Qualità intrinseche, qualità estrinseche: autorità, prestigio, fascino

Creato il 15 marzo 2012 da Bruno Corino @CorinoBruno
Esistono posizioni sociali, ruoli, oggetti, ai quali gli agenti attribuiscono determinate qualità (o proprietà), in quanto sono in grado di conferire ai loro “possessori” autorità, prestigio, fascino. Se analizziamo ognuno di questi oggetti, scopriamo che in realtà essi in sé non hanno alcuna qualità. Siamo, infatti, noi che conferiamo loro qualità intrinseche. Tuttavia, sebbene tali qualità siano del tutto “soggettive”, nondimeno, nel momento stesso in cui vengono “istituzionalizzate”, esse s’impongono alla nostra coscienza come proprietà oggettivate. Possiamo dunque valutare allo stesso tempo qualsiasi qualità sia come qualcosa di intrinseco agli stessi oggetti sia come qualcosa di estrinseco. La valutazione, nell’uno o nell’altro senso (o in entrambi i sensi), dipende dal modo in cui un agente si pone nei confronti dell’oggetto indicato. Nel momento in cui un qualsiasi oggetto entra all’interno di una sequenza interazionale tra soggetti umani, esso acquista necessariamente determinate qualità. Che si tratti di porzioni di tempo, di spazio, di ruoli sociali, di oggetti materiali o immateriali (ad esempio, idee, pensieri, legami), una volta che sono immessi nello scambio interazionale essi diventano oggetti contesi, e, come tali, acquistano significati e valori che trascendono la loro pura materialità o fisicità. Uno stesso ed identico oggetto può dunque essere riguardato da diverse prospettive. Un oggetto può essere desiderato o ambito perché conferisce al suo possessore maggior prestigio. Oppure perché dà maggiore autorità o maggior fascino a chi lo possiede. I valori che vengono attribuiti all’oggetto se da un lato dipendono dalla soggettività umana dall’altro dipendono, come ho avuto modo di dire, dal valore intrinseco (oggettivato) che l’oggetto in questione esercita sulla nostra coscienza. Pertanto, se un oggetto è desiderato può esserlo sotto una duplice forma, vale a dire possiamo rintracciare alla sua fonte tanto una “motivazione” d’ordine soggettivo quanto una “motivazione” d’ordine oggettivo. Le due diverse prospettive che spingono qualcuno a desiderare qualcosa, se, da un punto di vista puramente analitico, sono distinguibili, altrettanto non possiamo dire che lo siano dal punto di vista pragmatico, in quanto esse si presentano alla mente in maniera inestricabile. Ciò che infatti qualifichiamo come motivazione soggettiva può essere immediatamente tradotta in una motivazione oggettiva, e viceversa. Se, ad esempio, qualcuno aspiri a un avanzamento di carriera, quindi ad avere una posizione sociale più elevata rispetto alla propria, tale aspirazione potremmo qualificarla come soggettiva, e attribuirla alla personalità ambiziosa del soggetto. Allo contempo, però, l’avanzamento è desiderato per i benefici sociali, e di conseguenza oggettivi, che ne derivano. Anche un semplice riconoscimento a puro titolo onorifico può avere questo duplice significato. L’avanzamento di carriera ha in sé qualcosa di prestigioso in quanto viene riconosciuto pienamente dall’ordine sociale. Oppure, ad esempio, una posizione sociale o un ruolo può essere ambita perché conferisce al possessore una autorità maggiore. In tal caso, il soggetto valuta gli effetti che tale possesso esercita sugli altri. La ragione che spinge qualcuno ad acquisire tale ruolo è dovuta al fatto di vedere incrementate la propria autorità, in quanto, tale incremento, induce a una maggiore obbedienza.Questo scritto è un frammento dell'Etoanalisi