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“Qualcosa di nuovo oggi nel sole”. Matera Cityscape is out!

Da Paolotritto @paolo_tritto

Uscirà nelle prossime settimane la nuova edizione di Matera Cityscape (clicca per aprire la pagina web), libro fotografico di Nico Colucci, pubblicato nel 2003, anno “magico” per l’editoria nella città di Matera che nel 2019 sarà capitale europea della cultura. Se definisco il 2003 l’anno magico dell’editoria materana è per fare una battuta umoristica, perché proprio in quell’anno anch’io pubblicai un libro che ha lasciato un certo segno – ma soltanto per le continue polemiche sollevate e riprese ultimamente dalla rivista La storia in rete – e che si intitola “Il destino di Giovannino Guareschi”.

La nuova edizione di Matera Cityscape si annuncia qualcosa di molto più di una semplice ristampa, perché sarà un libro completamente nuovo che però conterrà anche il vecchio testo, che nel frattempo ha acquisito un grande valore documentario in quanto riporta le immagini dei rioni dei Sassi come si presentavano negli anni in cui erano in stato di abbandono e prima che tornassero a rivivere, come si può osservare oggi. Quale sia il valore storico di queste immagini è facile immaginarlo. Un po’ più difficile è immaginare invece il loro valore artistico, di cui può essere consapevole soltanto chi abbia idea dei problemi inerenti alle riprese della fotografia di architettura.

A questo – se mi è concesso – vorrei aggiungere anche un valore poetico, citando il verso di un poeta che è stato segnato dalla nostalgia per la stessa città di Matera: «C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole, / anzi d’antico: io vivo altrove». Non trovo versi migliori di questi riportati ne L’Aquilone di Giovanni Pascoli per descrivere la temperie culturale che sta vivendo oggi questo centro lucano, anche se – faccio un appunto a chi ha sostenuto la candidatura della città a capitale della cultura – l’enorme contributo dato da Pascoli a Matera è ancora oggi largamente ignorato. È certamente una lacuna gravissima se si considera che il lascito pascoliano dell’unità di passato e futuro è stato l’elemento al quale si è fatto insistentemente ricorso nel percorso di candidatura. Elemento che però il mio amico Nico Colucci non s’è fatto sfuggire e che, anzi, costituisce l’ossatura di questo suo lavoro fotografico. Anche perché, come Pascoli, Colucci può dire “io vivo altrove”. E anche perché può dire di avere la stessa nostalgia del poeta che viveva altrove e che tra l’altro – quando si dice il destino – visse nella stessa Romagna dove adesso egli si è stabilito.

Oltre alla riproposizione del corredo fotografico già pubblicato nel 2003, la nuova edizione di Matera Cityscape conterrà una sezione di testi, come era nella vecchia, e molte altre nuove fotografie. Non spetta a me fornire anticipazioni riguardo a queste novità, anche perché non ne conosco affatto il contenuto. Se sono qui a scriverne è semplicemente perché mi rendo conto che anch’io devo spiegare perché sostengo il progetto editoriale di Nico Colucci, oltre che per il suo valore intrinseco.

Per spiegarlo devo riprendere il filo umoristico che ho introdotto all’inizio. Quando infatti a Matera, negli ultimi tempi, si è entrati nel vivo del lavoro di candidatura a capitale europea della cultura del 2019 c’è stato tutto un fermento e una corsa a invitare in città personalità rappresentative del mondo culturale nella speranza – che effettivamente non è stata delusa – di ricevere un sostegno per conseguire questo ambizioso traguardo. Anche io mi interrogavo su cosa fare in questo senso e su chi fosse opportuno invitare. Non avevo, ovviamente, le capacità né i mezzi per organizzare qualcosa del genere. Fu allora che mi venne in mente un po’ umoristicamente – si capisce – di portare Dostoevskij a Matera. E per realizzare questo sogno che, ovviamente, non poteva essere che un sogno, andai a riprendere un vecchio libro fotografico che – lo avete capito già – era Matera Cityscape del mio amico Nico.

Perché Colucci, nel suo libro fotografico, inconsapevolmente non aveva fatto altro che riproporre la stessa sceneggiatura adottata da Fedor Dostoevskij nel breve romanzo delle Notti bianche. In questo suo giovanile scritto, il grande romanziere aveva immaginato di ritrovarsi per le strade della città di San Pietroburgo nelle giornate estive quando, a quelle latitudini, il sole tramonta a ora tarda e fa notte per poche ore prima che con l’alba torni nuovamente la luce. In un certo senso, non si può parlare di vera alternanza di giorno con la notte. In questo particolare clima si svolge l’altrettanto particolare trama del racconto nel quale in realtà ben poco accade e se accade qualcosa non è che per un fugace attimo. Così come fugace è la presenza umana in quelle giornate pietroburghesi, in quella città che appare completamente deserta perché gli abitanti l’hanno abbandonata, ritirandosi nelle loro lontane residenze estive. Riportai poi queste riflessioni in un post pubblicato in questo stesso blog.

In fondo, l’idea di Dostoevskij era porre una serie di domande. Perché ci priviamo di una presenza? Perché si rimuove l’umano? Guardando il cielo notturno, come egli ci suggerisce nelle Notti bianche, si può immaginare che sotto un cielo così bello possano esserci degli uomini malvagi? «Perché non siamo tutti come fratelli? Perché perfino l’uomo migliore sembra sempre nascondere qualcosa all’altro, o tace? Perché non dir subito con sincerità ciò che si ha nel cuore, quando si sa che la tua parola non sarà gettata al vento?» Perché ciascuno non manifesta la propria umanità?

Nei secoli passati, l’uomo che abitava i Sassi di Matera, ricavava un’abitazione per la sua famiglia scavando nella roccia. Viveva dunque in case che non dovevano essere che nascondigli appena illuminati dalla luce del sole, un po’ come le notti estive pietroburghesi. Ciò rendeva invisibile questa città e gli uomini che vi dimoravano. Infatti, la storia per secoli non si è accorta di questa città. Non si è accorta di una presenza umana che lì era andata a ripararsi. Nico Colucci col suo nuovo lavoro si è voluto calare in questi nascondigli, raggiungendo perfino gli angoli più inaccessibili e per scoprire dove, nel corso dei secoli, l’uomo è andato a rintanarsi.

Ma anche lui credo che lo abbia fatto portandosi dietro la stessa domanda di Dostoevskij: perché nascondersi? Perché l’uomo non tira fuori ciò che ha di umano? «Perché non siamo tutti come fratelli?»

In fondo è proprio questo che ha fatto questa città che era rimasta nascosta per secoli, per millenni. È finalmente uscita. Matera è uscita fuori. Matera is out.


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