Pubblicato il 9 dic 2013 da Filippo Secchi
Oh, eccoci finalmente all’ultimo appuntamento dedicato alle serie tv autunnali. Lo sappiamo, siamo in clamoroso ritardo rispetto alla tabella di marcia che ci eravamo imposti quando abbiamo cominciato il nostro viaggio. Abbiate pazienza e siate comprensivi, perché una miriade di episodi pilota richiede tempo per essere vista e digerita. Senza trascurare il fatto che si tratta di serie concepite per la tv generalista, per le quali generalmente non impazziamo, e che, puntualmente, si rivelano per la maggior parte dei prodotti noiosi, banali, già-visti-già-sentiti, ennesime ripetizioni di percorsi narrativi esplorati in lungo e in largo millantamila volte, impenitenti propagatori di stereotipi usati e abusati, farciti di cliché, promotori esclusivi di valori conformi alle ideologie egemoni, etc.
Affrontiamo questo ultimo capitolo quando ormai la stagione è ben più che avviata, con quasi due mesi di programmazione ormai alle spalle. Si sono inoltre appena conclusi i temuti sweeps novembrini, quel periodo dell’anno in cui i programmi televisivi vengono a conoscenza del proprio destino (ovvero: back-9 order e stagione completa, rinnovo per la prossima annata, o cancellazione senza pietà), legato a doppio filo all’andamento dei rating di ascolto. Le serie veterane hanno ripreso i loro consueti spazi all’interno del palinsesto, le novità proposte dai network hanno ormai consolidato il proprio pubblico (anche se spesso con risultati non particolarmente lusinghieri) e ci restano solo una manciata di settimane prima della pausa natalizia e della partenza della prossima programmazione invernale. Per le serie passate indenni tra le forche caudine delle valutazioni degli investitori pubblicitari, la stagione proseguirà fino a primavera inoltrata (o magari ricomincerà a primavera, per quelle serie che osservano un lungo periodo di letargo durante i mesi invernali). Per quelle che invece non hanno passato gli esami, beh, non ce ne vogliano, ma non ne sentiremo certo la mancanza.
How I Met Your Mother, CBS (nona stagione, 24 episodi, 23 settembre)
La brillante rom-com/sit-com degli esordi è irrimediabilmente persa, soffocata nella lenta agonia delle ultime annate, e siamo sicuri che non sarà quest’ultima stagione a riportare a galla una barca affondata ormai da tempo. Comunque sia, gioia e giubilo, perché finalmente HIMYM è arrivato alla sua conclusione, anche se l’attesa per questa nona e ultima stagione è in gran parte dovuta solo ad un mal riposto senso di responsabilità verso qualcosa che, una volta iniziato, si vuole portare a termine. L’ultimo episodio della passata stagione ha rivelato finalmente il volto della Madre del titolo, e gettato le fondamenta su cui si reggerà tutto il finale: tutti gli ultimi episodi, infatti, avranno luogo nell’arco temporale coperto dalle 56 ore che precedono il matrimonio di Robin e Barney. 56 ore durante le quali tutti i protagonisti incontreranno La Madre Dei Figli Di Ted (Cristin Milioti, ovviamente series regular) prima di Ted: ne converrete, la premessa è un po’ labile per sostenere 24 puntate, e i primi episodi non hanno fatto che confermare quest’impressione. Alla fine, il miglior commento possibile nei confronti dello stato attuale della serie potrebbe averlo fornito la stessa CBS, con il trailer diffuso in occasione del ComiCon di San Diego dello scorso luglio: chi di voi, arrivati a questo punto, non si sente ESATTAMENTE come gli ormai cresciuti figli di Ted, arcistufi di ascoltare una vicenda che ormai è talmente tirata per i capelli da poter vincere a mani basse tutte le gare di “Serie Televisive Palesemente Allungate In Modo Patetico E Ingiustificato Per Fare Cassa”? A cui ci sentiamo di aggiungere: per quante puntate ancora ci dovremo sorbire Ted e il suo continuo rimuginare sul suo amore per Robin, prima di vedere compiuta la vicenda?
Per rendere il tutto ancora più amaro, sappiate che in questi giorni le voci di uno spinoff della serie (sorpresa sorpresa, virato al femminile!) si sono concretizzate nell’ordine da parte di CBS dell’episodio pilota, previsto per la stagione 2014/2015. Kids, siete curiosi di conoscere in un numero spropositato di stagioni la storia di… wait for it… How I Met Your Dad?! Uhm. No.
