Interessante articolo tratto da Linkiesta, a firma di Alessandro Oliva,in cui si parla dello sviluppo dei SuportersTrust/azionariato popolare in Italia, con rifermenti alla recente iniziativa che sta nascendo a Barletta e alle altre affermate realtà che da tempo operano, spesso ignorate dal mainstream, in silenzio in tutto lo stivale.
In Italia abbiamo i nostri tempi, ma alla fine ci arriviamo. In Europa, da anni, sono diverse le realtà calcistiche che prevedono la partecipazione diretta dei tifosi, tra i cosiddetti supporters’ trust di marca inglese o il modello tedesco del Bayern Monaco, sostenuto da oltre 200mila fan-azionisti. Da qualche tempo a questa parte, anche nel nostro malandato calcio i tifosi non si limitano a cantare in curva, ma quando serve sono pronti a sedersi dietro una scrivania ed affiancare la dirigenza nella guida del club.
Un dato interessante, ma allo stesso tempo preoccupante, accomuna l’avvio di questo nuovo modello nel nostro malandato calcio: il fallimento delle squadre. Molte associazioni composte da tifosi, i cosiddetti supporters’ trust, hanno preso in mano parte delle quote societarie quando i club erano sul punto di scomparire, strozzati dai debiti. L’ultima in ordine ad essere in difficoltà e venire aiutata dai tifosi è il Barletta. Dopo i fasti degli anni Ottanta, quando la squadra pugliese si era affacciata in serie B, sono seguiti anni duri, fatti di fallimenti e cambi di denominazione societaria. Lo scorso 3 aprile, l’annuncio ufficiale: il club di tifosi “I Biancorossi” sta studiando di creare un movimento di azionariato popolare, per venire incontro al presidente della squadra Roberto Tatò e alle sue difficoltà. «Noi puntiamo ad una quota nel nostro piccolo superiore all’1%, ma realisticamente intorno al 10 per cento. Tutti i contributi dell’associazione saranno scaricati fiscalmente totalmente perché stiamo creando una situazione ad hoc. Pretendiamo l’assoluta trasparenza, quando si parla della formazione del proprio cuore è come se parliamo della propria famiglia. Puntiamo all’azionariato popolare con diverse stratificazioni di quota per ognuno degli aderenti», ha spiegato alla stampa locale Mimmo Zingrillo, coordinatore del progetto che vuole coinvolgere nel proprio tessuto connettivo una rete di piccoli imprenditori locali.
I tifosi non restano a guardare. Si ritrovano prima nei forum in rete, poi decidono di affidarsi alla consulenza legale di Diego Riva, appartenente al Supporters Direct Europe, il collettivo che riunisce i supporters’ trust d’Europa. I tifosi del Taranto hanno così la possibilità di studiare il meccanismo associativo dell’azionariato popolare. Trentadue soci danno vita alla Fondazione Taras (dal nome antico di Taranto), con una sottoscrizione di 1000 euro ciascuno. Per il vecchio Taranto non c’è più nulla da fare, così il nuovo trust fonda il Taranto 1927, da iscrivere al campionato di serie D grazie al Lodo Petrucci. La Fondazione Taras passa in poco tempo a 500 soci, cosa che permette di condividere le quote societarie del nuovo club con alcuni imprenditori tarantini, ognuno con il tetto massimo del 50% di partecipazione.
Tifosi sì, ma anche amministratori attenti, divisi tra striscioni e business plan. Nel nuovo consiglio d’amministrazione del club, la Taras ha diritto a due membri. Inoltre, i tifosi iscritti hanno diritto di veto su molti aspetti cruciali della vita amministrativa della società, dalla scelta della sede all’eventuale cambio dei colori sociali. E poi, possono nominare il collegio sindacale, ovvero quell’organo di vigilanza che controlla lo stato di salute di una società. Ma non è solo una lavoro da “colletti bianchi”. I tifosi hanno gestito durante il primo anno il reclutamento degli steward, ovvero gli addetti alla sicurezza dello stadio “Iacovone”. Poi, hanno esteso il proprio controllo sul settore giovanile, aumentando di fatto la presenza controllando il 18% del pacchetto rossoblu grazie ai 2000 soci di oggi. Con un programma di 85mila euro e scegliendo in prima persona team manager e staff medico, i ragazzi del Taranto stanno ottenendo ottimi risultati, come dimostrano le classifiche delle categorie Allievi Regionali e Giovanissimi Regionali.
