Provo a dire la mia sul presunto superamento delle categorie politiche di “destra” e “sinistra”. Oggi si preferisce dividere la politica in “buona” e “cattiva”, ad esempio. Buffo, come se chi sposa una “vecchia” appartenenza la potesse sposare, pur sapendola “cattiva”. Oppure si divide la politica in “riformista” e “conservatrice”. E’ di moda e di effetto anche dire: “Io sto con l’Italia, non con destra o sinistra”. E’ una banalità vincente. Nessuno oserebbe controbattere infatti:” Io sto con la destra o la sinistra e me ne infischio dell’Italia”. Quasi nessuno. Io sì. Ma sono proprio un’eccezione di cui non tenere conto e non faccio politica politicante. Infatti io non sto con tutti gli italiani. Non sto con Briatore e con Incalza. Non sto con i mafiosi e con i furbi. Qualcuno, più dotto, ha provato a salvare le categorie “destra”-“sinistra” integrandole in nuove coordinate che sarebbero capaci di meglio rappresentare le differenze in campo. Lo ha fatto Pietro Ichino che in un asse ortogonale alle categorie destra e sinistra sulle ordinate ha aggiunto sulle ascisse “pro strategia europea dell’Italia”/ “contro strategia europea dell’Italia”. Pensando così di meglio rappresentare la complessità delle possibili posizioni politiche. Precisando anzi che le nuove coordinate sono più importanti oggi e che le vecchie torneranno importanti domani. Discutibile comunque – direi – che per Ichino europeismo e nuovo coincidano così come all'opposto antieuropeismo e conservatorismo. Un po’ vero, ma non troppo. E perché non porre su ascisse o ordinate l’opzione per l’ampliamento dei diritti civili (matrimonio gay, testamento biologico, etc.) e il suo contrario? (le coordinate di Ichino:http://www.pietroichino.it/…/uploads/2013/10/Diagramma-poli…) Poiché ritengo, a differenza di Ichino, che le polarità destra/sinistra siano, non esaustive del discorso politico, ma certamente da privilegiare, cerco la mia bussola per cercare la sinistra nelle parole di Bersani che a Vieni via con me, alla 7, ebbe a dire: “Sinistra è credere che non stiamo bene se accanto a noi gli altri non stanno bene”. Mi sembrò ben detto. Gli altri stanno bene significa – mi pare – che c’è più eguaglianza. Resterebbe da definire: “eguaglianza quanta”,, “eguaglianza di cosa”, “eguaglianza di chi”, ma anche “eguaglianza quando”. Eguaglianza quanta Se l’eguaglianza degli altri è quella che serve a me stesso. L’eguaglianza che ragionevolmente posso proporre è quella che non faccia venir meno la possibilità di perseguire altri obiettivi. Quello dello sviluppo comunque lo si intenda, ad esempio: l’esigenza di una organizzazione sociale idonea a sconfiggere ignoranza, malattie, infelicità. Che verosimilmente richiede di premiare il merito. Almeno per un po’. Fino a quando l’abbondanza non renderà inutile ogni discriminazione. Ma, nell’attesa, non è detto che ci si debba appagare con il merito definito dal mercato. Il mercato non riesce ad incentivare e premiare l’intelligenza e la ricerca. Madame Curie o Einstein non sarebbero retribuiti oggi quanto Briatore o Incalza. Ancor meno il mercato riesce a premiare i genitori del ricercatore, meritevoli probabilmente del suo successo. E il mercato non riesce nemmeno a punire diseconomie esterne e disastri ecologici. Eguaglianza di cosa Si dà per scontato si debba intendere eguaglianza come eguaglianza economica. Ma nessuno direbbe che lo scopo della vita umana è tale eguaglianza. Direbbe piuttosto che lo scopo sia eguale felicità. Giacché non chiameremmo eguali due persone di cui uno fortunato per salute, amore, etc. e l’altro di pari reddito continuamente tentato di togliersi la vita per la disperazione che lo possiede. Solo che questo obiettivo non appare pienamente perseguibile dalla politica. Lo disse Lorenzo Milani: “Non c’è nulla che sia più ingiusto quanto far parti uguali fra disuguali”. Infatti la sinistra un po’ tenta di rimediare con discriminazioni positive verso i più svantaggiati: servizi esclusivi e/o gratuiti. Quindi – diciamo – l’eguaglianza economica è una approssimazione perseguibile rispetto all’obiettivo della pari felicità. Eguaglianza di chi Possiamo dire che l’eguaglianza dei sudafricani o dei mongoli ci interessa meno di quella degli europei. Abbiamo pochi motivi per ritenerci in pericolo se in Sud Africa o in Mongolia l’eguaglianza non vince. Le tensioni della ineguaglianza in plaghe remote non ci toccheranno, non si scaricheranno fra noi o troppo poco ci riguarderanno. Però è anche vero che il criterio della nostra personale utilità economica non è l’unico che fa desiderare l’eguaglianza a chi sta a sinistra. Quando piangiamo di fronte ad una strage più o meno lontana stiamo piangendo semplicemente perché ci stiamo identificando con le vittime. Ci identifichiamo di più quanto più ci somigliano, mi pare. Sia a destra che a sinistra. A sinistra con più larga empatia. Perché in ultima analisi è di noi stessi che piangiamo. Perciò piangiamo le vittime