Sleepy Hollow, FOX (prima stagione, 13 episodi, 16 settembre)
Rilettura in chiave contemporanea del pluri-riadattato racconto di Washington Irving. Il primo, comprensibile, istinto è quello di immaginare la serie come un’estensione della riduzione cinematografica curata da Tim Burton, ma in realtà questa ennesima versione diSleepy Hollow si allontana decisamente dal predecessore visto sul grande schermo (mantenendo una flebile traccia di atmosfere burtoniane solo nella sigla di apertura) e prende le mosse da premesse del tutto originali. Ichabod Crane assume stavolta l’identità di un professore di storia di Oxford arrivato in America al seguito delle truppe britanniche per reprimere le istanze indipendentiste dei coloni ribelli alla vigilia della Rivoluzione Americana. Inorridito dalla ferocia della tirannia inglese, il nostro protagonista dismette rapidamente la giubba rossa e passa in men che non si dica dall’altra parte della barricata, arruolandosi tra le giacche blu dell’esercito continentale. Da bravo voltagabbana, Crane scala rapidamente le gerarchie dell’esercito guidato dal generale George Washington, diventandone uno dei collaboratori più stretti, e in quanto tale viene introdotto ai segreti che si celano dietro la guerra e alle sue reali implicazioni. “No taxation without representation!”, direte voi, memori di quello che vi hanno insegnato a scuola, ma sappiate che quella è solo una favoletta buona per i manuali di storia: qui si parla di eroi americani, quelli veri, ed è noto che quando entrano in gioco gli eroi americani, quelli veri, a rischio c’è sempre la salvezza del mondo intero, non banali quisquilie politiche o economiche. In missione per conto di Washington, Crane è alla ricerca di un mercenario hessiano al servizio della corona inglese, incarnazione di questo enorme pericolo che incombe su tutta l’umanità. Il tedesco è un marcantonio mascherato che si muove con la macchinosità e la pesantezza di un T-800, brandisce un’enorme ascia con la quale riesce a fare evoluzioni degne di uno sbandieratore del Palio di Siena, e appare per lo più immune alle pallottole: tutti aspetti che lo rendono effettivamente una minaccia piuttosto consistente. I due si incontrano presto sul campo di battaglia, dando vita ad un duello che si rivelerà mortale per entrambi i contendenti: pari e patta, i due avversari stramazzano al suolo, Ichabod ferito a morte da una poderosa asciata del tedesco e il colosso in giubba rossa decapitato da un fendente dell’inglesino. Fine? Per niente, questo era solo l’inizio. Perché qui arriva il “twist” introdotto dalla serie televisiva alla nota storia di Ichabod Crane e del Cavaliere Senza Testa: il buon Ichabod, in virtù di un sortilegio praticato dalla moglie-strega Katrina, torna in vita dopo due secoli e mezzo passati a far compagnia ai lombrichi, e si trova, confuso e spaesato, nella placida cittadina di Sleepy Hollow dell’Anno del Signore 2013. Contemporaneamente, richiamato dal demone Moloch, fa capolino nel XXI Secolo anche il feroce hessiano, nelle vesti ancor più minacciose del Cavaliere Senza Testa. E perché un demone come Moloch dovrebbe richiamare un militare deceduto da secoli e per giunta privo di un’estremità piuttosto importante? Perché il corpulento cavaliere altri non è che il Cavalier Morte! Proprio Morte, membro di punta del famoso quartetto dei Cavalieri dell’Apocalisse, evocato dal demone con l’obiettivo di richiamare i colleghi Pestilenza, Carestia e Guerra, riunire la band e scatenare letteralmente l’inferno, ovvero l’Armageddon. E mentre Ichabod è comprensibilmente disorientato di fronte alle meraviglie tecnologiche della contemporaneità (nonché profondamente ferito nella sua sensibilità di uomo del XVIII secolo da alcune inconcepibili assurdità del sistema capitalista contemporaneo), il Cavaliere Senza Testa sembra in grado di approfittarne per il perseguimento del suo apocalittico scopo, potendosi servire non più solo della sua vetusta ascia — arma ancorché perfetta per le decapitazioni con cui si dedica con passione –, ma anche di fucili d’assalto, pistole automatiche e fucili a pompa. Tutto l’arsenale che si può recuperare in una qualsiasi cittadina americana, insomma.
Come da profezia biblica, Ichabod, uno dei due testimoni dell’Apocalisse annunciati nel noto best-seller di Giovanni Apostolo & Evangelista, non sarà solo nella sua disperata impresa di combattere le forze del male e scongiurare il catastrofico avvento dei Quattro Cavalieri. Ad affiancarlo nella sua missione sarà la bella e tignosa poliziotta Abbie Mills, giovane tenente in servizio presso il dipartimento di polizia di Sleepy Hollow e in procinto di trasferirsi a Quantico per intraprendere una brillante carriera da profiler nei ranghi dell’FBI, ma trattenuta nella cittadina natale dall’omicidio del suo mentore e compagno di pattuglia, lo sceriffo Corbin, prima vittima decapitata dal neo-resuscitato Cavaliere Senza Testa. Vincendo il suo iniziale scetticismo e la sua incredulità razionalista, Abbie accetta il suo ruolo di secondo testimone, un destino preannunciato — ma colpevolmente ignorato — da alcuni misteriosi eventi accaduti nella sua tormentata infanzia. La coppia Crane-Mills, ennesima riproposizione della felice formula sbirro afroamericano (Abbie) e pseudo-sbirro bianco (Ichabod), si adopererà per svelare i tanti segreti nascosti a Sleepy Hollow, dei quali Corbin era apparentemente a conoscenza, e dei quali sembra avere consapevolezza anche Jenny, sorella di Abbie da anni internata in un ospedale psichiatrico e considerata da tutti una matta da legare (appunto) ma inevitabilmente una delle poche persone in grado di comprendere la reale entità del pericolo incombente.