Se si esclude l’aspetto dei nuovi mercati, raggiungibili solo con un club di livello internazionale, tutti gli altri punti del Bayern sono quelli che ispirano il nuovo movimento italiano dell’azionariato popolare. Che però, non guarda solo alla Germania. In Spagna, la partecipazione dei tifosi alla gestione societaria è di lunga data e riguarda anche le due grandi della Liga, Real e Barcellona, ognuna con un proprio meccanismo di adesione ed elezione nell’assemblea rappresentativa. A quest’ultima, a Barcellona si aderisce attraverso un meccanismo che seleziona con sorteggio l’1,5% dei soci complessivi, più una percentuale inferiore all’1% scelta fra i soci più anziani. Da 0 a 5 anni la quota è di 34 euro, 68 euro da 6 a14 anni, 137 euro dai 14 anni in su. A Madrid, invece, si va all’assemblea con una votazione a suffragio universale che elegge 33 rappresentanti ogni 1000, fino a un massimo di 2000. Tra le Merengues, essere soci non costa nulla fino a 10 anni, poi si pagano 47 euro dagli 11 ai 14 anni e 136 dai 14 anni in poi.
Bayern, Barcellona, Real Madrid. Tutte realtà con uno stadio di proprietà. E potrebbe non essere lontana una cara e vecchia serie C che veda unite azionariato popolare e impianti nuovi e più funzionali. A inizio aprile, la Lega Pro ha siglato a Roma una convenzione con la Kss, società inglese specializzata in impiantistica sportiva. «Lo stadio è la priorità tra le priorità nel nostro lavoro quotidiano. Dopo la riforma dei campionati ci siamo posti di fare qualcosa in più: il piano industriale della Lega Pro, con management, obiettivi attesi, evoluzione delle variabili chiave. Questo significa fare sistema». Pensieri e parole di Francesco Ghirelli, direttore generale della Lega Pro e tra i più convinti sostenitori dell’azionariato popolare.
Il modello da seguire per la Lega Pro c’è. Ed è in Inghilterra. All’ombra del più famoso Manchester United c’è lo United of Manchester.Nato da un supporters’ trust di tifosi dei Red Devils delusi dalla gestione del magnate statunitense Malcom Glazer, lo United of Manchester gioca in una divisione inferiore del calcio britannica, lontana dalle luci dell’Old Trafford, ma è un club gestito democraticamente dai tifosi soci. Hanno tutti uguale diritto di voto e lavorano volontariamente nella gestione di tutti gli aspetti societari. Ma se vi aspettate una cosa alla “Borgorosso Football Club”, siamo ben lontani. Tutti gli introiti – parliamo di 750mila sterline l’anno, e non è poco – vengono reinvestiti nel club. E grazie alle donazioni dei sostenitori lo United – che vanta già 3 promozioni sul campo – avrà un suo stadio di proprietà, dal costo di 5,5 milioni di sterline.
Che questa possa essere la via giusta, lo dimostra anche un recente studio sul tema ad opera dello studio legale Orsingher-Ortu, molto attivo nel settore del diritto sportivo. E che dimostrerebbe che la via dell’azionariato in Italia è molto più praticabile della quotazione in Borsa. Per un motivo molto semplice: gli status di socio (comprensivo di benefit e diritti), nel caso di quotazione nel mercato azionario, non sarebbero stimoli sufficienti per spingere il singolo azionista a iniettare soldi nelle casse del club. L’azionariato popolare, invece, conferisce a tutti gli azionisti diritti speciali come la nomina degli amministratori della società e in generale una partecipazione più attiva in ogni aspetto gestionale. Il tutto con alla base l’aspetto più importante: la sensazione che il tifoso ha di essere parte integrante di un club. Proprio quello che sta avvenendo a Taranto. E che si vorrebbe estendere a tutta la Lega Pro.[Fonte: Linkiesta]