Magari sarà stato così ieri quando allo stadio migliaia e migliaia di maglie azzurre si accalcavano ed urlavano, bandiere altissime, facce colorate, capelli tricolore, tutti a tifare Italia qui a Bruxelles contro un Messico rappresentato da una minima parte sicuramente non intimidita e ugualmente pronta a far festa. E di quelle migliaia di maglie azzurre la maggioranza era belga, parlava francese, ma di origini sicuramente italiane quando dialetti di ogni parte dello stivale si mescolavano in urla dalla foga appassionata nei nomi degli eroi, magari un po' vecchi ed acciaccati, ma se la nazionale è questa, se non c'è fantasia, ecco che si perde e l'eroe delude, non riesce a vincere davanti a quella folla innamorata, quei figli di immigrati e d'integrazione spesso mancata anche attraverso generazioni, con il cuore che batte al ritmo di Mameli e si son riuniti lì attorno a quelle tracce di patria; poi ecco che a pochi metri dal nostro posto scattano addirittura i tafferugli al secondo goal messicano, e quegli italiani che non parlano italiano ma che si sentono italiani più d'ogni altro per origini e fede, per sangue e fanatismo, si scatenano in quello che non sembra per nulla il tifo per un'amichevole, mentre ragazze messicane festeggiano anche al nostro goal della bandiera, perché si sta lì per far festa, perché parte del biglietto è per beneficenza, perché in fondo alla fine dovrebbe essere soltanto sport.
Italia - Messico, 1 - 2. Ieri qui a Bruxelles lo spettacolo non era sicuramente in campo (o almeno non per gli azzurri), e sugli spalti, in curva dove stavamo noi, italiani, oriundi, belgi s'univano in un solo unico grido e poco importa tutto il resto. Magie o misteri del calcio.