Nei giorni scorsi ho avuto come paziente un mio coetaneo che aveva bisogno di molte informazioni, e altrettanto sostegno, per affrontare la sua malattia. Nel mio ruolo di infermiere ho provveduto a quanto era necessario. E credo di averlo fatto bene. Da biblioterapista, invece, ho smarrito la strada. Per quale motivo? Ho creduto che avesse bisogno dei libri quando così non era. Mi sembrava impossibile! Le sue risorse personali e le competenze che avevo messo a sua disposizione avevano dato un buon risultato: consapevolezza della malattia, chiarezza sulle informazioni riguardo il comportamento da tenere alla dimissione, acquisizione delle indicazioni terapeutiche, introiezione della sua nuova condizione in modo positivo. C'era un pò di noia da gestire. Ma lui non amava i libri. E non ne sentiva la necessità. Lo trovavo incredibile. Avevo instaurato con lui una buona sintonia. Ma di libri non serviva parlare. Neppure di fronte alle ore infinite che gli si paravano davanti. Com'era possibile?
A volte credo di essere presuntuoso. Trovo strano che le persone non amino, come me, i libri. E quando accade che a rifiutarli siano persone con cui vado d'accordo o a cui credo potrebbero servire, ne rimango esterrefatto, quasi deluso. Dimentico che personalizzare le cure da elargire significa individuare terapie adatte alla persona, e non alla malattia. Con la biblioterapia questo è ancora più vero. Chi non ama i libri non può beneficiarne. E se altre tecniche risultano più utili, questo non va considerata una sconfitta.
Lo ricordo a voi, ma soprattutto a me stesso: la biblioterapia non è la panacea di tutti i mali, bensì una grande opportunità per quanti vorranno (e potranno) utilizzarla.