Sleepy Hollow è, per ora, una felice miscela di atmosfere da thriller cospirazionista e commedia buddy cop, il tutto immerso in un’ambientazione fantastica e soprannaturale e insaporito da una spruzzatina di (blandissimo) horror, narrato a un ritmo incalzante, girato con abbondanza di effetti visivi non troppo dozzinali e sostenuto da una colonna sonora appropriatamente pomposa e “bombastic”. La serie promette di spararla sempre più grossa di puntata in puntata, e paradossalmente questo non sembra essere un male: tra immaginifiche contro-ricostruzioni pseudo-storiche degli episodi più salienti della mitologia indipendentista americana (il Boston Tea Party, la cavalcata notturna di Paul Revere, etc.), leggende bibliche e oscuri complotti, congreghe di streghe buone e streghe cattive, demoni, sette segrete e logge massoniche, riferimenti ai capisaldi dell’esoterismo e dell’occultismo (mainstream, certo, e comunque tutto spiegato per filo e per segno, in modo da renderlo comprensibile anche ai bambini delle scuole elementari), il risultato è chiassoso e sfacciatamente pop — una versione “bassa” del pop, intendiamoci — ma di sicuro non noioso. La chiusura della prima stagione si avvicina (la serie, curiosamente, non aveva in programma il classico back-9 order, ma è stata tuttavia già confermata per una seconda stagione) e ci sono ancora ampi margini per mandare tutto a ramengo — per esempio, con una mal consigliata love story tra i due protagonisti, soluzione narrativa che violerebbe il primo principio del “buddy cop film” –, ma per ora Sleepy Hollow, grazie ad una piacevole vena umoristica che fa sovente capolino nel bel mezzo delle situazioni più assurde, all’eccellente chimica tra i due lead, al delizioso tocco “british” di Tom Mison nella parte del protagonista maschile, e soprattutto al plateale e categorico rifiuto di prendersi sul serio anche solo per mezzo secondo, è una delle (poche) piacevoli novità della stagione, e non solo all’interno dei confini della tv generalista.
The Blacklist, NBC (prima stagione, 22 episodi, 23 settembre)
The Blacklist è una delle novità più reclamizzate della stagione, e, a differenza dei tanti flop andati in onda negli ultimi tempi sulla rete del pavone, sta ottenendo un discreto successo di pubblico, per quanto di questi tempi la definizione di “successo” sia stata pesantemente ridimensionata da streaming, DVR e affini. Ma il nostro giudizio si sintetizza in un perplesso e lapidario “bah”. Che è un modo rapido e veloce, ancorché poco argomentato, per dire che non ci ha convinto per nulla.
I primi 30 secondi del pilot sono sufficienti a farci conoscere il protagonista, e occorrono giusto un paio di minuti in più per delineare le premesse di uno show costruito secondo la canonica formula “un caso alla settimana”: Raymond “Red” Reddington, un pericoloso criminale ricercatissimo dall’FBI e dai dipartimenti di polizia di mezzo mondo, si costituisce alle autorità, presentandosi al quartier generale della polizia federale per farsi arrestare. Scattano le manette ai polsi del flemmatico delinquente, e per lui appare inevitabile la condanna a decenni di reclusione, ma l’impeccabilmente vestito Reddington, che la sa lunghissima e parla e si muove con felpata sicumera, ha un piano: evitare la scontata sentenza mettendo a disposizione dell’FBI tutte le inestimabili conoscenze maturate nel corso della sua attività sul campo, ovvero in oltre un ventennio di brokeraggio di proficue relazioni tra i peggiori fuorilegge attivi a livello internazionale. Essendo a conoscenza del come-dove-quando di tutti i principali ricercati, Reddington stila quella che definisce una “lista nera”, con i nomi dei più pericolosi mafiosi, politici corrotti, truffatori, spie, immancabili terroristi e esponenti di spicco della feccia criminale mondiale, e — come Larry Bird alzò il dito al cielo prima che l’ultimo pallone si infilasse morbido in una storica gara del tiro da tre — senza il minimo segno di incertezza ne assicura la cattura qualora si faccia come dice lui. Pone quindi le sue condizioni: alloggio nei migliori hotel, vari privilegi che gli consentano vita agiata e confortevole, e collaborazione garantita solo se l’agente destinato a seguire le sue soffiate sarà la giovane e inesperta profiler Elizabeth Keen (la quale, del tutto accidentalmente, è anche discretamente sexy). Red dice di esserne ossessionato, ma il perché di questa sua ossessione non lo sappiamo. Per quanto è stato possibile intuire dal pilota, Reddington sa qualcosa su di lei ignoto a tutti, interessata inclusa. Qualcosa che ha a che fare con lo sconosciuto padre dell’agente Keen, e, forse, anche con l’insospettabile marito di lei, insegnante scanzonato ma possibile doppiogiochista al soldo di feroci terroristi. In una dinamica con molti elementi in comune con quella instaurata dal Dr. Lecter con la giovane Clarice, Reddington guida maiuteicamente Elizabeth alla soluzione del caso della settimana, e contemporaneamente la conduce alla scoperta dei lati oscuri di quella che la giovane poliziotta ritiene una vita tutto sommato normale (salvo il fatto di essere socialmente isolata e considerata una stronza da tutti i compagni d’accademia).
Quali sono le motivazioni profonde che hanno portato Reddington a compire questa scelta, e perché chiede di lavorare solo e soltanto con l’agente Keen? Non sappiamo rispondere a nessuna delle due domande, ma immaginiamo che gli sceneggiatori abbiano pensato che fossero due curiosità sufficienti per tenerci incollati alla loro creatura settimana dopo settimana. Cari sceneggiatori, missione fallita, e non di poco: la sigla finale del primo episodio ha segnato la chiusura definitiva della nostra esperienza diThe Blacklist.
Marvel’s Agents of S.H.I.E.L.D., ABC (prima stagione, 22 episodi, 24 settembre)
Un fumettone — e non poteva essere altrimenti, vista l’etichetta “Marvel” che campeggia sopra il titolo — che gli appassionati di supereroi con superproblemi e i fanatici di tutto ciò che ha a che fare con lo sterminato universo Marvel potrebbero anche trovare gradevole. Noi, invece, che non siamo tra i più accaniti estimatori di fumetti di supereroi e di film derivati, facciamo molta più fatica a trovarlo interessante, e indubbiamente questo ha influenzato lo spirito con cui ci siamo apprestati a guardarlo.
