Quando l'anti-ideologico diventa ideologico: alcune note su certi stereotipi lacaniani nella critica cinematografica (ripensando al dibattito su "Gravity")

Creato il 18 ottobre 2013 da Psichetechne

Credo sia interessante il dibattito che da qualche tempo a questa parte si è acceso trasversalmente tra vari blog di cinema e altro, e che ha visto dividersi vari blogger tra coloro che individuano certo cinema odierno etichettandolo senza se e senza ma come "hollywoodiano" o "disneyano" (Elvezio Sciallis), e altri (compreso il sottoscritto, ma anche Lucia de "Il giorno degli zombie", credo) che preferiscono operare distinguo più cauti rispetto alla valutazione di certi autori contemporanei che a mio avviso hanno cose interessanti da dire e le dicono (James Wan è uno di questi, sebbene criticabile da vari punti di vista, come molti altri registi più indie e creativi di lui, vedi il bravo ma anche presuntuoso  Pearry Teo,
ma sono solo esempi). Sul blog di Simone Corà il dibattito su tali argomenti si è acceso e infittito dopo la visione di "Gravity", e dal momento che mi sembra che tale dibattito meriti di essere continuato ed approfondito, procedo qui ad esprimere alcune mie ulteriori riflessioni a riguardo. Già in un mio precedente post in risposta ad un articolo di Elvezio avevo cercato di individuare una sorta di schema concettuale implicito alla base delle sue argomentazioni, e tale schema mi  pareva rimandasse ad una certa influenza del pensiero di Jaques Lacan tra le righe delle sue argomentazioni. Vorrei qui esplicitare meglio questa ipotesi, evidenziando quanto, in Lacan, il dominio (tirannico) del Simbolico-Linguistico sull'Immaginario, autorizzi molti blog di critica cinematografica a buttare al macero alcune opera che a mio avviso abbisognerebbero di altra e più fine interpretazione. La chiave di volta dello strutturalismo psicoanalitico di Lacan è il significato del simbolo fallico, elemento che permea tutti i suoi scritti, e che, secondo Lacan,
fonda l'Inconscio del soggetto tout-court. Tale significato si correla alla potenza paterna, alla proibizione, alla Legge, al fallo come oggetto del desiderio materno, desiderio che nasce dalla mancanza. E' il fallo che struttura tutta la funzione simbolica, il resto, secondo lo psicoanalista francese, è aria fritta, è Immaginario, è Walt Disney, sia dal punto di vista cultarale in generale, che da quello più specificamente psicoanalitico. Tale approccio, tuttavia, come scrive Roberto Speziale Bagliacca in un suo interessantissimo saggio, rimuove il non banale fatto che "Le proposte di Lacan non pare risolvano, però, con conseguente congruenza i problemi dell'organizzazione psichica e della conoscenza, nè per gli psicoanalisti che non siano di stretta osservanza lacaniana, nè per gli studiosi del linguaggio" (Speziale Bagliacca, 1982). Ma è Umberto Eco in "La struttura assente" (1968) a portare avanti una critica essenziale al lacanismo, la cui ricerca, scrive Eco :"...se impostata con rigore, deve darmi sempre e comunque, al di sotto delle variazioni su cui si esercita, lo stesso risultato; e ricondurre ogni discorso ai meccanismi dell'Altro che lo profferisce. E poichè questi meccanismi sono ormai noti in partenza, la funzione di ogni ricerca non sarà altro che di verificare l'Ipotesi per eccellenza. In conclusione ogni ricerca si rivelerà vera e fruttuosa nella misura in cui ci darà quel che sapevamo già. Non vi sarà scoperta più folgorante , nel leggere strutturalmente l'Edipo Re, che lo scoprire che Edipo aveva il complesso di Edipo: perché se si scoprisse qualcosa in più, questo in più sarebbe un di più, una sorta di polpa non sufficientemente rosicchiata che ricopre l'osso della determinazione prima". Tale "determinazione prima" è appunto il simbolo fallico-paterno. Pongo in grassetto l'ultima proposizione di Eco poichè la ritengo metaforicamente centrale e illuminante di certa critica cinematografica che a mio avviso è vittima (inconsapevole?) di tale assunto lacaniano. La "polpa", questo di più, coincidono  con quell'elemento immaginario/visivo che si discosta dal Simbolico, inteso come determinazione ultima del Simbolo Fallico, il Linguaggio, il Logos. Quella di Lacan è, in sintesi, come ci ricorda ancora Speziale Bagliacca, una teoria che possiede una sua intrinseca natura fallico-narcisistica di stampo autoritaristico, che desidera eliminare con violenza il materno/immaginario dal suo territorio, ma che diventa anche l'antitesi di una conoscenza realmente aperta e scientifica, che magari un giorno potrà scoprire un di più. Si tratta di un dominio culturale predatorio, che vediamo rispecchiato storicamente dall'atmosfera stalinista e autarchica che caratterizzò l'Ecole lacaniana a Parigi negli anni '70 (basti dire che l'unico che poteva firmare i suoi articoli sulla rivista Scilicet era Lacan stesso,
