Quando il Viaggio è un Ritorno a Casa: Ecco Come e Perchè Ho Scelto di Restare

Creato il 05 luglio 2014 da Sunday @EliSundayAnne

“Mi dispiace, ma un anno di prova per realizzare un’esperienza di una diversa attività lavorativa non glielo posso concedere. Non le spetta. Si andrebbe a cumulare con le aspettative che ha già preso. Quindi a settembre lei deve rientrare al suo posto”.

Ma il mio posto non è più qui. Il mio posto è… dov’è? Non lo sapevo più: le parole del dirigente scolastico mi avevano gelato l’anima come mille anime che si gelano, e fatto crollare la certezza con cui avevo convissuto quest’anno in Oman.

Bentornata a casa.

Poiché io restavo ferma sulla mia posizione, ci lasciammo con l’impegno reciproco di informarci ulteriormente sulla legge che regola aspettative e anno sabbatico, e arrivederci al primo luglio: “Perché se dovessimo scoprire che invece l’anno di prova lo può richiedere – cosa che dubito – la domanda me la fa entro quella data”.

Uscii dalla scuola affranta; la pioggia mi bagnava i capelli e inzuppava i vestiti, ma a me non importava nulla. Salii sulla macchina e spensi subito la musica araba, quella che ascoltavo guidando nelle dune del deserto: volevo ascoltare solo il mio cuore, sebbene me lo sentissi sottosopra come in uno shaker da cocktail alcolico doppio.

Sudori. Palpitazioni. Sveglia ogni mattina alle quattro con gli occhi sbarrati: possibile che mi fossi sbagliata? Eppure avevo letto che potevo prenderlo, sto benedetto anno di prova. Mai come in quei giorni avevo riscoperto i benefici della Meditazione Vipassana: le tachicardie erano diventate così irruenti da cogliermi non solo di notte, ma anche di giorno, obbligandomi a sessioni straordinarie di respirazione profonda che mi calmasse il battito del cuore.

Intanto mio papà aveva avuto il terzo infarto, stavolta lieve: il primo a dicembre, il secondo a marzo, il terzo un mese fa. E poi ditemi se non doveva venirmi il cardiopalma.

I giorni passavano, e io intuivo che l’anno di prova non avrei potuto prenderlo. Interpellai i rappresentanti di due sindacati diversi, dei quali uno mi rispose che non aveva tempo di aiutarmi – ma che poi alla fine, insistendo, mi disse frettolosamente che secondo lui non avrei potuto chiederlo; l’altro non mi rispose neanche. Su suggerimento di un’amica, decisi di rivolgermi a una sede decentrata della Uil, la quale si rivelò seria nell’ascoltare il problema e controllare le leggi, e nel promettere di farmi chiamare dal Segretario Provinciale in persona per il responso, di lì a pochi giorni.

Bisogna essere pronti al peggio, nella vita. Ma io non ero pronta per niente: forse neanche per ripartire.

E’ stato solo in quei giorni di attesa, infatti, che mi sono resa conto della confusione che regnava nella mia testa: volevo davvero tornare in Oman? Avevo trovato un lavoro, laggiù, e avevo anche già fatto le visite necessarie per richiedere il visto di lavoro. Eppure, c’era qualcosa che non mi convinceva: dentro al mio cuore, volevo davvero tornare nel Sultanato dell’Oman a fare la guida turistica? Era proprio ciò a cui aspiravo?

Da quando ero tornata, mi ero accorta che, seppur sovrappensiero, avevo compiuto un paio di ricerche su internet per lavorare in Myanmar o in Malesia. Perchè mai, se il lavoro l’avevo trovato in Oman?

La risposta l’ebbi in quei giorni, parlando come al solito con la mia amica Daniela (sì, sempre lei, quella che – del tutto involontariamente – mi diede la spinta a prendermi un anno sabbatico lo scorso anno). Una sera, nel panico, le dissi: “Oman sì, Oman no, basta! Quest’anno lo prendo per mettere un punto nella mia vita. Per provare a realizzare quei tre progetti che ho in testa da un paio d’anni, per poi andare a capo e ripartire serena la prossima estate”.

Daniela rispose entusiasta: “Sai che ti dico? Fai bene: perchè quando mi parli di tornare in Oman, lo dici col cervello; quando mi dici che resterai un anno qui a scrivere il libro e realizzare gli altri due progetti, lo dici col cuore. E io, da quando ti conosco, non ti ho mai vista prendere una decisione che non fosse col cuore”.

Cosa faremmo senza le amiche, nei bivi della vita?

Decisi poi di smettere di pensare (un giorno solo, non esageriamo), e di lasciare che le cose accadessero.

E fu così che, di lì a poco, ricevetti la telefonata del Segretario Provinciale della Uil: “Ho guardato le leggi, anche in base a ciò che ha già fruito fino ad oggi, e le dico che lei questo anno di prova per una diversa esperienza lavorativa lo può chiedere, perchè non si cumula con le altre aspettative”.

Ma come? Proprio ora che avevo deciso di restare!