Uno degli obiettivi della serie firmata Joss Whedon era quello di risultare intellegibile anche a chi, come noi, non abbia frequentato con assiduità l’universo cinematografico Marvel, e sotto questo punto di vista il pilota sarebbe anche un esperimento riuscito: totalmente ignari degli eventi (tra i quali quella che viene sovente ricordata come l’”Epica Battaglia di New York”) che hanno coinvolto Thor, Iron Man, Capitan America & Co. nel film The Avengers, di cui Agents of S.H.I.E.L.D. è una sorta di estensione/continuazione, non abbiamo avuto grandi difficoltà a ricostruire una backstory sufficientemente chiara. Punto di contatto fondamentale tra il film e la serie è l’agente Phil Coulson, un soprintendente della S.H.I.E.L.D., l’ormai nota agenzia governativa (il cui acrostico, oltre a risultare un tormento per chi scrive a causa di maiuscole e puntini, sta per un improbabile Strategic Homeland Intervention, Enforcement and Logistics Division, ed è evidente che, come sottolinea uno dei personaggi, sia stato pensato da qualcuno che “really wanted our initials to spell out SHIELD”) deputata ad occultare la presenza dei supereroi agli occhi dell’umanità, e a proteggerla dai supereffetti collaterali dovuti all’uso improvvido di supertecnologie aliene o, peggio, da superpsicopatici con superpoteri e/o superarmi animati da superdeliri di grandezza. Gli umani, si sa, sono incapaci di comprendere l’esistenza di tutti questi superfenomeni e sono superterrorizzati dal “diverso” (specie in formato “super”), ragion per cui mantenere uno stato di beata ignoranza tra di essi è fondamentale per poter garantire il quieto e ingenuo vivere dei bravi cittadini americani: quando i supercattivi e i superbuoni se le danno di santa ragione, entrano in scena gli agenti S.H.I.E.L.D., ripuliscono la scena, e tutto può prosegue placido e sereno come prima.
L’agente Coulson, si diceva, è il protagonista e l’anello di congiunzione tra il film e la serie. Pugnalato mortalmente da Loki durante i catastrofici eventi raccontati in The Avengers, egli era evidentemente dato per deceduto dai più — supereroi e spettatori assieme — per cui immaginiamo gli stupefatti “ooooh” del pubblico nel momento in cui il nostro riappare, vivo, vegeto e più sassy che mai, sulla scena. Protagonista di una messa in scena atta a motivare la banda dei supereroi nella battaglia contro il fratellastro pazzerello di Thor (o forse riportato in vita grazie ad una delle tante supertecnologie marchiate Marvel? O magari clonato?), il redivivo agente Coulson ci spiega per filo e per segno la sua nuova missione: mettere insieme un team di agenti (senza superpoteri) per prendersi cura delle minuzie per i quali i big fellas, Thor, Iron Man e colleghi non si scomoderebbero mai. Detto fatto, incontriamo uno ad uno i membri di questo team, composto seguendo le ferree regole dei polizieschi televisivi: Grant Ward, maschio, bianco, un duro e scontroso agente black-ops; Melinda May, donna, asiatica, pilota della mastodontica fortezza volante in dotazione alla S.H.I.E.L.D. ed esperta di armi; Leo Fitz e Jemma Simmons, coppia di nerd dall’accento britannico, massimi esperti mondiali di tecnologia il primo, e di biologia umana e aliena la seconda. A questo gruppetto di stereotipi ambulanti manca, lo avrete notato, la “donna giovane, bella e simpatica (possibilmente bianca)”, ma non temete, perché nel corso dei primi 45 minuti scarsi verrà reclutata anche lei: è Skye, membro di un collettivo di hacktivisti denominato Rising Tide, in fissa con le teorie sul complotto supereroistico e decisa a denunciare al mondo tutto ciò che gli agenti S.H.I.E.L.D. cercano di insabbiare in nome del quieto vivere — a quanto pare tutte ottime credenziali per essere reclutati dall’agenzia: tenentele a mente e inseritele nel vostro CV nel caso miriate ad una rapida carriera nei ranghi dei G-Man. Come in ogni poliziesco televisivo generalista che si rispetti (e non a caso la definizione più pregnante di Agents of S.H.I.E.L.D. – circolata su twitter — è “CSI: Superheroes”), i nostri (not-so-super) eroi risolveranno un caso alla settimana, sbrogliando vicende che vanno dal recupero di pericolosi manufatti alieni al contenimento di supereroi minori appena arrivati alla consapevolezza dei propri poteri, fino alle indagini sul misterioso Project Centipede.
Probabilmente anche a causa della poca familiarità con il mondo supereroico a cui la serie fa riferimento, abbiamo trovato l’episodio pilota noioso e prevedibile, strutturato avendo in mente un pubblico giovanile e/o nerd (anche se come scusante per un episodio mediocre regge poco, poiché non ci sovviene alcuna buona ragione per cui sia cosa buona e giusta propinare ai ragazzi e/o ai supposti nerd delle storie di una banalità disarmante). In realtà, stando ai rating di ascolto, anche i tanto agognati telespettatori appartenenti al segmento “18-49″ pare non stiano apprezzando in modo così viscerale una serie che, nella testa degli executive ABC, era destinata a sbaragliare la concorrenza e diventare l’incontrastato blockbuster della stagione autunnale. A salvare la baracca non basterà certo l’annunciato cameo di Samuel L. Jackson nel suo ruolo canonico di Nick Fury. D’altra parte, cosa ce ne facciamo di un Samuel L. Jackson privato della possibilità di pronunciare anche un solo “muthafucka”, vietatissimo dall’iper-perbenismo del broadcast network?
