Qualcuno sta spegnendo la luce

Creato il 17 aprile 2013 da Mcnab75

Considerando che è primavera, che gli uccellini cinguettano, i fiori sbocciano e le giornate si dilatano virtualmente all’infinito, ci sarebbe motivo da essere felici e ottimisti.
Purtroppo da qualche mese a questa parte sta avvenendo l’esatto contrario. Camminando per le strade noto un’atmosfera greve e pesante. Nei bar e sui mezzi pubblici sento discussioni che sono a metà tra il catastrofico e il demagogico. Un’infarcitura dei peggiori luoghi comuni, una manciata di negatività, sancita alla fine con scrollate di capo e sguardi rassegnati. Da domani inizieranno le votazioni per eleggere il nuovo Presidente della Repubblica, ma la questione non suscita che pochi entusiasmi, in questa nazione che sta disimparando a sognare.
Ho 37 anni e non mi ricordo altri periodi (non recenti) in cui in Italia si respirava un’aria del genere. La Crisi, ovviamente, sta al vertice di tutto questo clima funereo, e non c’è giorno che non scarichi detriti tossici su tutti noi che siamo quu sotto. Ovviamente l’incapacità politica, l’ondata finto-moralizzatrice (ma del tutto incapace) cavalcata nelle ultime elezioni non fa presagire nulla di buono per il futuro. La parola stessa, futuro, sta diventando utopica per troppe persone.
Ma questo non è un post politico, né tantomeno economico.

Mi appassiono di libri e film di fantascienza distopica fin da quando ho imparato a leggere. A prescindere da quale sia il fattore di fantasia che in queste opere porta la civiltà umana a involversi fino a rischiare una lenta estinzione, c’è però un elemento comune a quasi tutti gli scenari: la morte della speranza.
E’ quando l’uomo smette di ambire a un futuro migliore che tutto va davvero a rotoli. Quando non si ha più la forza di lottare, di immaginare un domani diverso, ecco, è lì che si varca il punto di non ritorno verso l’estinzione.
Nei suddetti libri e film distopici o catastrofisti, ci sono quasi sempre dei gruppetti di sopravvissuti che riescono a cavarsela, laddove il resto del mondo ha avuto la peggio. Ce la fanno perché capiscono che non è più tempo di vivere sui ricordi di quello che fu. Bisogna adattarsi, ingegnarsi, avere degli obiettivi e, perché no, dei buoni leader a coordinare il tutto.

Mettiamo che, narrativamente parlando, l’Italia sia un paese prossimo alla soglia della distruzione. Distruzione sociale e civile, o qualcosa del genere. Come ho già detto altre volte non sono un economista, né un politologo. Quindi lavoriamo un po’ d’immaginazione.
Per anni abbiamo vissuto discretamente bene, chi più chi meno, con tante certezze e una serie di contraddizioni e di problemi nascosti sotto il tappeto. Cose di cui potevamo dimenticarci, finché là sotto c’era spazio.
Poi un evento X ci ha tolto man mano buona parte di queste certezze. Ovvio, stiamo parlando della Crisi, ma potrebbe anche essere una zombie apocalypse o un’inversione dei poli magnetici della Terra; tanto la nostra ipotesi è uno scenario di “fantasia”, quindi non poniamoci particolari problemi a fantasticare.
A questo punto la maggior parte di noi è impreparata al cambiamento: diamine, chi è mai pronto a certe cose?
In più chi è rimasto al timone per anni, in malomodo, ma tenendo comunque la barca a galla, non ha intenzione di mollare il comando a nessuno. Anche perché, col senno di poi, i “nuovi, coloro che si dicono pronti a guidare i sopravvissuti verso il cambiamento, spesso sono peggio di chi c’era prima.

Anche questa è una cosa che i film e i libri catastrofisti insegnano abbastanza bene. Le comunità nate in emergenza, sotto la guida di nuovi, improvvisati leader, non raramente sono posti molto pericolosi in cui vivere.
Perché? Perché nei momenti di emergenza saltano fuori le personalità più complesse e pericolose. Quelli che fino a poco tempo fa erano vessati in ufficio, i violenti repressi, gli intolleranti. E spesso la loro psicopatia viene presa per forza, specialmente da chi chiede proprio questo – forza – in un momento di debolezza.

Come poi abbiamo già detto è la mancanza di immaginare un futuro, unita all’incapacità di adattarsi, che porta all’estinzione.
Purtroppo in questo senso l’italiano medio è messo male. Lo so perché, essendo blogger da anni, noto un certo atteggiamento cinico da parte della maggioranza dei miei connazionali. Ogni qual volta si fa loro notare che esistono delle alternative, essi scuotono il capo e sentenziano che “qui non funzionerebbe mai“. Il mantra è ripetuto così tante volte che alla fine è diventato vero. Vero e ineluttabile.
Qui l’alternativa non funziona mai. Che sia essa l’energia pulita, la revisione del sistema fiscale, il tetto degli ingaggi ai calciatori, l’editoria digitale o una riforma costituzionale. Ovvero: l’alternativa non è ben vista, tanto nel grande quanto nel piccolo. Già, è al piccolo che io guardo. Sarà perché sono individualista, o perché ho sempre pensato che le cose possiamo migliorarle partendo da noi stessi, e non dalla massa.

Del resto questo meccanismo ci viene inculcato in famiglia, fin dalla tenera età: sii serio, pensa alle cose concrete, trovati un lavoro rispettabile, sposa una ragazza (o un ragazzo) a modo. E ancora: distinguiti in attività socialmente accettabili (il calcio, l’oratorio) oppure frequenta i giri giusti, quelli in cui c’è qualche tornaconto. Non fare cose troppo strambe. Rimani coi piedi per terra.
Una società straordinariamente conservatrice, la nostra. Salvo eccezioni, ci mancherebbe.
La famiglia italiana è al contempo un rifugio (se ci siam salvati dagli effetti peggiori della Crisi è perché l’italiano medio è, in fondo, un gran risparmiatore, dallo spirito patriarcale) e una prigione. Ciò che funzionava 30, 50 e 100 anni fa deve funzionare ancora oggi. E se così non è – evidentemente non lo è! – l’italiano è più impreparato di altri ad affrontare le incognite che portano con sé i tempi che cambiano.

I cambiamenti fanno paura, è vero, ma soprattutto danno fastidio. Si vive nella perenne convinzione che le cose si metteranno a posto da sole, e che chi ha una buona idea viene considerato soltanto un visionario, o uno scocciatore.
Che poi è buffo, considerando che per secoli questo è stato un paese di inventori e di scienziati.

Quindi continuiamo a campare così, lamentandoci sui social network, affidando le nostre speranze all’avventuriero, all’uomo della provvidenza di turno. Deridiamo il vicino di casa che si mette in testa, che ne so, di lasciare un lavoro co.co.pro per vendere gelati porta a porta, o per campare scrivendo libri digitali di cucina. “Non ce la farà mai“, diciamo, quasi compiaciuti. Poi però ci chiudiamo in casa con quel crescente senso di disagio, con quella sensazione che le luci sopra le nostre teste siano sempre più vacillanti, prossime a spegnersi, magari senza preavviso. E se qualcuno prima o poi dovesse davvero togliere la corrente? Chi sarà preparato ad adattarsi al buio, o a cercare nuove fonti di luce?

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