Meglio raccontare di penne come Collodi, il babbo di Pinocchio, e come Vamba, il babbo di Gianburrasca. O di matite come Angiolo Tricca, Adolfo Matarelli, Nicola Sanesi, tanto per ricordare alcuni grandissimi illustratori.
Con il piacere delle scelte arbitrarie questa storia comincia poco prima dell'Ottocento e si arresta al cospetto della Grande Guerra. Arbitrarie, ma non senza fondamento. Perché è negli anni della Rivoluzione Francese e poi di Napoleone che Firenze tiene a battesimo i suoi primi quotidiani, molto seri, è vero, ma anche capaci di strappare i primi sorrisi. E perché con la mattanza nelle trincee niente sarà più come prima, anche ridere.
Cominciamo, allora. Magari con le parole di un altro grande intellettuale, Carlo Cattaneo, che parlando di satira ne coniò una bellissima definizione - l'unica che in effetti troverete in questo libro.
La satira, affermò, è un esame di coscienza dell’intera società. Un esame che se non ci fosse bisognerebbe inventare, e non solo perché il buon umore fa bene alla salute, come si dice. La satira è anche il sale che impedisce la corruzione. E dov'è che essa ha campo libero? Cattaneo non aveva dubbi:
L’audacia della Satira è uno dei segnali della superiorità mentale di una nazione... La possente Inghilterra è la patria della caricatura; ogni giorno una legione di giornali si fa specchio inesorabile della vita pubblica e privata...
L'Inghilterra, appunto, la civile, democratica, invidiabile Inghilterra. Ma che dire di Firenze?
Firenze cercava di non essere da meno. E già, proprio così rideva Firenze…
(dall'introduzione a Paolo Ciampi, Così rideva Firenze, Romano editore)