Almost Human, FOX (prima stagione, 13 episodi, 17 novembre)
“La nuova imperdibile serie di J.J. Abrams!”, avrete letto da più parti. Ed in effetti lo sforzo promozionale di Fox ha spinto parecchio sul nome del futuro autore dell’atteso (?) settimo capitolo della saga di Star Wars. La serie, invece, l’avrebbe ideata J.H. Wyman, e J.J. Abrams, al di là della compartecipazione allo sforzo produttivo, molto probabilmente non avrà contribuito neanche con mezza riga allo script (mentre ha contribuito con le banalissime note della colonna sonora), preso come sarà dalla supervisione di altri ottocento progetti a suo nome. Ma siccome il nome di richiamo è il suo, fatti da parte J.H. Wyman, nonostante la tua fama planetaria dovuta a prodotti di successo come Fringe, e via libera a te, J.J. Abrams, autore/showrunner/produttore (e ultimamente anche scrittore) di quasi tutta la fantascienza mainstream degli ultimi dieci anni. Mah. Noi facciamo una gran fatica a capire il motivo per cui il nome di Abrams dovrebbe fungere da richiamo piuttosto che da repellente, ma è evidente la nostra estraneità al pubblico di riferimento immaginato dalla Fox. La quale, nel non individuarci quali membri di questa cerchia, ci ha visto giusto, poiché il primo episodio di Almost Human ci ha annoiato mortalmente, tanto da averlo visto in varie sedute causa inevitabili appisolamenti. Il che, per un episodio da 45 minuti, ci pare un risultato eccellente, seppure per le ragioni più sbagliate che si possano immaginare.
Si comincia male, malissimo, con una voce narrante che ci vorrebbe fornire le coordinate spazio-temporali entro cui collocare la vicenda: siamo nel 2048, la scienza e la tecnologia hanno fatto e continuano a fare passi da gigante, e nel mondo circola una gran quantità di armi e di nuove droghe sintetiche, smerciate da potenti e anonime (maddai?!) organizzazioni criminali che minacciano tutto e tutti, e che sono responsabili di un aumento del crimine quantificato in uno strabiliante “+400%”, qualunque cosa significhi questa statistica buttata lì un po’ a caso (400% in più ogni mese? 400% in più rispetto al 2013? rispetto al 2047? Chissà). Poiché i criminali del futuro sono armati fino ai denti e piuttosto incattiviti, il Dipartimento di Polizia di Los Angeles ha stabilito che ciascun agente svolga le proprie mansioni di tutoraggio dell’ordine pubblico affiancato da un sofisticato androide da combattimento denominato MX-43. Questi androidi sono dotati di un potentissimo cervellino elettronico, e sono programmati in modo da massimizzare l’efficienza delle proprie azioni sulla base di un processo decisionale basato sul freddo calcolo del rapporto costi/benefici: praticamente l’intelligenza artificiale di quarant’anni fa, spacciata come un’enorme conquista di un tecnologicissimo futuro prossimo. A causa delle scelte operate da uno di questi androidi, il protagonista John Kennex, detective presso l’LAPD, ha perso un caro collega (e una gamba) nel corso di un un violento scontro a fuoco tra la sua pattuglia e una gang. Risvegliatosi dal coma dopo 17 mesi, Kennex si porta dietro, oltre ad una sofisticata protesi cibernetica, un odio viscerale per i colleghi al silicio e per la loro inscalfibile logica binaria. Nonostante una valanga di sintomi (tra i quali depressione, OCD indotti dal trauma, e inevitabile PTSD) ne sconsiglino il reintegro nei ranghi della polizia, il capitano del dipartimento lo richiama in servizio, poiché John, benché scorbutico e asociale, è pur sempre l’unico sottoposto di cui si fidi per perseguire il suo obiettivo: svelare i traffici della gang Insyndicate e incastrare i poliziotti corrotti al soldo della stessa gang, i quali sarebbero anche responsabili dell’agguato in cui John ha perso gamba e amico. Come da regolamento, il detective Kennex deve essere affiancato nello svolgimento delle sue funzioni da un androide, cosa che non manca di generare notevoli tensioni nell’ombroso e turbato protagonista. Fatto fuori il primo MX-43 assegnatoli, scagliato fuori da una vettura in corsa, John viene obbligato ad accompagnarsi ad un DRN, che è pur sempre un androide, ma più datato. Inspiegabilmente, “più datato”, all’interno della serie, significa “in grado di esibire comportamenti sostanzialmente indistinguibili da quelli messi in atto dagli esseri umani, e per giunta di quelli buoni”, e Dorian, il DRN affidato a Kennex, dimostra queste invidiabili caratteristiche sin dai primi 30 secondi di screen-time, rivelandosi persona amabilissima e sensibile. Talmente amabile, di buon senso, e animato da moralità ineccepibile (e mai timido nel fartelo pesare, quasi fosse un Grillo Parlante) che quasi quasi scaglieresti anche lui fuori da una macchina in corsa. Invece no, John Kennex stavolta resiste all’impulso iniziale e conclude la sua prima avventura al fianco di Dorian, nonostante non manchi mai di apostrofarlo con quello che è il suo insulto razziale prediletto: “sintetico”.
Ad accompagnare Kennex e Dorian nelle loro indagini per risolvere il caso della settimana ci saranno un manipolo di personaggi cartonati presi di peso, come quelli del sopracitato Agents of S.H.I.E.L.D., da qualsiasi altro poliziesco seriale. In questo caso, il gruppo è composto da: Sandra Maldonando, donna, bianca, capitano dell’LAPD, Region Delta, leader eccezionale e sbirro irreprensibile, grande supporter di John; Valerie Stahl, donna, bianca, bella, esperta di intelligence e ammiratrice dell’eroico e burbero John; Richard Paul, bianco, sbirro con la faccia da sbirro (ma non troppo irreprensibile?), per niente entusiasta del ritorno in servizio di John; Rudy Lom, uomo, bianco, nerd con la faccia da nerd, esperto di robotica e responsabile della messa in opera degli androidi, e fido aiutante di John.
