Il festival è un’occasione per incontrare non soltanto grandi nomi del giornalismo mondiale ma anche e soprattutto per chiacchierare con giovani giornalisti sparsi in tutto il mondo e scoprire nuovi metodi d’indagine e collaborazione.
di Camilla Cupelli
“Italy and Spain are usually the worse places to find found: we’re too poor to be rich and too rich to be poor” ha detto Mar Cabra ad un incontro sulle nuove frontiere del reportage, durante il Festival Internazionale di Giornalismo a Perugia.
Estrapolata dal contesto, la frase sembra essere banale, ma è invece di cruciale importanza per chi lavora nel mondo della comunicazione: Mar Cabra, una reporter investigative del centro ICIJ (International Centre of Invastigative Journalism), stava spiegando come ha ricevuto i fondi per un nuovo progetto di ricerca in diversi Paesi, combinando il reportage con le nuove frontiere del data journalism, e non riusciva a contenere l’entusiasmo per aver ottenuto il finanziamento dallo European Journalism Centre.
Il suo entusiasmo contagioso è stato al centro di diversi incontri del Festival, tutti in grado di lasciare a bocca aperta il giornalista medio italiano, per non parlare di chi, come me, ancora proprio giornalista non si definisce. Il lavoro svolto dall’ICIJ, in collaborazione con IRPI (l’unico centro investigativo italiano oggi attivo, guidato dal giornalista Leo Sisti e tenuti in vita da giovanissimi reporter), con altre centinaia di giornalisti in tutto il mondo, e con l’aiuto di James Ball del Guardian, sull’espansione della mafia in Germania non è solo un esempio di straordinaria dedizione al proprio lavoro, ma anche e soprattutto un’innovazione nel campo dell’esposizione dei risultati tramite grafici, mappe, insomma: ancora data journalism.
Il festival è un’occasione per incontrare non soltanto i grandi nomi come Zuckerman o Doig, ma anche e soprattutto per chiacchierare con giovani giornalisti sparsi in tutto il mondo, prevalentemente in Europa, e scoprire nuovi metodi d’indagine e collaborazione. Naturalmente il livello di conoscenza della lingua franca, l’inglese, è elevatissimo, il che permette generalmente una condivisione totale di intenti e riflessioni. Parlando con altri giornalisti, però, si notano anche i propri limiti: mentre un ragazzo tedesco che lavora a Zurigo con uno stipendio per me da capogiro mi racconta il disastro della carta stampata in Germania, che licenzia giornalisti a tempo pieno esternalizzando il lavoro a giovani reporter sottopagati rispetto al contratto nazionale e che superano il monte ore massimo previsto dallo stesso, mi accorgo che quel sottopagati impallidisce in confronto ai compensi di amici che lavorano con ritenute d’acconto che qui consideriamo quasi dignitose. Ma, naturalmente, non è tanto e solo una questione di soldi, bensì di progettazione.