mentre gli altri analisti si autoescludevano masochisticamente da tale possibilità, e Lacan era perfettamente d'accordo!). Il dominio spietatamente e narcisisticamente fallocentrico del pensiero lacaniano respinge ogni altro vertice interpretativo: l'infantile, il materno, l'Immaginario, il contenitivo, così come tutta la psicoanalisi post-freudiana (Winnicott, Klein, Mahler, Bion etc.), vengono messi alla porta con un sorriso sardonico, perché l'Inconscio è strutturato come un Linguaggio, e il Linguaggio è il Simbolico, e il Simbolico è rappresentato dal Fallo paterno. Attenzione: non dalla funzione paterna o dal pene paterno, bensì dal Fallo, non si stanca mai di ripetere Lacan, cioè da un organo maschile priapicamente, maniacalmente sempre eretto, mussolinano, la cui funzione è essenzialmente antidepressiva. Il "discorso è iniziato prima di noi", soleva affermare Lacan, sottolineando del Simbolico l'inesorabilità quasi nazista nel suo porsi come ineludibile: è questo il cuore della sua teoresi, che si autolegittima arbitrariamente in nome di una interpretazione del "vero Freud" (Lacan usava spesso dire che la sua teoria fosse infatti un "ritorno a Freud"). Una certa insistenza odierna sull'importanza della SCRITTURA, del RACCONTO, della SCENEGGIATURA nella valutazione di un film, non fa che ripercorrere questo tipo di concettualizzazione. Un'insistenza che riecheggia anche in altre considerazioni relative ai veri "barbagianni freudiani" che (loro sì!) sanno cosa sia il VERO Perturbante nel Cinema (vedi post di Lenny Nero di cui ho discusso nell'altro mio post precedentemente citato). L'implicito stereotipo fallico-narcisistico lacaniano che presiede a un certo tipo di critica cinematografica tranchant, ovviamente considera come "noioso" (Wan, Cuaròn, et al.) tutto ciò che adombra quel di più di immaginario, di "sognante" che un film può portare. Tutto questo di più portato, deve essere invece de-portato dal momento che devia dalla determinazione di base, come sottolinea Eco, e si limita a diventare, umanamente, umilmente pene e non più Fallo. In sintesi, ciò che desidera porsi come critica anti-ideologica (ed era questa una delle principali seduzioni e mire lacaniane) si trasforma a sua volta in Ideologia fallica all'ennesima potenza, per non affrontare la "depressione" di una potenza umana normale, peniena e antifallica. Si tratta di una teoresi che sottende fondamentalmente una svalutazione del femminile-materno, inteso come desiderio illimitato che può trovare il suo limite solo nella Legge del Padre. Ecco perché tutta un'area psicoanalitica fondamentale anche per gli sviluppi odierni della pratica della psicoanalisi (area che va da Winnicott a Bollas, da Fonagy a Ogden) e che sottolinea l'importanza fondativa della relazione originaria madre-bambino per lo sviluppo mentale, veniva considerata da Lacan solo fuffa inutile se non dannosa. Il passato, se non è sufficientemente elaborato, ritorna tuttavia, e il fantasma di Lacan e del suo narcisismo anti-materno, si aggira ancora, indisturbato, tra le mille recensioni che leggiamo tra le pieghe dei nostri blog, alcuni dei quali sono chiusi ai commenti, proprio come faceva Lacan con Scilicet. Ecco dunque che "Gravity" è una schifezza perché "non c'è il racconto", ma solo l'immagine, cioè lo sguardo, cioè il significante primario della relazione non parlata ma sensoriale e preverbale tra madre e bambino. Ecco che "Pacific Rim" viene bollato come ideologico, tanto quanto "The Conjuring", mentre, non si sa per quale motivo il
sudcoreano "The Host" di Bong (2006) viene osannato come un capolavoro, forse proprio e solo perché non statunitense direi, oppure anche lo stesso "Hellboy" di Del Toro. Insomma, c'è molta confusione sotto il sole della blogsfera, soprattutto quella parte che si occupa spasmodicamente del cosiddetto Cinema Perturbante, participio/sostantivo molto freudiano, ma usato spessissimo in molto poco freudiano.  Una nebbiosa confusione che a mio avviso deriva dal fantasma di Lacan che ancora si aggira fallicamente per l'Europa, indicando seduttivamente, come il Pifferaio Magico della nota fiaba (il flauto è in fondo un simbolo fallico) la direzione giusta dove trovare la Verità, il Vero Freud, la Vera Autenticità estetica di un film. Ma torniamo al l'ideologia fallico narcisitica lacaniana: cosa si cela dietro questa "corazza" teorica spesso implicita, agita in molto recensioni, le cui mire credo sia utile svelare? Si cela una forma mentis antimaterna, dicevamo, ma anche una volontà "antidepressiva". In una parola possiamo dire che dietro questa corazza che inneggia al Simbolico come una spada capace di sciogliere tutti i nodi critici

