Succedeva sempre così. Una mano fredda, e il rumore ruvido della mano che passava sul foglio. Il ricordo di quegli orribili anelli in zanna di elefante, e quel bracciale d'oro con le pietre incastonate. Era Giuseppina, la maestra Giuseppina. Paolo era ormai arrivato alla quarta elementare e Maestra Giuseppina, attesa dai genitori come una Santa, scendeva ogni mattina dalla sua piccola auto, con gli occhialoni stile Sofia Loren e le sue borse rigorosamente abbinate alla cintura. Tutto in pelle.
Era una maestra attesa, si diceva fosse realmente "Brava". Non si sa perché.
Era una maestra vecchio stampo, come ancora oggi se ne vedono. Attenta che i suoi alunni diventassero "bravi", e brava ad isolare chi invece aveva difficoltà. E così Paolo, che era un bambino estremamente creativo ogni tanto cercava di rielaborare ciò che la maestra diceva.
Ogni volta sempre la stessa scena: il rumore dello strappo del foglio dal quaderno, e poi il solito rituale: staccava il foglio della parte opposta, e chiedeva a Paolo di rifare tutto. Un nuovo quaderno candido, per scrivere senza errori. Si, tutto con estrema dolcezza.
Un gesto che Paolo ha ripetuto da adulto. Sempre. Ogni volta che iniziava a fare qualcosa.
Ah si, però era una brava maestra e anche Paolo pensava fosse così. Piangeva per le sue mani che non riuscivano a scrivere sulla lavagna. Una sottile violenza, forse molto peggiore di uno schiaffo, perché oggi si pensa che la violenza sia solo quella fisica e che le brave maestre siano quelle che svolgono tutto il programma. Quasi una sfida tra genitori quando parlano dei figli e della scuola.
I quaderni dovevano essere perfetti, con quelle terribili copertine in plastica colorata, verde, gialla, rossa, e bianca, che lei applicava con cura e lentezza. I suoi alunni erano perfetti anche in quello. E po la recita di fine anno: si dovevano distinguere da quelli delle colleghe, amate e segretamente odiate. Luca aveva sempre la copertina verde. Era l'unico ad essere solo nel suo banco. E aveva anche la borsa verde. Ogni volta che la madre andava ai colloqui piangeva sempre. Era un rituale che si ripeteva ogni volta. Maestra Giuseppina non godeva di buona salute, e spesso si parlava di questo.
Dolori reumatici. Niente di più, per ciò che Paolo può pensare oggi da adulto. Perché Maestra Giuseppina è ancora viva, e Paolo l'ha rivista un giorno mentre girava per la città. Il ricordo della pelliccia di Maestra Giuseppina, bianca candida, come l'immagine che gli altri avevano di lei, e il suo rossetto rigorosamente rosso. Il profumo del suo rossetto. I suoi maglioni "pelosi" e morbidi, come li descriveva Paolo.Un pagliaccio dagli occhi tristi. Si, perché lei aveva perso il suo marito e aveva un figlio giovane da allevare. Lo sapevano tutti, anche i suoi alunni. Così diventare bravi significava riscaldare il cuore della maestra dalle mani ruvide e gli anelli in zanna di elefante. C'era un bambino, Matteo, compagno di Paolo, che chiedeva: "Maestra, ma se hai le zanne di elefante perché ci parli dell'amore per gli animali?" In punizione. La Maestra era molto delusa. Ah si, quello è davvero un bambino indisciplinato. Allora Paolo disegnava cuori, si, cuori per la maestra. Aveva capito che poteva salvarsi così, e ricevere quelle briciole di amore non autentico, a volte una carezza sulle sue paffute guance. Era bravo, si, a rispondere ai bisogni della Maestra: si, di essere amata, dai genitori, dai bambini, mentre sprofondava nel pelo di volpe che indossava.
Solo così Paolo si sentiva davvero bravo. Ma tutto ciò che proveniva da sé era nel cestino, quel cilindro verde, come la copertina del quaderno di Luca. Tutto accartocciato da quelle mani di forbice che distruggevano la sua creatività e portavano via pezzetti del suo cuore.
(Antonio Dessì, "Quando i dolci sono caffé amari quotidiani")