Magazine Diario personale

quando ero piccolo il maestro diceva sempre che ero nato libero

Da Bellocks
Oggi ci siamo incontrati in un bar del centro ed era una vita e mezzo che non lo facevamo: sederci allo stesso tavolo e ordinare un toast e un panino. Io mi sono seduto dal lato che dà sulla strada, che lo sai che mi piace assentarmi ogni tanto e curiosare tra la gente che passa. Tu questo mio modo di abbandonarti me lo hai sempre perdonato, ed è per questo che mi piace così tanto quando parli e poi parli e io mi sembro una suppellettile di cristallo sempre in bilico nella tua giornata. Ogni volta che cado faccio un sacco di rumore e tu sei la sola che riesce a rimettermi assieme, scovare i pezzetti nell'angolo e setacciarli dalla polvere. Incollarmi.
Mi chiedi perché ho lasciato il network e io guardo fuori la gente che passa. Eppure lo vedi anche tu che non c’è verso di capirci mai niente, che le persone ognuna c’ha la sua vita e va a finire che con tutte queste vite messe assieme non se ne fa mai una da sola. E’ difficile spiegare certe cose, le parole non arrivano quasi mai a destinazione e per ora ci si deve accontentare di un’intuizione.
Quando ero piccolo il maestro diceva sempre a mia madre che ero nato libero.
Si è come ci riesce di starcene al mondo, tra mal di testa e gente che s'incastra. Più spesso nella distruzione, nella gratificazione di una partenza che offre le più interessanti possibilità di impiego. Io questo non l’ho mai capito, e non troverai mai le mie parole giuste a ricordartelo: in questo ufficio di collocamento, viverti non mi è mai bastato.
Poi, di colpo, tu era già dall’altra parte della strada e io non avevo più nulla da stringere.

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