Quando a stringere la mano di Gheddafi c’erano Prodi e la sinistra…

Creato il 22 febbraio 2011 da Iljester

Oggi si fa una gran cagnara perché Berlusconi è «amico» di Gheddafi. La sinistra, come suo solito, affogata nel puro distillato di ipocrisia che la contraddistingue e si lamenta del fatto che questo Governo ha (avuto) rapporti cordiali e stretti con il Colonnello Gheddafi, oggi quasi deposto nel suo paese.
Eppure, ben pochi ricordano chi fu uno degli iniziatori dei buoni rapporti tra l’Italia e la Libia. Se anche voi siete fra questi vi rinfresco io la memoria: Massimo D’Alema, quando era Ministro degli Esteri nel primo Governo Prodi. Eh, già! Stupiti? Era il lontano 1999, e Massimo D’Alema, ministro, si recò in Libia per la sua prima visita diplomatica. Prima di allora, i rapporti tra Italia e Libia non erano affatto buoni; chi non ricorda la vicenda di Sigonella negli anni ‘80? E ancor prima la cacciata degli italiani, quando Gheddafi salì al potere?
D’Alema però fu solo il precursore. Chi diede avvio ai rapporti diplomatici, politici (e perché no?) commerciali tra l’Italia e la Libia – proficui per entrambi, soprattutto per le nostre aziende – fu quel «gran statista» che oggi molti (o pochi: dipende dai punti di vista) ci rimpiangono: Romano Prodi. In verità, forse fu una delle poche mosse di politica estera riuscite del professore bolognese. Tanto riuscite, che Gheddafi non gli risparmiò elogi e cena di gala. Addirittura, in un impeto d’affetto fraterno, lo definì «Fratello Romano». Toccante, vero?
E allora mi domando: ma che cazz… vanno a dire, quando si indignano contro Berlusconi per i suoi rapporti con Gheddafi? Dobbiamo ricordare ai signorotti indignati, che quando Berlusconi siglò il tratto Italia-Libia nel 2008, Marco Minniti (fedelissimo di D’Alema) non mancò di rammentare che buona parte dei meriti del felice epilogo fu del «governo Prodi»? «Il primo a dialogare con Gheddafi»? E che «il primo ministro europeo a fargli visita ufficiale nel 1999 fu D’Alema».
Insomma, perché oggi questo atteggiamento scandalizzato? Beh, la risposta è sempre la stessa: distorcere, mistificare, interpretare la realtà per sconfessare e denigrare l’avversario al Governo. Tecnica tipicamente utilizzata dalla sinistra che sfrutta determinati fatti (il caos nel Maghreb) più come le conviene, che come quei fatti effettivamente si svolgono o si sono svolti. Così è per i rapporti tra Gheddafi e il Governo italiano. Ma così è per qualsiasi altro argomento. Per fare un esempio che nulla c’entra con Gheddafi: se un tempo, la sinistra radical chic esaltava il noto programma cult degli anni ‘80, Drive In, oggi lo ritiene il simbolo dell’inizio della decadenza dei costumi italiani. Se un tempo, andare in giro con le tette al vento costituiva esempio chiaro e limpido di emancipazione femminile, oggi è considerato tipica decadenza del berlusconismo. In altre parole, tutto ciò che può essere usato contro il Premier, va bene. Anche rinnegare se stessi e quel che si è detto è fatto con convinzione.
Tornando comunque a Gheddafi, è chiaro che il tentativo malcelato di alcuni settori della sinistra giustizialista, mediatica e movimentista è di paragonare Berlusconi a Gheddafi e ai suoi colleghi dittatori, magari auspicando pure che le piazze prima o poi si sveglino pure da noi e mandino a casa il «Tiranno» di Arcore, salvo non arrivi prima qualche sentenza di condanna a risparmiar loro il lavoro. Un paragone chiaramente che non sta né in cielo né in terra, poiché c’è un’abissale differenza tra i paesi maghrebini e l’Italia. Il nostro paese è infatti una democrazia, e Berlusconi se sta a Palazzo Chigi non ci sta perché alcuni generali compiacenti dell’Esercito glielo hanno consegnato con i cannoni e i carriarmati. Ma ci sta perché è il popolo ad averlo votato. Per cui, il paragone non solo è improponibile, ma è anche frutto di un’abissale ignoranza sulla differenza tra una dittatura e una democrazia. E se non è frutto dell’ignoranza, allora è frutto della nota capacità mistificatrice di cui ho parlato poc’anzi. In entrambi i casi, debbo ricordare a queste «cime» del ragionamento politico che l’Italia ha già ben pagato in termini di dittatura, e avrebbe pagato il doppio se al Governo ci fossero andati i loro stimati compagnucci. Che non sputino sulla democrazia in cui mangiano!


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