Quando eravamo giovani, poesia semplice e vagabonda.

Creato il 11 maggio 2013 da Valentina Orsini @Valent1naOrs1n1

Questa mattina, mentre mi dedicavo alla pulizia della libreria in sala, mi soffermo poco più del necessario davanti a un libro. Quel pizzico di tempo in più che basta a rapirti e a interrompere tutto ciò che ti stava impegnando un attimo prima. E' andata così infatti, la sezione Charles Bukowski, collocata tutta a sinistra della libreria, mi ha conquistata ancora. Riprendo dopo tanti anni il primo libro letto di questo autore, quello che chiamo "zio Buk" (lo zio che avrei voluto davvero). Quando eravamo giovani è il primo volume dei tre, contenenti le poesie di Bukowski, un affresco schietto e ruvido sull'adolescenza, l'età delle scoperte. Ricordo come fosse ieri il giorno in cui decisi di prendere questo, piccolo ma attraente, libro. Ero al terzo anno delle scuole superiori e, mentre il resto della classe si entusiasmava per l'avventura appena iniziata, tra i  codici alfanumerici e le telecomunicazioni, io mi divertivo ad estraniarmi. Si perché dovete sapere che il mio è un diploma da perito informatico, qualcosa che ho odiato e amato al tempo stesso, perché mentre maledicevo l'informatica e la trigonometria, mi innamoravo della letteratura e, del cinema. Era per me fondamentale, vitale, dissociarmi dal resto del gruppo anche perché era l'unico modo per guardarli meglio e capirli davvero. Non avevo a quei tempi il mio eroe letterario, leggevo quasi esclusivamente Stephen King però, e mi piaceva. 
Quel giorno, quando la mattina successiva all'acquisto del libro tornai a scuola, altro non aspettavo che il momento in cui avrei visto il mio professore di lettere, il mio mentore. Gli dissi tutta gasata, "guardi prof. ho trovato uno scrittore che mi piace troppo, lei lo conosce?" Dissi proprio così, e ricordo perfettamente quel sorriso a tremila denti, come per dire a quella piccola ragazzina "Grazie, stai dando un senso alla mia esistenza". Ricordi meravigliosi. Allora non capii il motivo di questo insolito amore esploso per un libro, anche perché era successo pochissime volte anzi, in quel modo mai. Quello che mi colpì in assoluto però lo seppi fin dal primo momento in cui chiusi il libro, quelle erano le storie di un uomo nato per osservare ciò che lo circondava, afferrarne l'aspetto più grezzo, più marcio e farne poesia. Per me era straordinario...
Avevo capito che nelle poesie di quel Bukowski c'era qualcosa di diverso, la sua era una poesia vagabonda, ubriaca e piena di semplicità. Quando eravamo giovani nello specifico, riporta il lettore nell'età della giovinezza, delle scoperte, degli anni in cui quel giovane si mescolava con i fascisti e razzisti, solo per procurarsi da bere gratis (Che cosa diranno i vicini?). Ironico, spietato, romantico ma prima di ogni altra cosa "poeta". Così parlava della sua poesia, ad una giornalista che lo intervistava: "La poesia è sempre la cosa più  facile da scrivere, perché la si può scrivere quando si è completamente ubriachi o completamente infelici o felici. E' un'espressione emotiva che salta su. Non ho pensieri grandiosi , non ho pensieri vasti di natura filosofica. Sono molto semplice, e quando scrivo poesie trattano cose semplici. E credo che per questo tanta gente che per lo più non riesce a leggere poeti, quando legge la mia roba capisce di che cosa sto parlando". Con questo libro io mi sono innamorata di un tipo di poesia assolutamente diversa da quella che proponeva la scuola allora. Ho scoperto un grande scrittore, un uomo che per sopravvivere chiedeva una bottiglia, una donna e una macchina da scrivere...


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