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Quando l’artista Marina Abramovic sconvolse Napoli alla Galleria Morra

Creato il 19 luglio 2015 da Vesuviolive

MarinaL’uomo ha in se il desiderio innato di scoprire i limiti del proprio corpo: è ciò che ci spinge a sfidare la gravità sulle montagne russe, è la curiosità che ci spinge a vedere una scena raccapricciante nonostante il disgusto. Dove può arrivare il nostro fisico? Quanto dolore possiamo arrecare o subire? Quanto possiamo provare? L’artista serba Marina Abramovic, nata nel 1946 a Belgrado, ha consacrato tutta la sua esistenza ad un’arte del corpo che sfidi e mostri i limiti morali e fisici della nostra razza.

Rythm 10

Rythm 10

“Non ho mai voluto morire, ho solo voluto provare quanto lontano potevo spingere lo spirito del mio corpo” dichiara l’artista e fu così sin dalla prima performance, la Rythm 10, eseguita nel 1973, dove Marina ha sconvolto il mondo intero e scosso dal profondo la società: la donna, con un ritmo incalzante, colpiva con dei coltelli le dita aperte della mano. In mostra, quindi, non l’artista in se, non il sangue, ma la reazione dell’essere umano al dolore, il modo di sopportarlo e la capacità di attenderlo. Non stupisce, quindi, che l’aggettivo usato in tutte le lingue per descrivere l’artista è “disturbante”.

Tavolo della Rythm 0

Tavolo della Rythm 0

Eppure fu a Napoli che Marina Abramovic offrì il massimo della sua arte disturbante in una performance, la Rythm 0, che si svolse nel 1974, nella Galleria Studio Morra. La donna restò per sei ore a completa disposizione del pubblico: fra lei e gli spettatori un tavolo pieno di oggetti, da fiori a strumenti di tortura e persino una pistola con un colpo. Chiunque era autorizzato, in queste sei ore, a fare tutto ciò che voleva all’artista con quegli oggetti, ferirla, muoverla, denudarla… Non era Marina il reale oggetto dell’opera, in mostra a Napoli c’erano le reazioni del pubblico, la sfrenata curiosità nel poter fare tutto senza conseguenze, il poter sbirciare dalla “serratura” di quelle sei ore la libertà e l’impunità.

Marina Abramovic nella Rythm 0 di Napoli

Marina Abramovic nella Rythm 0 di Napoli

Dapprima le reazioni furono pacate fra chi faceva foto e chi qualche toccatina coraggiosa, ma dopo un’ora la curiosità ha prevalso e da li l’istinto e la bestialità, l’emotività sfrenata e l’ebbrezza della scoperta. Marina venne denudata, ferita, palpata, legata, fra chi le asciugava le lacrime di dolore e chi le succhiava il sangue dal collo e, persino, chi le mise la pistola in mano poggiandole il dito sul grilletto. L’artista, in tutto questo, rimase passiva, muta eccetto i gemiti di dolore, “un burattino” come si definì lei stessa, nelle mani del pubblico. Poi, scadute le sei ore, iniziò a muoversi, a ricomporsi e a camminare con passo fiero fra la folla che l’aveva torturata. Così, Marina mostrò un’altra faccia dell’animo umano: la vergogna. Tutti quelli che avevano utilizzato il suo corpo come meglio credevano non riuscirono a sostenere lo sguardo della donna, si allontanavano da lei a testa bassa, quasi a negare quanto avevano fatto nelle ore precedenti.

Ecco cosa produce l’arte dell’ Abramovic, ecco cosa ha turbato così tanto il mondo intero al punto da vietare le sue esibizioni in moltissimi paesi che si definiscono moderni. E’ un’arte dissacrante che tira fuori la vera natura dell’uomo, mette, inevitabilmente, di fronte alla bestialità, al nostro essere animali senzienti, che priva il pubblico della morale, dei limiti imposti dalla società e lo trasporta verso i confini della curiosità e di un’impulsività nemmeno immaginabile.


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