Vedete: la vita non ci lascia mai compiere una scelta nelle condizioni che faciliterebbero il compito. Le scelte difficili, di solito, le dobbiamo fare quando possiamo scegliere tra due strade, mai una sola. Ché altrimenti non sarebbe una vera scelta, bensì quasi una costrizione. E poi potremmo sempre incolpare il fato avverso. Invece no: a scegliere siamo sempre noi, e nostra è la responsabilità della strada che decidiamo di prendere.

Mancavano pochi giorni al 1 luglio, ormai ero diventata insopportabile e le amiche mi evitavano come la peste: basta vado in Oman, no ma che ci torno a fare in quel posto noioso, basta me ne resto in Italia, ma se poi dopo un mese di scuola mi pento, quasi quasi torno in Cambogia, però quella ragazza che vive in Myanmar mi ha detto che là ci sono buone possibilità lavorative, ma no che ci vado a fare in un paese con la connessione internet a singhiozzo, vabbè allora torno a fare la guida turistica e stop, aspetta però che poi lo so che là non scrivo di nuovo e vado in depressione perchè non scrivo e…

Mia sorella – santa donna – a quel punto decise di intervenire:

1.  “Ho letto che se sei indeciso tra due scelte, devi lanciare una moneta. Nel momento in cui la lancerai, saprai esattamente ciò che vuoi davvero”.

Testa: Torno in Oman. Croce: Resto in Italia.

Lanciai la moneta: venne croce. “Ma come? Io avevo pensato all’Oman!”. Mia sorella mi disse che allora ciò che volevo veramente era di tornare in Oman. Però non ero convinta: quando la moneta era atterrata, il mio cuore era andato sottosopra temendo che venisse croce. Ovvero, temendo che venisse ciò che in realtà era meglio per me, in questo momento della mia vita.

2. Alzando gli occhi al cielo, la Santa Sorella mi porse tacitamente un libro: I CHING, il libro degli oracoli cinesi. “Aprilo a caso, poi leggi con attenzione ciò che c’è scritto”.

Lo aprii con mano tremante. Ecco cosa c’era scritto:

“PO’. SGRETOLARE.

NON E’ VANTAGGIOSO AVERE UN LUOGO OVE RECARSI.

C’è qualcosa che non convince: pensieri, parole, ricordi, piccole contrarietà rendono difficile lo scorrere degli avvenimenti.

Yin, yang, yin, yang… la vita scandisce in ritmi alterni e quando si tocca il fondo c’è la spinta verso la risalita.

I tempi mutano senza che ce ne accorgiamo, le situazioni si evolvono verso la fase di assestamento, ma bisogna guardarsi attorno, cercare la strada giusta per arrivare in porto e finalmente trovare la pace.

C’è sempre qualcosa da raggiungere anche in tempi di Pò; i risultati saranno pari all’intelligenza con cui si è lavorato. il saggio si addossa questo impegno e arriva a risultati positivi per la sua paziente fatica senza cedimenti; chi è debole resta nella sua inquietudine, si conferma nella mediocrità, rinuncia perfino alle ambizioni pur di non dover combattere”.

Il luogo che ho in cui recarmi è l’Oman. Quindi non è vantaggioso recarsi là. Però non sono ancora così convinta…

3. La Santa Sorella – la cui pazienza cominciava a vacillare – mi disse allora:  “Un detto giapponese dice: “La scelta giusta è quella a cui pensiamo quando facciamo il settimo respiro da quando abbiamo cominciato a scegliere”.

Provai: peccato che ormai mi veniva da ridere, e perdevo sempre il conto.

La Santa Sorella, a quel punto, mi spedì a casa mia: “La scelta devi sentirtela dentro. E adesso non scassare più i marroni”.

Alla fine vennero le 11.55 del primo luglio: il dirigente della mia scuola non sarebbe stato nel suo ufficio ancora a lungo. Chiamai senza aver deciso un fico secco. Mentre componevo il suo numero, la mia vista cadde su una busta appoggiata alla parete. Era la busta con la mancia che mi aveva dato un simpaticissimo gruppo che avevo portato in giro per l’Oman lo scorso anno.

Ecco cosa mi avevano scritto:

In quel momento il dirigente rispose, e io pensai alla mia faccia quest’anno, dopo 8 mesi di Oman: “Buongiorno, volevo solo dirle che per quest’anno ho deciso di restare in Italia”.

Il mio cuore aveva già deciso: io non voglio fare la guida turistica, almeno, non quest’anno. Io voglio prima di tutto scrivere. E in Oman ero sempre troppo impegnata e stanca per farlo, e questo mi rendeva infelice. Inoltre, ho in mente un paio di progetti da realizzare nell’ambito dell’insegnamento: o adesso o mai più. E se cominciassi di nuovo a girovagare, sarei troppo distratta dalle novità e dal cercarmi un nuovo lavoro, per combinare qualcosa.

Quindi quest’anno si resta qua.

Ma… vorrete sapere come l’ha presa il nostro Hamed, giusto?

L’ha presa così:

“I’m happy for your decision, baby! Now go and write that fucking book”.

That’s amore.

Cosa ne pensate? Lasciate il vostro parere dei commenti: i vostri pensieri potrebbero essere più utili dell’I CHING