini. Guadagnare una capacità e perderne un’altra è un TRASLARE, uno spostarsi, senza aumento. Si trasla a causa di un male comune: la noia. La noia ci spinge a cercare nuovi stimoli. Tipico pensiero: ‘oh ma che foto noiosa, le facevo 20 anni fa, ancora queste foto’. Questo ci spinge ad apprezare lavori di diversa, più matura esperienza. Se da un lato questo è ragionevolmente corretto, logico, giusto come appartenente ad un processo ‘evolutivo’, dall’altro lato non posso che osservarne anche l’aspetto negativo. Per me l’evoluzione è una crescita di tipo verticale, un aumento di valori aggiunti, ma se io aggiungo un valore da una parte (ricerca fotografica d’intelletto) ma dall’altra ne sottraggo un altro (incapacità di apprezzare foto semplici, comuni) non rimango più o meno con le stesso valore iniziale? E’ un po’ come se (… ed in psicoanalisi succede veramente) ci dicessimo: ‘i bambini non mi piacciono, non li sopporto perché ora sono adulto e io sono già stato bambino … ‘.
Non dobbiamo perdere la capacità empatica di immedesimarci, anche se questo dovesse corrispondere ad una regressione ‘apparente’. Nessun adulto potrebbe mai allevare un bambino se non avesse queste capacità. Senza empatia perdiamo ricchezza, perdiamo un pezzo di noi, subiamo una piccola mutilazione. Dalla noia si passa velocemente al vizio. Il vizio di vedere solo ed esclusivamente certe immagini, sempre più forti, sempre più sofisticate … si cade in un vortice che rischia di esaurirci. Tutto questo accade perché abbiamo deciso di traslare solo in una direzione proiettata in avanti. Finiremo per rincorrere il piacere come atto unico, anziché ampliare la capacità di godere di tutte le immagini. Riuscire a godere tanto dell’immagine più ‘intellettuale’, quanto del tramonto sul mare è ricchezza. Questo significa crescere in senso verticale, aumentare le possibilità di gustare le occasioni di piacere ricevuto da più immagini.
Libido
Il commento ad una foto è molto più importante di quanto apparentemente sembri. Può sembrare una perdita di tempo, una cosa inutile, ma equivarrebbe a dire che è inutile anche la macchina fotografica, ...allora perchè fotografare?
Perchè fotografiamo se non per il piacere? E' la ricerca del piacere a far muovere il fotografo, cerca il piacere dell'emozione, del sentimento e lo racchiude in una foto per tornare ad emozionarsi poi. Sotto questo aspetto è un'edonista, cerca il piacere, lo corteggia,lo immortala, lo accumula, non gli basta mai. Un ulteriore piacere lo si riceve quando il fotografo fa un'importante scoperta. Quando scopre che anche foto scattate da altri sono in grado di emozionarlo. Questa 'scoperta' amplifica il mondo del singolo, portandolo su livelli ben più ricchi perchè fa suo anche il mondo di altri. Come non intuire quanto l'osservazione di immagini scattate da altri, arricchisce il proprio piacere.
Questo si manifesterà con delle emozioni che diverranno poi dei ricordi nella nostra mente, aumentando il bagaglio delle nostre esperienze. Aumenterà la nostra capacità di apprezzare sempre più immagini prima incomprensibili e conseguentemente aumenteranno le nostre attitudini fotografiche nel saper cogliere i giusti elementi nel mondo che ci circonda.
Il commento è come l'anello di una fondamentale catena. Non è importante il commento scritto, la critica, il giudizio, è importante il nostro commento all'emozione. Guardare delle immagini e via è come guardare le vignette di un fumetto senza leggerne le didascalie. La storia risulterà incomprensibile. Guardare una foto pochi istanti e pensare 'si è bella' o 'no è brutta' non ci dice il perchè e non ce ne fa assimilare l'esperienza. E’ come se avessimo perso un attimo del nostro tempo.
Non comprendere i motivi di un'amozione è una comodità, comprenderli è invece una ricchezza.
La catena
In questa catena di processi, mi sono permesso di mettere in luce gli anelli fondamentali. Mi premeva evidenziare questi più importanti anche per me stesso che spesso me li dimentico o li perdo per strada.
A questo punto manca l'ultimo pezzetto della formula magica di quest'alchimia.
Manca di capire come fare a ritagliare quel rettangolo di mondo, quella fotografia in grado di darci il piacere attraverso l' emozione.
Come fare qualla foto che sarà in grado di emozionare anche altre persone attraverso il loro processo associativo? Immaginiamo una catena chiusa. Qual'è il primo anello? Trovato il primo si trova anche l'ultimo ... ma è vero anche il contrario, trovato l'ultimo troverò anche il primo.
Gli anelli della catena da considerare sono tanti: la tecnica, gli strumenti, le attrezzature, le possibilità economiche, le occasioni, i luoghi, le attitudini, la cultura, le esperienze, la maturità e via dicendo. Non so bene in che ordine doverli mettere, ma poco mi importa. Se conosco l'ultimo anello, conoscerò anche il primo.
Se io non so perchè una foto mi emoziona, ma accetto la semplice emozione perchè mi è comodo, se io non so perchè provo piacere nel guardare una foto, ma accetto il semplice piacere perchè mi è comodo... che foto potrò mai scattare se non delle immagini 'comode'? Le mie stesse critiche non potranno che essere ‘di comodo’. Non sarò mai ricco sotto questo aspetto ... Criticare le immagini di estranei è molto più semplice perché non c’è un personale coinvolgimento, ma se non so farlo, come potrò crescere nell’autocritica? Questo è l'ultimo anello, capire perchè ci si emoziona, capire questo affascinante mistero che porta un pezzo di carta ad emozionarci.
Questo non è certo un invito a lasciare commenti scritti alle fotografie di questo forum (sicuramente è un valido aiuto, un ottimo esercizio farlo), è sufficiente soffermarsi a leggere l'emozione dentro se stessi alla prima occasione che si presenterà, guardarla con lucidità. Capire quali elementi coinvolgono le nostre emozioni, capire come reagiamo a certi stimoli visivi, capire qual è la fonte del piacere.
Capito questo, avremo trovato gli elementi delle nostre belle foto, avremo capito come disporli, come inquadrarli. Pian piano assimileremo tanti segreti per crescere verticalmente, senza perdere pezzi per strada.
Se l’emozione di una foto non avesse proprio niente da dirci, non avremmo mai comprato una macchina fotografica...
(Intervento tratto dal sito "photo4u.it". Il post originale è reperibile cliccando QUI)