Un po’ Blade Runner, un po’ Class of 1999, un po’ Strange Days, un pizzico di Minority Report rintracciabile nell’adozione di alcune soluzioni visive: Almost Human pesca a piene mani tra i temi e le situazioni più classiche del cinema sci-fi, a partire dalla premessa di un futuro quasi-distopico di dilagante delinquenza urbana. Su questo, si innesta anche qui la classica dinamica buddy-cop “poliziotto bianco & poliziotto nero”, declinata secondo lo schema sbirro buono ma scontroso e sbrigativo (l’umano) e sbirro buono e simpatico in grado di dire sempre la cosa giusta al momento giusto, nonché capace di empatia (benché androide). La presunta ostilità del protagonista umano per gli organismi artificiali e l’iniziale diffidenza nei confronti del partner cibernetico vengono risolte già alla fine del primo episodio, perché non vorrete mica che allo spettatore rimanga il dubbio, per più di una puntata, sull’eventuale prevalere dei buoni sentimenti, vero?
Modern Family, ABC (quinta stagione, 24 episodi, 25 settembre)
La sit-com più premiata d’America è arrivata alla quinta stagione e ancora non accenna a perdere colpi. La formula è sempre la stessa, ve ne parlavamo già un paio d’anni fa, semplice fino alla banalità e vecchia come Menandro, ma efficace e rodatissima: famiglia allargata, personaggi comuni un po’ macchiettizzati e situazioni quotidiane ingarbugliate da una successione di improbabili equivoci. Anche la tanto reclamizzata componente LGBT non ha in fondo altre funzioni se non quelle narrative di aggiungere un po’ di straordinarietà a quelle situazioni ordinarie cui lo spettatore (e parliamo di un’audience potenziale ampissima, Modern Family è uno dei pochi show oggi in onda che potremmo davvero definire “per tutti”) può facilmente rapportarsi. E del resto, non è questa l’essenza di una sit-com? Quando vediamo una puntata di Modern Family, ci aspettiamo dialoghi brillanti e gag esilaranti, e raramente rimaniamo delusi.
Dracula, NBC (prima stagione, 10 episodi, 25 ottobre)
Nell’era post-Twilight la serialità televisiva non ha certo ignorato il potenziale commerciale dei vampiri, svestendo le seducenti creature succhiasangue dai tradizionali abiti divenuti familiari grazie ai capolavori della letteratura gotica e trapiantandole nella contemporaneità, immerse in atmosfere che dal fantasy drama per adolescenti sono arrivate fino al porno soft-core (e vedremo presto cosa ci riserveranno le prossime variazioni sul tema vampiresco a cura di Robert Rodriguez e Guillermo del Toro). Sorprendentemente, in questo acclamato revival di creature dagli inconfondibili canini appuntiti, l’unico a non trovare spazio è stato proprio uno dei supercattivi più celebri della cultura popolare, il Principe delle Tenebre, il Re dei Non-Morti, e il Signore di tutti i vampiri: proprio lui, il conte Vlad III di Valacchia, meglio noto con l’affettuoso soprannome di Vlad Tepes “L’Impalatore”, e assurto a fama mondiale con il nome d’arte di Dracula. A porre rimedio alla lunga assenza dal piccolo schermo del fascinoso e sanguinario conte Dracula (con la trascurabilissima eccezione di un breve cameo nel dimenticabile fantasy storico Da Vinci’s Demons) ci ha pensato la NBC, la quale ha fatto della serie eponima una delle novità principali del palinsesto autunnale. Purtroppo, quello che ne è venuto fuori è un pastrocchio tale da farci augurare per il povero Conte un celere ritorno nella bara in cui è stato rinchiuso per anni.
