Qual era lo "stile interattivo" di Italo Svevo?

Da Bruno Corino @CorinoBruno


Leggendo i tre romanzi di Svevo, Una vita, Senilità e La coscienza di Zeno, sono rimasto particolarmente colpito dal modo in cui lo scrittore racconta il primo approccio che i rispettivi protagonisti hanno nei confronti delle donne di cui s’innamorano. Svevo farà dire a Zeno che «è decisivo il modo in cui s’avvicina per la prima volta a una donna». Sia nel caso di Alfonso Nitti con Annetta Maller, di Emilio Brentani con Angiolina Zarri, che di Zeno Cosini con Augusta Malfenti, c’è un questo particolare che m’incuriosisce: in tutt’e tre i casi è come se i personaggi “simulassero” di non vedere l’altro. La macchina narrativa di Svevo si mette in movimento con questa prima commedia degli equivoci. Nel romanzo Una vita, Annetta è la figlia del banchiere Maller, e Alfonso è un impiegato della Banca Maller, arrivato dalla provincia grazie a un’amica della madre, Francesca, che ora fa la governante in quella casa. La prima volta che Alfonso viene invitato nella sontuosa casa Maller, la giovane figlia, forse per sottolineare la loro distanza sociale, dopo le presentazioni, mostra subito la palese intenzione di non rivolgergli la parola. All’incontro sono presenti, Francesca, e il cugino di Annetta, l’avvocato Macario. Nel corso della conversazione, Alfonso si rende immediatamente conto di essere del tutto ignorato da Annetta: «Le due donne parlavano a bassa voce […] Ignorato del tutto, egli si trovò imbarazzato». Alfonso comincia a soffrire per il disagio provato dalla situazione. Francesca indovina il malessere del giovane e cerca di coinvolgerlo nella conversazione, ma Annetta s’ostina ad ignorarlo. Alfonso assiste «passivamente al chiacchierio delle due donne, ora fingendo di prestarvi attenzione ed ora volgendo modestamente gli occhi altrove». Annetta finge dunque di non vedere l’ospite. Ma Alfonso intuisce che la ragazza sta simulando il suo comportamento.

Nel caso di Emilio e Angiolina la “svista” ha un altro significato. Nell’esordio, Emilio dice alla Angiolina: «T’amo molto e per il tuo bene desidero che ci si metta d’accordo di andare molto cauti»; il narratore demistifica la battuta e la corregge così: «Mi piace molto, ma nella mia vita non potrai essere giammai più importante di un giocattolo. Ho altri doveri io, la mia carriera, la mia famiglia». Questa dichiarazione di intenti da parte del protagonista ci fa comprendere come egli voglia impostare la relazione d’amore: Angiolina per Emilio non può che essere che un oggetto senza un punto di vista». La donna nelle sue intenzioni rappresenta «un giocattolo» che si abbandona non appena ci si stanca di esso: la donna nella sua vita viene dopo lui, la sua carriera e la sua famiglia. Il secondo intervento del narratore serve a demistificare la simulazione di Brentani, e ci racconta in che consiste la famiglia di Brentani – «Una sola sorella non ingombrante né fisicamente né moralmente» – e la sua carriera – «Un impiegatuccio di poca importanza presso una società di assicurazione».

Ancora più singolare e comico è l’incontro tra Zeno Cosini e la sua futura moglie, Augusta. Zeno è un amico di Giovanni Malfenti, che ha quattro figlie, due in età da marito. Giovanni è un commerciante scaltro che vuole ammogliare la prima figliola, “strabica” e dalla “figura intera non disgraziata, pure un po’ grossa per quella età”, a quel suo collega, strano e un po’ bizzarro. Nella prima visita però tutte le attenzione di Zeno sono rivolte alla sorella più bella, Ada. Tutto il colloquio con le cinque femmine di casa Malfenti è indirizzato per conquistare l’interesse e l’attenzione di Ada. Le facezie e gli aneddoti che Zeno snocciola per far ridire le donne hanno come unico scopo di sedurre Ada, ma in realtà su di lei producono l’effetto contrario. Zeno tutto preso da Ada non s’accorge che sue parodie hanno effetto invece su Augusta, di cui ignora l’esistenza ma che finirà con lo sposarla.

