(Après Mai)di Oliver Assayas (Francia, 2012)
con Clement Metayer, Carole Combes, Lola Creton, Dolores Chaplin, India Menuez
VOTO: ****/5
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Se esistesse un Leone d'Oro per la scena più bella, siamo certi che questo non sarebbe sfuggito ad Après Mai, l'ultimo film di Oliver Assayas in concorso a Venezia: Gilles, il protagonista, sta assistendo alla proiezione di un film sperimentale in un cinema 'alternativo' londinese quando, d'improvviso, sullo schermo gli appare la figura di Laure, la sua ex ragazza morta poco tempo prima in una notte di eccessi e baldoria. Rivederla in tutta la sua bellezza selvaggia, piena di vita e sensualità, lo fa commuovere. E' una magìa che riesce soltanto a chi fa cinema: la pellicola come mezzo estremo per fermare il tempo e fissare i ricordi, una delle tante ragioni per amare la Settima Arte. E anche uno dei più bei omaggi al cinema visti quest'anno al Lido (e non solo).Basterebbe questa scena, come si dice, a ripagare il prezzo del biglietto. Ma visto che ci siamo vi invito cortesemente a vedervelo per intero questo bel film francese, purtroppo snobbato dalle giurie veneziane ma accolto benissimo da spettatori e critica. Qualcosa nell'aria NON è l'ennesimo film sul sessantotto, come molti critici distratti hanno scritto. Intanto perchè si svolge nel 1971, in un liceo classico della periferia parigina. E poi perchè soprattutto, come recita il titolo originale (Après Mai, riferito chiaramente al Maggio Francese), parla di quello che è accaduto DOPO la Grande Rivoluzione Culturale, analizzandone gli effetti prendendo come esempio un gruppo di studenti dell'epoca.
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In Qualcosa nell'aria (bellissimo titolo italiano, per una volta azzeccato) si parla di politica e militanza, quando queste due parole avevano ancora un senso. Ci si interroga, in modo genuino e onesto, sul rapporto tra politica e cultura visto con gli occhi dell'epoca. E si cerca di capire se quella stagione unica, mitica ed iconica, sia veramente sopravvissuta fino ad oggi e ci abbia trasmesso molto di più delle solite immagini di repertorio, fatte di camicie a fiori, capelli lunghi, spinelli e rock'n roll.
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Emblematica in tal senso un'altra scena-chiave del film, quando durante un cineforum estivo un militante contesta, dopo la visione di un documentario sulla Resistenza in Laos (!), "il linguaggio troppo classico di un film che vorrebbe essere rivoluzionario". La risposta dei 'compagni' del direttivo è straordinaria nella sua essenzialità: "I film devono 'educare' lo spettatore e un linguaggio incomprensibile rischia di farli assurgere solo a divertimenti autoreferenziali per un pubblico piccolo-borghese". Una frase tipica dell'epoca che è ancora oggi una grande lezione di cinema.
Che anni quegli anni!