La nuova avventura televisiva di Dracula si apre con il risveglio del nostro tenebroso protagonista, liberato dall’impolverato sarcofago che ne ha custodito il corpo per una manciata di secoli da un misterioso avventuriero, che altri non è se non il Professor Van Helsing, nemico giurato del noto vampiro. Se già questo primo accenno alla trama vi ha fatto corrugare la fronte e mormorare un sommesso “what the fuckin’ fuck?”, state a sentire il resto. Per quale motivo, vi starete chiedendo, la nemesi storica del temibile vampiro dovrebbe essere interessato a risvegliare il proprio avversario da un sonno pluri-secolare? Difficile a credersi, ma a quanto pare i due hanno una causa in comune: l’avversione per una fantomatica organizzazione segreta, denominata “Order of the Dragon” (e qui il rapporto con la tradizione vampiresca si fa davvero complicato, perché non abbiamo capito il collegamento con il vero Order of the Dragon), responsabile, tra le tante nefandezze perpetrate nel corso dei secoli, di innumerevoli crocifissioni di cui venne incolpato il povero Vlad, della sua trasformazione in vampiro, della martirizzazione via incenerimento della bella e amata moglie Ilona, e, dulcis in fundo, dello stermino della famiglia del Dr. Van Helsing. L’Ordine si è evoluto nel corso dei secoli fino a diventare una sorta di congrega di turbocapitalisti reazionari e neoliberisti in versione tardo-ottocentesca, composta da vecchi, avidi petrolieri e ricconi aristocratici, i quali, grazie alle loro smisurate ricchezze, sono in grado di infiltrare i propri membri in tutti i posti che contano e governare di fatto i destini del mondo intero. Senza scii kimiki, per ora, e con un avversione particolare per i vampiri, ai quali danno una caccia spietata. Il loro punto di forza è (non si stancheranno mai di ripetercelo) il controllo del petrolio e il monopolio delle fonti energetiche, e proprio su questo hanno deciso di puntare i due ex-acerrimi nemici per consumare la propria tanto sospirata vendetta. Per farlo, hanno architettato un piano la cui macchinosità e intrinseca stupidità hanno pochi rivali nella storia delle narrazioni televisive (ma forse anche delle narrazioni tout court): sviluppare una tecnologia che sfrutti il magnetismo terrestre per poter ricavare da esso energia pulita, senza fili, infinita, e soprattutto gratuita, e mandare così in bancarotta i famigerati petrolieri di cui sopra. Non fa una grinza: niente più petrolio, niente più soldi, e, conclude il funereo e sillogistico uomo-pipistrello, niente più soldi, niente più potere. Protetto da un’identità fittizia, il redivivo conte Dracula in versione ecologista anti-Ka$ta si trasferisce (immaginiamo dalla natìa Transylvania, anche se la mitologia vampiresca dello show — l’avrete intuito — è abbastanza stravolta) nella Londra vittoriana per dare inizio al suo macchiavellico piano. Nei panni del visionario tycoon americano Alexander Grayson (dotato di un ridicolo, fintissimo, involontariamente spassoso accento pseudo-americano, del genere “awana-gana what’s american style o’rait”!), il conte millanterà gli enormi vantaggi delle sue innovative lampadine, nel tentativo di minare l’impero economico dell’Ordine.
A complicare questo fallibilissimo piano sarà, potete scommetterci, l’amore, ma anche una sana, meno romantica, lussuria. Una delle allieve di Van Helsing, la bella Mina Murray, sembra infatti la reincarnazione della defunta moglie, cosa che turba alquanto il nostro Vlad Tepes/Alexander Grayson. Il quale, tuttavia, troverà modo di attenuare il proprio turbamento intrattenendosi sessualmente con la fascinosa Lady Jayne Wetherby, lasciva e indipendente nobildonna facente parte dell’Ordine, e incaricata da esso della missione di eliminare il vampiro che si aggira per le nebbiose strade londinesi.
Che c’è di male in tutto ciò? Molto, e non solo a causa di una sceneggiatura evidentemente oscena. Innanzitutto, per essere una serie vampiresca, manca decisamente di… mordente (ha-ha! …*groan*): non fa paura e non affascina neanche un po’, è sanguinolenta ma non abbastanza gore da solleticare gli appetiti degli appassionati del genere, vuole essere sexy, accennando a qualche tensione erotica qui e là, ma riesce a farlo solo in modo trito e pacchiano, in una ripetizione inconsapevolmente parodistica della (già di per sè parodistica) esibizione del sesso tipica del via cavo (ovviamente, essendo broadcast, in versione morigerata e castigata). L’impatto visivo, nonostante una sfarzosa e maestosa scena di ballo in occasione della festa di gala durante la quale Mr. Grayson presenta per la prima volta le lampadine eco-friendly, non fa certo urlare al miracolo. Anzi, aggiungiamo una manciata di penalità extra al giudizio negativo globale per punire sia gli occasionali ma fastidiosi slow-mo da videoclip, sia per il combattimento svoltosi sui tetti londinesi tra il Conte e un ammazzavampiri, coreografato e girato in modo da apparire una via di mezzo tra Matrix e 300.
Ma il peccato capitale è un altro: è uno show che si prende terribilmente sul serio, cosa che lo squalifica dopo aver percorso neanche mezzo metro dall’apertura del cancelletto di partenza. Al contrario di Sleepy Hollow, a nostro avviso riuscitissimo prodotto mainstream proprio grazie all’approccio scherzosamente serioso all’assurdo universo della propria narrazione, Dracula, nonostante le proprie visionarie premesse, non lascia trasparire un briciolo d’ironia, cadendo inevitabilmente nel ridicolo. Chissà, magari si tratta di uno di quei casi di prodotti talmente dozzinali da diventare di culto in virtù della propria ineguagliabile sciatteria, ma noi non saremo qui a testimoniare questo evento, poiché per nessun motivo al mondo ci avventureremmo oltre la conclusione del primo episodio. Unica, piccola, nota positiva dello show: il personaggio di Renfield, reinterpretato nella figura di un cristone afroamericano che agisce da braccio destro e rappresentante legale di Dracula/Greyson.
Reign, The CW (prima stagione, 22 episodi, 17 ottobre)
Ebbene sì: per completezza e dovere di cronaca (?!), non abbiamo trascurato neanche la principale novità proposta da The CW, nonostante la data di nascita sulla nostra carta d’identità ci collochi al di fuori del target del canale di svariati lustri. Si tratta, in perfetto accordo con la cifra stilistica di The CW, della solita soap opera adolescenziale, la cui unica particolarità è quella di essere sì un canonico teen drama, ma in costume. La serie è infatti ambientata nel 1557, ed ha come protagonista la quindicenne Mary Stuart, Regina di Scozia e promessa sposa di Francesco di Valois, futuro Re di Francia. La vita della giovane Mary, divenuta regina alla tenera età di… sei giorni e prontamente spedita in Francia per essere protetta dagli intrighi di corte che contrassegnarono il lungo conflitto a bassa intensità tra inglesi e scozzesi, è piuttosto turbolenta. Sfuggita ad un ennesimo tentativo di avvelenamento, Mary lascia il convento che l’ha ospitata fin dalla più tenera età e si trasferisce alla corte di Francia, laddove alle palpitazioni amorose per il bel Francesco si affiancheranno le tensioni per i giochi di potere e gli intrighi di palazzo. Non ultimi, quelli messi in atto dalla regina in carica Caterina de’ Medici, la quale, informata da Nostradamus del tragico destino a cui andrà incontro l’insipido Francesco in caso di matrimonio con la bella Mary, prova in tutti i modi ad evitare le nozze. Di contorno a tutto ciò, un quartetto di strillanti e vacue amiche adolescenti di Mary si dedica alla ricerca di un marito tra gli squallidi personaggi che popolano la corte.