Anche se narrati con diverse modalità, gli incontri o i primi approcci tra i protagonisti hanno un elemento comune: l’uno o l’una simula di non vedere l’altra o l’altro. Che cosa può significare un particolare del genere o cosa mai può svelarci? Mi sono posto questa domanda non soltanto perché ero curioso di capire quale fosse lo stile interattivo di Svevo, ma anche perché volevo capire come sia riuscito a proiettarlo nelle relazioni tra i suoi personaggi. Leggendo il romanzo Senilità, mi sono spesso domandato quale fosse lo stile interattivo del protagonista, ossia come Emilio Brentani si relazionasse all’altro, e se questo stile dipendesse da quello del narratore. Le tre relazioni che il romanzo narra sono quelle che lo legano alla sorella Amalia, alla bellissima Angiolina, e all’amico artista Stefano Balli. Credo che Senilità di Italo Svevo, insieme agli Indifferenti di Alberto Moravia, rappresentino i due romanzi che meglio siano riusciti a mettere al centro della loro macchina narrativa le interazioni tra i personaggi. In altri termini, questi scrittori hanno costruito il loro tessuto narrativo attraverso le interazioni interpersonali. Non credo di dire cosa nuova se affermo che i personaggi di Senilità o de’ Gli indifferenti hanno una psicologia piuttosto dinamica, che i loro sentimenti e i loro stati d’animo, la loro coscienza si modifica nel corso della stessa narrazione. Il narratore non descrive i caratteri, ma li fa emergere nel corso delle interazioni; le loro coscienze non s’anticipano, ma si modificano dinamicamente nel corso delle azioni. Da buon lettore di Schopenhauer, Svevo divideva l’umanità in due categorie: i lottatori e i contemplatori. Ovviamente uno è portato a pensare che i due archetipi siano rispettivamente incarnati in Stefano Balli ed Emilio Brentani. In effetti è così, ma bisogna tener conto di un leggera sfumatura: Brentani diventa un contemplatore o un inetto, uno a cui piace più vedersi vivere anziché vivere, perché “fallisce” nella lotta. Brentani vorrebbe imitare l’amico, ma ne è incapace, e lo è perché nei suoi confronti è un sottomesso. Tra Brentani e Stefano Balli è attiva la modalità prevaricatrice/sottomissiva, la stessa che vorrebbe instaurare nei confronti di Angiolina, ma non gli riesce; ed è la stessa che passa tra Emilio Brentani e la sorella – «Dei due, era lui l’egoista, il giovane; ella viveva per lui come una madre dimentica di se stessa» (p. 7). Ma ad analizzarla meglio si trova alla base anche degli due romanzi citati: Annetta e il cugino Macario sono due prevaricatori nei confronti di Alfonso; Giovanni Malfenti prevarica su Zeno, ma Zeno prevarica sulla moglie Augusta. Ora, mi sono detto, se Svevo ripete questo stile interattivo nelle relazioni tra i suoi personaggi, è perché lo conosce e lo ha indagato meglio rispetto agli altri. Infatti, quali sono i tratti maggiori di questo stile, quelli che lo rendono facilmente riconoscibile? Questo stile è caratterizzato principalmente da due tratti: la volontà di assimilare il punto di vista dell’altro al proprio e, di conseguenza, la volontà di annullare il punto di vista altrui. In sostanza, il tratto principale di questo stile interattivo è un’osservazione di primo livello, cioè un’osservazione in cui si osserva l’altro senza riconoscere all’altro la possibilità di osservare se stesso; si interagisce come se l’altro non avesse alcun punto di vista. Questo modo di osservare l’ho notato nel modo in cui Annetta tratta Alfonso, Emilio tratta Angiolina e, infine, nel modo in cui Zeno tratta Augusta: nei loro primi approcci o incontri s’evidenzia appunto l’intenzione di voler ignorare il proprio interlocutore. Insomma, le interazioni dei personaggi sveviani passano attraverso questa modalità; diciamo che è la loro modalità prevalente. Potrei dedurne che questa fosse proprio la modalità prevalente di Ettore Schmitz. Lo scrittore proveniva da una famiglia patriarcale, in cui regnava incontrastata la figura di Francesco Schmitz, dal piglio piuttosto burbero e autoritario, che imponeva ai figli maschi di diventare esperti uomini di affari. La letteratura era vista da questo padre come un’inutile perdita di tempo o un lusso che si concedevano gli oziosi. Ettore assimilò molti tratti del padre, ma li assimilò in modo ambiguo, accettandoli ma con riluttanza o ostinazione. Ogniqualvolta Svevo vedeva fallire il suo tentativo di vedersi riconosciuto come narratore non poteva fare altro che dare atto al padre. Tutte le componenti tematiche della riflessione di Svevo confluiscono nel rapporto che i suoi personaggi intrattengono con la letteratura. Quando scrive che la letteratura sia qualcosa di inutile e dannoso sembra esprimere il punto di vista paterno. Ma l’ostinazione a scrivere nonostante gli insuccessi era anche un modo per affermare che la passione autentica verso qualcosa non conosce calcoli. Qualcuno ho notato che nell’uomo Svevo è come se convivessero due personaggi: l’industriale triestino e lo scrittore italiano. In realtà non si tratta proprio di questo: in lui convivono sempre la volontà di obbedire al padre e la volontà di obbedire alla propria vocazione artistica. Questa convivenza contraddittoria alimenterà la sua fantasia narrativa, la proietterà nelle relazioni tra i suoi personaggi; potrei anche dire che è stata l’istanza di cui la sua narrativa s’è maggiormente nutrita.


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