La pulizia etnica di cui furono vittime gli italiani (indipendentemente dal fatto che fossero fascisti o no), non va taciuta, ma va anche inquadrata nella contesto della politica che il Fascismo attuò nell'Italia orientale fin dai primi anni '20 e poi dell'occupazione nazi-fascista durante la guerra. Non si tratta di giustificare o di soppesare il numero dei morti di una parte e dell'altra, ma di sforzarsi di comprenderne fino in fondo quanto avvenuto senza aver paura della ricerca della verità.
E la verità è fatta sì dalle foibe che hanno inghiottito tanti italiani, ma anche dalle molte pagine di discrimazione, sopraffazione e violenza compiute sotto le insegne di quello stesso tricolore di cui amano fasciarsi in queste ore coloro che sfruttano, per la propria propaganda, una giornata che invece richiederebbe silenzio e rispetto.
Per dare il giusto onore alle vittime (tutte, non solo a quelle della propria parte), il 10 febbraio dovrebbe prima di tutto servire a capire tutto quello che accadde, senza rimuovere ciò che ci da fastidio. Che non significa cercare un'impossibile memoria "condivisa", ma accettare che esista una pluralità delle memorie, ognuna con la propria dignità, ognuna meritevole di considerazione.
Purtroppo, ancora una volta, al di là di poche lodevoli eccezioni, mi pare che l'occasione sia stata persa. [RS]
Per cercare di andare oltre la pur doverosa commemorazione delle vittime di quelle tragiche vicende segnalo l'intervista alla sociologa e saggista Melita Richter, nata a Zagabria e residente a Trieste, studiosa della realtà balcanica e della questione del "confine orientale", che realizzai per Radio Radicale in occasione della Giornata del ricordo di cinque anni fa: un'interessante, utile e sempre molto attuale riflessione sulle memorie individuali e sulla necessità di ascoltare e condividere anche le storie "degli altri".