, si cela l'onnipotenza di un bambino incapace di elaborare il lutto per la perdita dell'oggetto, l'incapacità di elaborare tale depressione e il capovolgimento magico di questa incapacità nell'atteggiamento tirannico di un bambino crudele e avido in cui nasce il seme di una personalità autoritaria. Il complesso corpus teorico lacaniano tradisce un'ideologia di questa natura. Cosa sono, peraltro i molti villain crudeli e massacratori di molti film horror, se non questo super-io sadico che tiranneggia la vittima deputata, se non proprio questo Padre Fallico che rade al suo in modo solo castrante e non protettivo (come un padre normale e non solo superegoico-limititativo dovrebbe essere?). Cos'è lo spettatore se non il bambino che desidera elaborare il suo lutto mediante il ritrovamento dell'oggetto perduto attraverso il suo Immaginario mediato ed evocato dall'Immaginario filmico? Il Cinema non è forse uno spazio dell'Illusione che contribuisce anche ad una maggiore conoscenza del proprio Sè emotivo? Perché considerare come "spazzatura" molte opere cinematografiche schiacciandole in una critica puramente linguistica che, autoritaristicamente,

ne sopprime gli intenti onirico-visivi? Il sogno , per Freud, non era infatti solo "metonimia", "metafora", cioè non era solo "racconto" (come vorrebbe farci credere Lacan), ma anche "regressione alla raffigurabilià" mediata dall'affetto, dove la "sceneggiatura" riveste un'importanza piuttosto relativa rispetto a desideri ed emozioni in gioco. Molti altri elementi potrei discutere qui, ma decido di fermarmi, sperando di aver contribuito a continuare un dibattito che vorrebbe avere lo scopo di favorire la crescita di un pensiero di gruppo fra i blogger che si occupano di cinema (perturbante e no), e senza voler fare l'"intellettuale", come qualcuno mi ha detto con modalità anche in quel caso un pò aristocraticamente "lacaniana".

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