di Charlie. E cerchiamo di piangere le vittime dei missili statunitensi. Pensiamo che dovremmo piangerle ma non ci riusciamo. Non ci somigliano e non hanno storie. Poiché gli israeliani ci somigliano soffriamo sdegnati per il loro bimbo ucciso ma se dieci bimbi palestinesi muiono sotto i missili israeliani troveremo ragioni per non commuoverci troppo. La colpa è di Hamas che ne fa scudi viventi. Mi dispiace ma… E, se la globalizzazione estromette dal lavoro mille operai di una fabbrica, la sinistra data, che riconosce l’eguaglianza, ma fino a un certo punto, protesta e si batte per i “diritti” dei mille e non vuole sapere che in Romania mille rumeni aspettano con speranza che mille italiani perdano il posto. Se stiamo a destra tutto è più facile. Non dobbiamo neanche cercare di commuoverci. Per la destra eguali sono solo da un lato i connazionali, dall’altro quelli dello stesso censo. Soprattutto quelli dello stesso censo e connazionali. E’ permesso detestare invece, oltre che i barbari immigrati, i politici e i dirigenti pubblici troppo pagati. I miliardari no, ovviamente. Sennò andiamo verso sinistra. Dico andiamo perché destra e sinistra sono direzioni con incerti luoghi sulla via. Luoghi che possono essere i partiti, ad esempio, che stabilizzano ed organizzano mix di emozioni e progetti. Bene o male. Ma poi sono stravolti dalle leadership che sequestrano bandiere e abbattono l’edificio. Che diventa altra cosa. Eguaglianza quando Quando perché se l’eguaglianza è un’emozione etico/ estetica e non già solo il calcolo di Bersani, è accettabile che l’eguaglianza venga domani, fra dieci o cento anni. Purché io possa credere che ho lavorato per essa. Vale per l’eguaglianza come vale per valori di destra. Martiri sono sia a destra che a sinistra. Martiri di una idea di cui non si vedrà la realizzazione. I martiri del Risorgimento, dell’antimafia e dell’Isis. Con quei secondi prima di morire che riempiono la vita. Il quando potrebbe riguardare anche solo le future generazioni. Ma questo livello empatico è raro. Credo che la sinistra, innamorata della coerenza, lo finga. Il Bersani di Vieni via con me non avrebbe potuto sostenere agevolmente: Io sto meglio se i miei discendenti stanno meglio”. Quest’empatia pare appartenere piuttosto alle menti religiose dei fondamentalisti ecologisti. O alla pretestuosa religione laica del socialismo reale che giustificò tutto, compreso l’orrore, alla vittoria del socialismo in un domani che non si sarebbe visto. Il socialismo come “luogo” nella direzione della sinistra Il socialismo – come il laburismo o il liberalsocialismo – è uno dei luoghi della sinistra. Ovvero uno spazio di idee/progetti/valori presuntivamente coerente. E’ un luogo però perennemente devastato ovvero ridefinito. Assai più di quanto non lo sia a destra il “liberalismo”. La sua ridefinizione continua lo ha reso vago. Oggi, leggendo i programmi dei partiti non capiremmo facilmente quali aderiscono al PSE o al PPE in Europa. Perché, dopo Bad Godesberg il confine fu abbattuto ed oggi i socialisti si dicono tali non già perché promettono o operano per l’eguaglianza ma solo perché dicono di voler ridurre le diseguaglianze. Quando possibile e nella misura possibile. Misure del tutto indefinite. Quindi anche mai. Sicché, in opposta direzione, la destra liberale/liberista, altrettanto pragmatica, può predicare la libera iniziativa contemperata da welfare. E di fatto, pensare allo stesso modello dei socialisti. Ne deduco che luogo organizzato e definito della sinistra oggi non possa essere che il socialismo inteso come scommessa sull’eguaglianza. Nulla di meno. Solo giudicare eventi ed azioni rispetto a tali obiettivi può fornire ancoraggio solido. Questo non esaurisce la politica. Perché pause, deviazioni e mix con altri obiettivi (ambiente, crescita, etc.) persistono e dividono. Ma solo l’invenzione ideale/emotiva dell’eguaglianza degli uomini può ancorarci a sinistra, nel socialismo. Sennò, navigando sull’asse destra/sinistra, avanti e indietro, dimostreremo di giocare con le parole o di essere agiti da altre forze. Chi presidia il socialismo Cosa ha sconfitto il socialismo reale? Forse la competizione impossibile con i paesi sviluppati dell’Occidente. Il socialismo era perdente nei consumi esibiti o addirittura proprio nei consumi. Sconfitta di immagine e/o sconfitta economica. Perché quello che il socialismo comunque realizzò – salute, istruzione, etc. - non era tangibile e visibile. Ma mancò soprattutto ciò che avrebbe potuto correggere il sistema in corso d’opera: la democrazia. La democrazia sequestrata dalla presunta avanguardia. Non si potrà riavviare il filo dove fu smarrito. Né da Lenin né da Dubcek né da Gorbaciov. Se si dovesse riavviare una storia simile il nesso socialismo-democrazia dovrà essere stringente. Anche recuperando forse l’antica saggezza ateniese delle cariche per sorteggio, oltre che a tempo.
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