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Quando il ristorante trendy è solo tanta fuffa! Torta al cioccolato Maya.

Da Andantecongusto @Andantecongusto
You're so vain - Carly Simon
Quando il ristorante trendy è solo tanta fuffa! Torta al cioccolato Maya.Non vado spesso al ristorante. 
Vado in pizzeria, in trattoria, all'osteria ed in altri luoghi ameni dove si può mangiare schietto spendendo il giusto. 
Andare al ristorante ha per me un significato diverso. 
Se decido di cenare in un ristorante, a parte l'occasione lavorativa per cui il ristorante è solo un contorno di qualcosa di più importante, è perché voglio stare bene, voglio sentirmi accolta e benvenuta, voglio provare qualcosa che difficilmente mangerei a casa mia, voglio ricordare un momento speciale. E per questo lo scelgo accuratamente. 
Non sono la sola a pensarla così, altrimenti non esisterebbero così tanti ristoranti. 
Parte fondamentale per un convivio riuscito è la compagnia. 
Personalmente metto cibo e compagnia allo stesso livello. 
Dopo mesi di lontananza, sono riuscita con grande gioia a ritrovare le mie amiche di sempre per fare il riassunto delle puntate precedenti. 
Non esserci viste da molto tempo, ha fatto si che invece della solita pizza, scegliessimo un ristorante piuttosto alla moda in questo periodo nella nostra città. Per celebrare.
La location del ristorante è impagabile, nel cuore del cuore della città. 
Terasse alla francese all'esterno e arredi curati all'interno, con belle stampe appese, tovagliato candido, cristalli e porcellane a la page. 
Atmosfera carina che predispone al buonumore. 
Abbiamo atteso una decina di minuti prima che il nostro tavolo fosse pronto (non avevamo prenotato), quindi ci siamo sedute ed abbiamo dato sfogo alle nostre chiacchiere. 
Desiderosa di sapere la ragione di tanto entusiasmo nei confronti di questo posto, ho cominciato a sfogliare la carta. 
Elegante, di cartoncino color panna, leggera, 4 pagine e una scelta di 5 piatti per ogni portata scritte con un font pulito, chic. 
Ho immediatamente provato un senso di piacevole tranquillità pregustando una bella serata. 
Simona sfoglia la carta dei vini con occhio esperto ed all'unanimità decidiamo per delle bollicine (le solite donne), ma che almeno siano buone. 
Così ordiniamo una bottiglia di 'Ca del Bosco ed aspettiamo per il brindisi.
Ca' del Bosco è finito.
Io storgo la bocca, Simona riprende in mano la carta. 
Per farla breve, dopo la quinta richiesta negata, riusciamo ad avere una bottiglia di vino che faccia al caso nostro (non senza una spiacevole sensazione nei confronti del prezzo, ovviamente non da Tavernello). 
Un rosé francese. Scelto più per tigna che per desiderio. 
Ci guardiamo in faccia e ci viene da ridere....a me non tanto perché sotto sotto provo già un senso di fastidio. 
Quando si passa all'ordinazione, mi rendo conto che nella lista dei primi piatti, descritti in maniera dettagliata dando risalto ad un eccellente nome di pasta italiana, ci sono almeno tre proposte che contengono tartufo nero (tre su cinque). 
Non voglio essere snob perché io adoro il tartufo, quello bianco ovviamente, ma non ho preclusioni per lo scorzone o il marzolino, però tre piatti su cinque a fine agosto, mi sembrano un po' troppi e già la carta perde quel fascino della prima consultazione. 
Opto quindi per una delle due ricette che non prevedono tartufo, delle caserecce con pesto e ricotta secca siciliana. 
Quando arrivano i piatti, osservo quello delle mie amiche e noto che gli spaghettoni da loro ordinati riempiono la scodella in maniera esagerata. 
Non mi piace il colore, né quell'aspetto di mappazzone appiccicoso. 
L'odore del tartufo è aggressivo e sovrasta la tavola.
Le mie caserecce invece sono oltre cottura. 
Il pesto con nocciole al posto dei pinoli è decisamente ruffiano e l'unico elemento di sapidità del piatto è l'abbondante spolverata di ricotta. 
Mangio perché ho una fame che la vedo, ma la mia considerazione nei confronti del ristorante comincia tristemente a scemare. 
Intanto beviamo allegramente e a me gira già la testa.
Scegliamo i secondi e decidiamo di prenderne solo due da dividere: piccione e salmone. 
Il piccione è buono, glassato e saporito. Il ripieno, servito a parte, decisamente aglioso.
Il salmone, oddio. 
Bruttissimo a vedersi. Una parte della pelle bruciata e la polpa asciutta e stopposa, appoggiata su verdure ridotte ad una purea che non ho capito bene, ma sembra già masticata.  
