Qualcosa di organico

Da Marcofre

La zia Flannery O’Connor: lo so, non dovrei dire così. Non è mia zia ovviamente, e a qualcuno apparirà come una mancanza di rispetto. Non è così.
Dicevo dunque, che la zia Flannery aveva un’idea molto interessante a proposito della tecnica del racconto.

Affermava che essa era qualcosa di organico alla storia che stiamo raccontando. Non è un elemento estraneo che sbuca fuori dalla testa delle Muse, arriva cavalcando un fulmine e rende la storia indimenticabile.
Niente di tutto questo.

Una specie di lievito che è insito nella nostra storia, e che lavora solo se noi lo abbiamo messo in condizioni di scatenare tutto il suo potenziale. Dal basso della mia esperienza, immagino che sia questo il motivo che blocca certe storie. Il problema non è mai “avere delle idee”; basta guardarsi attorno con sufficiente attenzione e avremo un mucchio alto così di materiale.

Ma renderle efficaci, e di valore. Per questa ragione, molte di queste non vanno da nessuna parte, anzi, nemmeno si mettono in moto. Non si tratta del blocco dello scrittore, ma di idee che non hanno nulla di interessante da dire.

Se però la tecnica del racconto è organica alla storia, la faccenda si complica non è vero? Come diavolo faccio a insegnarla a qualcuno? Non credo sia possibile. Al massimo riuscirò con un poco di fortuna e abilità a spiegare se nella storia c’è qualcosa che possa agire da lievito. Il resto, sarà compito di chi scrive, e non sarà per niente facile.

Torniamo ai “mattoni” di una storia. Secondo me sono due: fatti e personaggi. Non è detto che questi fatti ci debbano per forza essere (ci sono storie dove non accade nulla, però funzionano), ma immagino che i personaggi debbano esserci eccome.
La mancanza di fatti, di eventi, deve essere sostituita da personaggi in grado però di influenzarsi in maniera reciproca.

A volte l’evento può essere Sempronio, e basta.

Non importa quale sarà la scelta, ma il personaggio deve esserci, e deve essere reale. La realtà di un personaggio non è certo nel suo nome, nella sua testa, nelle sue idee o nella sua volontà riformatrice del globo terracqueo. Probabilmente si trova nelle scarpe impolverate, nella tazza annerita per il troppo tè bevuto, oppure negli pneumatici sgonfi della sua autovettura.

Di solito sono questi “dettagli” che assieme, aiutano la storia a crescere, ad assumere spessore, la portano da un punto “A” a un punto “B”. Sono loro che dilatano le pareti dove si svolgono i fatti sino a farli diventare interessanti, e universali.
Ma soprattutto, è essenziale frequentare la realtà, almeno un poco.

Il più grave ostacolo di chi si cimenta con la scrittura è credere di sapere tutto. Non è il solo, ovviamente. Un altro è scordarsi che la storia deve avere alcune caratteristiche come per esempio essere brutta, sporca e cattiva. Quindi: reale.

Non è detto che ci debbano essere insulti, violenza e via discorrendo. Ma se si desidera scrivere delle storie, queste non sono fatte di creature eteree che sorseggiano caffè da tazzine di porcellana.
Posso accettare che ci siano tazzine di porcellana.

In un eccesso di bontà mi spingerò oltre, e dichiarerò tutta la mia simpatia per il personaggio che sorseggia la bevanda con il mignolo della mano destra sollevato. Lo rende così elegante…

Però basta. La vita non è fatta di cose leggere, ma pesanti. Se davvero preferite la lievità, forse la pubblicità è il vostro mondo; non la letteratura. Nel mondo pubblicitario tutto è leggero, e si risolve. Tutto è un sorriso, allegria e gioia. Le città sono ordinate e non c’è traffico. A tavola c’è sempre da mangiare. Mal di testa o nevralgie? Una pastiglia e bam! Tutto risolto.

Adesso ditemi chi vive così, e in quale luogo.
Già che ci siete, ditemi perché qualcuno dovrebbe avventurarsi in un simile universo.


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