Tra bradisismi politici, minacce jihadiste e la vicinanza della Libia devastata sulla quale calerà l’intervento militare straniero, la Tunisia affronta un anno cruciale.
L’umore della società tunisina non somiglia a quello delle fasi celebrative dell’unica primavera araba non sfociata in un bagno di sangue. La Tunisia ha saputo creare istituzioni democratiche che hanno superato attentati a personalità politiche, una persistente diffidenza tra componente filo-religiosa e filo-laica e una grave crisi politica nel 2013.
Il governo guidato dagli islamisiti di Ennahda e presieduto da Hamadi Jebali rassegna le dimissioni nel 2013; si forma un governo di tecnocrati; si vara la nuova costituzione e si torna a votare alla fine del 2014.
Guadagna il maggior numero di seggi “Appello alla Tunisia”, partito laico Nidāʾ Tūnus di Beji C. Essesbi che assume la presidenza.
I voti non sono sufficienti per un monocolore, si forma un governo di coalizione con Ennahda e gruppi minori, presieduto da Habib Essid, al momento ancora in carica.
Le novità di queste ultime settimane, però, sono molte e pongono seri interrogativi.
L’ex presidente Moncef Marzouk, da vari mesi inquieto, si sfila in marzo insieme a un gruppo di parlamentari di Nida Tunus per creare il partito Mouvement Projet Tunisie, che promette ai tunisini “una miglior qualità di vita”, ma fino al giorno 20 non sarà ufficializzata l’agenda politica.
Se i voti di Ennhada restano compatti non è certa un’immediata crisi di governo, però la defezione di Marzouk fa scendere i seggi di Nida Tunus da 86 a 58 e Ennahda, presieduto da Rachid Gannouchi, torna a essere il primo partito in parlamento (69 seggi).
In politica internazionale si sta evidenziando qualche divergenza all’interno del governo: mentre il Ministro degli Interni Hedi Majdoub firma la risoluzione del GCC, Coordinamento dei Paesi del Golfo, che degrada gli Hezbollah libanesi a organizzazione terroristica, il ministro degli Esteri Khemaies Jhinaoui in una intervista televisiva afferma la sua contrarietà. Identica posizione viene assunta dalla storica UGTT, Unione generale tunisina del lavoro, una delle quattro componenti che hanno ricevuto il Nobel per la Pace conferito al paese nel 2015. Il Sindacato, sottolinea che Hezbollah rappresenta “il simbolo della lotta libanese contro Israele“.
Non è cosa da poco. Significa una dicotomia nei confronti dell’Arabia Saudita, la quale influisce sfrontatamente sul Libano a sostegno del partito filo-occidentale di Saad Hariri per contrastare la convergenza di vari partiti su un candidato presidenziale che è gradito all’Iran e a Hezbollah, ma non ai Sauditi.
Sono state chiuse le sedi diplomatiche in Libia, ambasciata a Tripoli e Consolato di Bengasi e già da febbraio il presidente Essesbi aveva sottolineato che l’intervento internazionale in Libia deve tener conto anche degli interessi dei paesi vicini. Successivamente, per bocca del ministro dei rapporti con il parlamento, Khalid Shaukat, è stato detto chiaramente che la Tunisia resterà fuori dalla missione militare, disponibile solamente ad attivarsi per gli aiuti umanitari. I cittadini già vedono allestire campi profughi con materiali inviati dall’Onu e centinaia di migliaia di libici rifugiati.
La vita politica e sociale della Tunisia post rivoluzionaria presenta due specifici handicap in vista del normale funzionamento democratico.
– All’Occidente sono invisi gli islamisti e il loro governo fu molto osteggiato anche dal FMI; una pressione illecita in quanto sono entrati in parlamento grazie ai voti degli elettori e non hanno mostrato tendenze a conservare il potere contro la volontà popolare.
Si descrive abitualmente la Tunisia come un paese laico anziché tener conto che l’influenza francese ha sì creato una componente tra gli intellettuali e la gente comune con questa impostazione ideologica, ma ciò non ha impoverito l’importanza della religione, anzi: l’atteggiamento internazionale ha avuto l’effetto di rinvigorire le frange radicali islamiste.
– Precisamente a questo si collega l’altro pesante handicap: nelle file dell’Isis i combattenti tunisini sono la presenza più numerosa fra gli stranieri; col turn-over dei combattenti essi tornano in patria, in dicembre ben 500, dalle zone di combattimento dell’Isis in Libia, Siria e Iraq. Esistono altresì frange jihadiste dell’interno, forti soprattutto nella zona montuosa di Djebel Chambi dove i miliziani si nascondono, ma nemmeno troppo.
L’età media è bassissima, l’80% dei maschi giovani è senza alcuna entrata e al matrimonio accedono, sì e no, verso i 35 anni.
Dei 1800 abitanti solo 20 hanno un impiego stabile nella sanità e nell’amministrazione, gli altri se la cavano con la pastorizia e gli oliveti, ma anche si traffica con la droga e si fa il contrabbando dall’Algeria; qualcuno ammette di approvvigionare i miliziani delle montagne. E’, in tutta evidenza, una zona d’incubazione del terrorismo ed è, quello, territorio di Ansar Al Sharia alleata di AlQaeda.
La Tunisia è diventata un target dell’Isis, basti ricordare l’attentato di novembre 2015 alle guardie presidenziali che ha ucciso 13 persone. Non sfugga la concomitanza con la preparazione della coalizione araba anti-Isis in cui stava entrando la Tunisia e che è stata annunciata pubblicamente da Ryad tre settimane dopo.
Perché la Tunisia è un target? Non avendo petrolio o risorse minerarie per finanziare lo Stato Islamico, resta l’ipotesi della tattica di allargamento dell’influenza territoriale. Mentre l’attenzione si concentra, e la deterrenza viene portata avanti, sulla Siria e l’Iraq, quanto più terreno viene perso in quelle zone, tanto più alto il numero di combattenti da inviare altrove.
L’attacco del 2 marzo a Ben Gardane ha visto i soldati tunisini combattere i miliziani Isis. E’ un esempio dell’infiltrazione, sebbene questo le autorità abbiano voluto negarlo; ma non si può dimenticare che il giorno precedente l’Isis aveva dovuto, almeno in parte, sgomberare dalla vicina Sabrata.
Che cosa fa la Tunisia per proteggere il paese?
Costruisce un “muro”: una barriera di sabbia lunga 250 km verso la Libia e riconferma lo stato d’emergenza per un altro mese.
Ha elaborato una strategia quadriennale relativa a immigrazione, integrazione sociale e lotta al terrorismo di cui non sono noti i dettagli, ma il governo conta soprattutto sulle informazioni della popolazione, tenendo conto che anche fra le forze di polizia e i militari è stata accertata la presenza di elementi in contatto con i terroristi.
E arruola, il governo arruola freneticamente i giovani, amplia le Brigate Antiterrorismo, il BAT, che sulla divisa inalberano la scritta “Police”…
Tunisia la Dolce vive un periodo amaro e non sembra che i governi d’Occidente, dopo aver creato il disastro libico, abbiano fatto proprio il principio di precauzione. Perché il popolo tunisino continui ad amare la democrazia all’occidentale occorre dargli ciò che ha chiesto nel 2011, la richiesta basilare e rivoluzionaria di tutti i popoli: pane e lavoro. Altrimenti, libertà è solo flatus vocis.
articoli di questo blog sulla Tunisia : https://mcc43.wordpress.com/tag/tunisia/