Quando butta male, Umbertino ritira fuori dal baule del perfetto illusionista la Secessione. È la sua parola magica, il tocco del maestro, la cifra del suo stile, il termine al quale ricorre per ricordare a una base stanca e delusa che lui c’è, e che con lui c’è anche la Lega. Incapace di articolare un discorso che avesse un senso compiuto ancora prima che l’ictus lo colpisse, Bossi continua nel suo delirio di capo di una nazione che non esiste, scimmiottando Peter Pan. A settant’anni, la voglia di giocare a Risiko c’è ancora tutta, esattamente come quella di continuare a godere dei privilegi che il suo status di ministro gli concede. Piano piano sta sistemando gli affari della famiglia, trovando un posto di lavoro sicuro ai figli e assicurando in questo modo un avvenire alla progenie composta da Renzo detto il Trota, Eridano Sirio e Roberto Libertà, guardato a vista dalla seconda moglie, la baby pensionata Manuela Marrone che “Panorama”, giornale del suo grande amico Silvio, non ha esitato definire una specie di virago siculo-padana. L’articolo di "Panorama" ha fatto andare Umberto fuori di testa. Si è sentito profondamente colpito negli affetti più intimi e, per un solo momento, ha capito come devono essersi sentiti Boffo, Mesiano, Fini, la Tulliani, la Boccassini e tutti quelli che sono incappati, e incappano, nella fantasmagorica macchina del fango della Silvio Berlusconi Communication’s. Forse è questa la ragione per la quale a Venezia, in un momento di stasi dell’acqua alta, ha detto che in “Italia c’è il fascismo”, dando senza metafore degli “stronzi” ai giornalisti. Non più in possesso di uno scilinguagnolo degno del comiziante che fu, Umberto è costretto a ricorrere alla mimica ma, non essendo andato a scuola da Etienne Decroux, è costretto a ridurre la sua corporeità al solo gesto del dito medio nel quale però è un vero maestro. Ma da Venezia, paraculo com’è, Bossi ha fatto anche sapere che il 2013 è una data troppo lontana per assicurare la tenuta in vita di questo governo, e che nel frattempo può accadere di tutto. I padani sono stanchi di Silvio, e lui li rassicura dando scadenze più o meno certe all’appoggio incondizionato che da tempo ormai sta dando alla non politica berlusconiana. Tutti sanno che non è vero, che Umberto e Silvio sono legati a filo doppio non si sa bene da cosa ma lo sono e, tanto per far capire a Black&Decker che quello che dice è solo ad usum populi septentrionalis, ci pensa Calderoli a ricondurre il ragionamento del suo capo nella giusta direzione: “Il governo durerà fino al 2013”, ha detto infatti subito dopo la sparata di Umberto, Cita-Roberto dal palco della festa legista. Il problema di questo paese non sono quei quattro morti di fame dei Responsabili, ma l’incomprensibile politica di un partito, la Lega, che nonostante tutti gli strilli e le minacce, a casa non ha portato una mazza di niente se non le multe per le quote latte pagate da tutti gli italiani e non solo dagli allevatori padani. Il problema vero è che a Bossi non interessa affatto che il mondo intero ci stia ridendo dietro perché, considerata la strabordante personalità del capocomico che guida il Paese “a tempo perso”, lui si è disegnato una posizione defilata che è però la più adatta a tenere attaccato l’ossigeno a questo corpo politico ormai con l’encefalogramma piatto. E, pur non prevedendo la religione di Odino, la tenuta in vita costi quel che costi, Umbertino non ci pensa proprio a staccare la spina a un ectoplasma che ha ridotto la credibilità italiana nel mondo molto vicina allo zero. Lo ha fatto notare Susanna Camusso ieri sera da Fazio: “Ai mercati internazionali è bastato sapere che Zapatero non si sarebbe ripresentato alle elezioni per far tornare la Spagna a ricevere aiuti e investimenti. Questo fatto la dovrebbe dire lunga sugli effetti che la credibilità italiana potrebbe tornare ad avere se Berlusconi annunciasse un passo indietro”. Sì, cara Susanna, lei ha ragione, ma poi Silvio dovrebbe farsi costruire una cella bunga-bunga a San Vittore cosa che, con l’aria che tira, non vediamo di facile attuazione. Eppure c’è stato un tempo nel quale Bossi si era messo in testa di fare il cantautore. Nel 1961 il nostro Umberto partecipò con la sua band nientemeno che al festival delle Voci Nuove di Castrocaro, puntando decisamente su Sanremo. Venne clamorosamente bocciato in semifinale perché ritenuto “troppo triste” (le sue canzoni si intitolavano “Ebbro” e “Sconforto”). Il suo nome d’arte era Donato e la prima moglie lo lasciò di lì a breve perché avrebbe voluto un uomo con un mestiere e non un perditempo. Ci chiediamo cosa sarebbe accaduto alla politica italiana se Umberto-Donato fosse riuscito a vincere quel festival. È proprio vero che le giurie, spesso, non hanno il senso della Storia né il dono della profezia.
Quando Bossi era “Donato", il cantautore triste di "Sconforto".
Creato il 19 settembre 2011 da Massimoconsorti @massimoconsortiPossono interessarti anche questi articoli :
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