Spero a questo punto che almeno il dolce sia degno di nota. 
Anche qui ne ordiniamo due: un millefoglie sbriciolato ed una bavarese al caffè.
Il millefoglie ci fa cantare. 
Una chantilly generosa, soave, veramente eccellente, fa capolino da strati di sfoglie caramellate e frantumate ad arte. Le facciamo la festa in quattro.
La bavarese è un cubo di colla di pesce senza sapore, con un inquietante strato gelatinoso che viene rimosso con ansia da Laura al primo tentativo di affondare il cucchiaino in quella che avrebbe dovuto essere una crema solida ma cedevole. 
Conto: 45 euri a persona per aver mangiato un primo a testa, mezzo secondo e mezzo dolce, e ci siamo tolte la paura. 
Se vi ho raccontato questa serata, non è per denunciare il bluff di un ristorante di cui tanti cantano le lodi, ma perché mi sorge una considerazione spontanea. 
Qual'è il palato degli italiani? 
Perché la maggior parte delle volte che mi viene consigliato un ristorante da grandi mangiatori entusiasti, finisco col rimanerne delusa? 
Quello che da molti mi è stato consigliato come ristorante di grido, si è rivelato essere tanta fuffa e poca sostanza. Tanta scena con dietro il nulla. 
Se spendo 45 euro per mangiare poco e male, io mi arrabbio come una iena, specialmente quando l'aspettativa è completamente diversa. 
Non basta una bella ceramica, una presentazione sbarazzina ed una carta scritta alla maniera dei grandi chef per farmi abboccare. 
Ma mi rendo conto tragicamente che per una grande maggioranza di persone non è così. 
Che l'italiano medio non è educato alla qualità, che ha un palato addormentato dalla cucina dozzinale e ruffiana, e che nulla può essere cambiato nella ristorazione fino a che non si cambia il palato del consumatore. 
C'è una bella differenza tra il dire "là si mangia bene" e poi farlo davvero. 
E nell'accoglienza non c'è solo la qualità del cibo che ti viene servito, ma la competenza, la simpatia di chi ti serve, e l'onestà professionale (inutile farsi belli con una carta di vini pomposa ma sguarnita, tanto per dire). 
Non vi dirò neanche sotto tortura il nome di quel ristorante, perché lo scopo di questo post non è ovviamente questo. 
Vorrei invece che si aprisse un dibattito perché tanto si parla di ristorazione, di cucina, di cibo e tutto questo parlarne rischia di avere l'effetto che ha la sovraesposizione ad immagini che richiamano il sesso: ovvero inevitabile calo del desiderio. 
Quindi la mia domanda è: ma l'italiano ha davvero la ristorazione che si merita? 
Quando il ristorante trendy è solo tanta fuffa! Torta al cioccolato Maya.Per addolcirmi la bocca dopo tale delusione, mi sembra giusto lasciarvi con del cioccolato. 
Sotto forma di torta. 
Che è di una facilità estrema e perfetta per smaltire albumi in deposito. 
L'ho trovata sull'inesauribile blog di Pinella e l'ho fatta davvero in un attimo. 
Il tempo esatto che è durata! 
NOTA: non essendoci indicazione della dimensione dello stampo, io ne ho usato uno da 26 cm di diametro. Ma credo che un 23 sia perfetto per avere più strato, in quanto lo spessore conferisce maggiore umidità all'interno della torta. 
Provatela e poi ditemi quanto è buona!  
Ingredienti 
150 g di cioccolato (io ho usato un fondente al 70%)
150 g di burro ammorbidito
150 gr di zucchero semolato
5 albumi (175 g)
125 g di farina 00 setacciata
la punta di un cucchiaino di lievito per dolci
un pizzico di sale
Accendete il forno a 170°C
Sciogliete il cioccolato a bagnomaria.
Lavorate il burro con 100 g di zucchero fino ad ottenere un composto bianco e spumoso. 
Aggiungete il cioccolato ed amalgamate bene
Versate piano la farina, attraverso un setaccio insieme al lievito ed al sale, e lavorate con una spatola.
Montate gli albumi con i restanti 50 g di zucchero ed aggiungeteli al composto di cioccolata, mettendo prima una cucchiaiata di albume per ammorbidire l'impasto ed il resto con estrema delicatezza, sempre dall'alto in basso con una spatola di silicone.
Quando il tutto sarà ben omogeneo, versatelo nello stampo coperto da carta da forno.
Cuocete per c.ca 45 minuti. Fate la prova stecchino, il centro deve restare umido. 
Fate raffreddare prima di sformare. Si formerà una crosticina di meringa che si sbriciola con facilità: è il suo bello.
Io l'ho servita capovolta con una spolverata di cacao amaro. 
Perfetta con panna  semi montata per accompagnarla.

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