Quando l'imperatore era un dio, di Julie Otsuka.

Creato il 03 febbraio 2013 da Tazzina @tazzinadi

Julie Otsuka, Quando l'imperatore era un dio, Bollati Boringhieri


Se potete, prendetevi qualche minuto e leggete:
"Si asciugò le mani sul corpetto del vestito e si avvicinò alla gabbia. Sollevò il panno verde e aprì il gancio dello sportello. 'Vieni fuori' disse. L'uccello le salì con cautela sulla mano e la guardò. 'Sono io', disse la donna. L'uccello batté le palpebre. Aveva gli occhi neri e bulbosi, provi di centro. 'Vieni qui' disse l'uccello, 'vieni qui, adesso'. Le sembrò di sentire suo marito. Se avesse chiuso gli occhi avrebbe potuto immaginarlo lì con lei. La donna non chiuse gli occhi. Sapeva benissimo dov'era suo marito. 
(...)
Lo immaginò sdraiato, con un braccio sopra gli occhi, poi baciò l'uccello sulla testa. 'Sono qui', disse. 'Sono qui, adesso'. Gli diede un seme di girasole, che l'uccello ruppe con il becco. 'Vieni qui', ripeté. La donna aprì la finestra e posò l'uccello sul davanzale. 'Tu sei in gamba' le disse. La donna lo accarezzò sotto il mento e lui chiuse gli occhi. 'Sciocco pennuto' gli sussurrò. Poi chiuse la finestra. Adesso l'uccello era fuori, dall'altra parte del vetro. Bussò tre volte con la zampa e disse qualcosa che lei non capì. Non lo sentiva più. Picchiò anche lei sul vetro. 'Va'' disse. L'uccello batté le ali e volò sull'acero. La donna prese la scopa da dietro il fornello e andò fuori a scuotere i rami dell'albero. Spruzzi d'acqua caddero dalle foglie. 'Va'' gridò. 'Vattene via da qui'. L'uccello aprì le ali e volò via nella notte".
Spero perdonerete il piccolo gusto un po' adolescenziale di copiare parti di libri, come se questa fosse un'agenda, un vero diario di bordo delle letture, cosa che in effetti però è. 
Ma è nel ripetere più volte certe parole che ne capisco di più il significato. Alcune volte la mente rallenta, non so perché, e bisogna ripetere e ritornare piano sulle cose. 
Vi avevo già raccontato di questa meravigliosa scrittrice, qui. Nonché delle mie personali antiche correlazioni con il Giappone e del perché mi interessa così tanto. Dopo il penultimo post su 1Q84, rieccoci dunque ad avere a che fare con questa gente, questa cultura, questo mondo bellissimo. 
A pochi giorni dalla Giornata della Memoria, poi, mi pare una lettura anche interessante da un punto di vista storico, perché qui si racconta di una deportazione. Seguito di Venivamo tutte per mare, questo romanzo descrive proprio cosa accade nei primi anni Quaranta quando a Berkeley il giovane padre di origine giapponese di una famigliola come tante, apparentemente ben integrate nella società americana, viene catturato e arrestato. 
Dopo l'attacco a Pearl Harbour, i cittadini nati in Giappone, con quei tratti somatici lì, sono diventati sospetti e, di colpo, potenziali nemici. La moglie, rimasta sola con due bambini, deve quindi scegliere le poche cose da portare via con sé e partire per un lungo viaggio in treno. Destinazione: il deserto dello Utah e un villaggio di baracche recintato, senza ombra, pieno di polvere, minato di regole e restrizioni, dove resterà confinata per tre anni. 
In questo contesto di angoscia, la voce narrante, le voci anzi perché l'autrice, che qui attinge a ricordi famigliari anche, non rinuncia al respiro corale del primo romanzo, è di una grazia gentile,  malinconica, calma. 
"'Non toccarmi' disse la bambina. 'Voglio star male da sola'. 'Impossibile' disse sua madre. Continuò a strofinarle la schiena, e la bambina non la respinse'".
C'è una sorta di mondo, più sottile ma non meno struggente, che si crea nel villaggio e che mi ha ricordato La vita è bella di Benigni, perché questa madre, cui man mano finiscono i rossetti, le creme, i profumi e resta spoglia, con le sue rughe, con le sue mani che accarezzano le fronti, con i suoi sguardi stanchi e vigili, tuttavia mette le energie che le restano per occuparsi di loro, per vedere un futuro anche nell'orrore. 
Nella scena che ho trascritto tutto deve ancora compiersi. Ma lei si sta pian piano liberando delle cose, delle creature, che non potrà portare nel viaggio. In questo caso un uccellino parlante. 
Se anche nell'intimità segreta delle vostre vite vi è capitato qualcosa di vagamente analogo, potete capire cosa può significare separarsi anche dalle piccole cose care, non solo dalle grandi, dagli animali. Se conoscete questa ferita, leggerete con le vostre lenti abituate, ma anche se non vi è mai successo, è un'esperienza da capire. Da sapere.
Come anche si manifesta l'attaccamento alle proprie minuzie e attività quotidiane mentre gli eventi macroscopici del mondo provano e distruggere tutto, destabilizzando.
Siamo sul treno:
"La bambina disegnò un grande borsalino nero con una minuscola piuma infilata nel nastro. Era molto brava a disegnare. Due anni prima aveva vinto il primo premio alla Lincoln Elementary School per il disegno di una pigna. Si era semplicemente concentrata nel vedere la pigna, senza quasi mai guardare la matita, e il disegno si era fatto da sé".
Cose piccole, ma che determinano a comporre la vita di persone normali e speciali insieme. Ed è questo che continuiamo a non capire: come questo tipo di eventi storici, e se ne conoscono infiniti, possa andare a devastare proprio lì dove c'è l'innocenza. Questa è la domanda che pone il libro. Privandoci naturalmente della risposta, che nessuno ha. 
C'è solo un capitolo per così dire un po' più espressionista e vivido. Quello che dà il titolo al libro.
Quando l'imperatore era un dio.
"Era il 1942. Nello Utah. Sul finire dell'estate. Una città di baracche rivestite di carta catramata dentro una recinzione di filo spinato, su un polveroso altopiano alcalino nel deserto. Soffiava un vento caldo e secco e pioveva di rado, e il bambino lo vedeva ovunque guardasse: papà, babbo, padre, Oto-san. Perché era vero, si somigliavano tutti".
Questo padre però non c'è mai, e si manifesta solo tramite lettere che si infilano negli interstizi della narrazione, ad accrescerne l'emozione, lo strazio.
Strazio che si ripresenta al ritorno a casa, quando tutto è cambiato e, come si sa, questo tipo di esperienze sono impossibili da cancellare. 
L'ultimo capitolo, infine, dal titolo Confessione, è disarmante e lo lascio a voi, alle vostre conclusioni, che però vi anticipo non sono facili e si rimane in silenzio. Ad assimilare questa storia come un nutrimento amaro eppure inspiegabilmente nutriente.
Buona lettura.

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