L’episodio pilota ha fatto scalpore per una scena di masturbazione femminile ritenuta “troppo esplicita”, ma in realtà talmente castigata che probabilmente la passerebbe liscia anche di fronte a un censore quacchero. E invece, scandalo! …Yawn.
E per finire, ecco tutto il resto del palinsesto dei cinque network principali, canale per canale, valido, salvo cancellazioni, più o meno fino alla prossima primavera:
The Neighbors (seconda stagione, 22 episodi, 20 settembre)
Castle (sesta stagione, n. di episodi da definire, 23 settembre)
The Goldbergs (prima stagione, 22 episodi, 24 settembre)
Lucky 7 (prima stagione, cancellata dopo 2 episodi, 24 settembre)
Trophy Wife (prima stagione, 22 episodi, 24 settembre)
Back In The Game (prima stagione, cancellata, ma andranno in onda comunque i primi 13 episodi già prodotti, 25 settembre)
The Middle (quinta stagione, n. di episodi da definire, 25 settembre)
Nashville (seconda stagione, n. di episodi da definire, 25 settembre)
Gray’s Anatomy (decima stagione, 24 episodi, 26 settembre)
Once Upon A Time (terza stagione, 22 episodi, 29 settembre)
Revenge (terza stagione, 24 episodi, 29 settembre)
Betrayal (prima stagione, 13 episodi, 29 settembre)
Super Fun Night ( (prima stagione, 17 episodi, 2 ottobre)
Scandal (terza stagione, 18 episodi, 3 ottobre)
Once Upon A Time In Wonderland (prima stagione, n. di episodi da definire, 10 ottobre)
Law & Order: Special Victims Unit (quindicesima stagione, 22 episodi, 25 settembre)
Revolution (seconda stagione, 22 episodi, 25 settembre)
The Michael J. Fox Show (prima stagione, 22 episodi, 26 settembre)
Parenthood (quinta stagione, 22 episodi, 26 settembre)
Parks & Recreation (sesta stagione, 22 episodi, 26 settembre)
Ironside (prima stagione, cancellata dopo 4 episodi, 2 ottobre)
Sean Saves The World (prima stagione, 18 episodi, 3 ottobre)
Welcome To The Family (prima stagione, cancellata dopo 3 episodi, 3 ottobre)
Grimm (terza stagione, 22 episodi, 25 ottobre)
Mom (prima stagione, 22 episodi, 23 settembre)
2 Broke Girls (terza stagione, 24 episodi, 23 settembre)
NCIS (undicesima stagione, 24 episodi, 24 settembre)
NCIS: Los Angeles (quinta stagione, 24 episodi, 24 settembre)
Person Of Interest (terza stagione, 23 episodi, 24 settembre)
Criminal Minds (nona stagione, 22 episodi, 25 settembre)
CSI (quattordicesima stagione, 22 episodi, 25 settembre)
The Crazy Ones (prima stagione, 22 episodi, 26 settembre)
Elementary (seconda stagione, 24 episodi, 26 settembre)
Two And A Half Man (undicesima stagione, 22 episodi, 26 settembre)
The Big Bang Theory (settima stagione, 24 episodi, 26 settembre)
Blue Bloods (quarta stagione, n. di episodi da definire, 27 settembre)
Hawaii Five-0 (quarta stagione, 22 episodi, 27 settembre)
The Mentalist (sesta stagione, n. di episodi da definire, 29 settembre)
The Good Wife (quinta stagione, 22 episodi, 29 settembre)
We Are Men (prima stagione, cancellata dopo 2 episodi, 30 settembre)
The Millers (prima stagione, 22 episodi, 3 ottobre)
Brooklyn Nine-Nine (prima stagione, 22 episodi, 17 settembre)
Dads (prima stagione, 19 episodi, 17 settembre)
The Mindy Project (seconda stagione, n. di episodi da definire, 17 settembre)
New Girl (terza stagione, n. di episodi da definire, 17 settembre)
Glee (quinta stagione, n. di episodi da definire, 26 settembre)
American Dad (decima stagione, n. di episodi da definire, 29 settembre)
Bob’s Burgers (quarta stagione, n. di episodi da definire, 29 settembre)
Family Guy (dodicesima stagione, n. di episodi da definire, 29 settembre)
The Simpsons (venticinquesima stagione, n. di episodi da definire, 29 settembre)
Raising Hope (quarta stagione, 22 episodi, 15 novembre)
The Vampire Diaries (quinta stagione, 22 episodi, 3 ottobre)
Beauty & The Beast (seconda stagione, 22 episodi, 7 ottobre)
Hart Of Dixie (terza stagione, 22 episodi, 7 ottobre)
Supernatural (nona stagione, 23 episodi, 8 ottobre)
Arrow (seconda stagione, n. di episodi da definire, 9 ottobre)
The Tomorrow People (prima stagione, 22 episodi, 9 ottobre)
The Carrie Diaries (seconda stagione, 13 episodi, 25 ottobre)
Nikita (quarta stagione, 6 episodi, 22 novembre)