Quando la fantasy incontra il realismo/1

Creato il 17 dicembre 2013 da Martinaframmartino

A volte mi faccio prendere la mano. Voi mi vedete che divago, e quando mi ci metto divago davvero tanto, ma avete idea di quanto anche i miei articoli si evolvano nel corso della scrittura? Io so fin da subito di voler dire alcune cose, ma come ci arrivo è sepre una scoperta. E a volte pure io fatico a riconoscere il punto da cui ero partita. Semplicemente se reputo il testo che sto scrivendo un articolo serio faccio del mio meglio per coprire le tracce di ogni divagazione.

In questo caso lo so. Avevo appena terminato – o stavo terminando, il che significa che mi ero fatta un’idea dell’atomsfera del libro anche se ancora non sapevo come sarebbe terminato – The Heroes di Joe Abercrombie, il che significa che eravamo nel mese di aprile. Poco meno di un anno prima avevo letto Sopravvissuti di Richard K. Morgan. Quanto a George R.R. Martin non è certo un mistero che io abbia letto una o due paginette sue. Giusto quasi tutte le sue opere tradotte in italiano, e certo tutte quelle tradotte dopo il 1999. La maggior parte anche più volte.

Martin, Morgan, Abercrombie. è così che avevo intitolato il file su cui mi ero messa a scrivere per il solo fatto che io dovevo scrivere. I romanzi di tutti e tre sono particolarmente crudi e violenti, ma c’è una progressiva perdita della magia, con un restringimento del campo d’azione, che non ho amato particolarmente e che mi ha fatto riflettere. Da quel che mi hanno detto gli altri romanzi di Abercrombie non hanno un focus così ristretto ma, anche se devo riconoscere che sa scrivere, non sento una particolare urgenza di leggere altre opere sue. Morgan a tratti mi è parso troppo compiaciuto, e non amo la sua idea di realismo, di cui ho già parlato qui: http://librolandia.wordpress.com/2012/06/26/richard-k-morgan-sopravvissuti/. Il legame fra i tre però l’ho sentito parecchio. Se qualcuno ha voglia di fare riflessioni personali sugli influssi ricordo che A Game of Thrones (Il trono di spade e Il grande inverno) è del 1996, Bay City, il primo romanzo (di fantascienza) di Morgan del 2002, Sopravvissuti del 2008, Il richiamo delle spade, primo romanzo di Abercrombie, del 2006 e The Heroes del 2011. Comunque non è qualcosa che ho percepito solo io, prova ne è il fatto che dopo aver scritto il mio articolo mi sono imbattuta in questo articolo di Abercrombie:

http://www.joeabercrombie.com/2013/07/04/a-movement-within-fantasy/.

Non me ne sono lasciata influenzare. Anche se il mio articolo è stato pubblicato oltre un mese dopo, lo avevo consegnato in redazione una prima volta in maggio. Poi ho dovuto revisionarlo diverse volte, perché in quest’occasione Emanuele Manco voleva leggere un articolo più lungo di quel che io avevo già scritto e continuava a suggerirmi spunti interessanti di cui parlare. A luglio comunque il mio testo era già pronto, e poi ero andata in un’altra direzione. Aggiungere questi commenti, per quanto interessanti, avrebbe comportato un lavoro di riscrittura più grande di quello che mi sentivo di affrontare in quel momento. Ne segnalo giusto una frase:

Then I read GRRM’s Game of Thrones and saw that it was possible to do something daring, unpredictable, gritty and character-centred while still writing in the commercial core of the genre – I saw a lot of what I felt had been missing very clearly expressed in that series.

Io ho preso un’altra strada, e anche se parte di quello che ho scritto è nato grazie ad alcuni commenti di Emanuele, sono comunque bravissima ad allargare i discorsi a macchia d’olio, magari approfittando di quello che sto scrivendo per parlare, ancora una volta, di ciò che piace a me. Quello che segue è il primo pezzo dell’articolo.

Quando la fantasy incontra il realismo

Nel 2011 nel tentativo di incuriosire spettatori solitamente poco interessati al genere fantasy David Benioff aveva affermato che Il trono di spade era “I Soprano ambientato nella Terra di Mezzo”. Una forzatura, ovvio, ma che contiene un nocciolo di verità: la storia, basata sul romanzo A Game of Thrones di George R.R. Martin, è sì ambientata in un universo fantastico nel quale vivono — o sono vissute — creature immaginarie come i draghi e altri esseri misteriosi ancora più temibili, ma prima di tutto è una storia di persone. Il nucleo fondamentale della trama è costituito dai protagonisti con le loro passioni e le loro storie intrecciate di amori e rivalità, con conflitti nella lotta per il potere e un uso spietato di qualunque mezzo abbiano a disposizione.

La risposta del pubblico, che ha seguito con un entusiasmo crescente le tre stagioni che sono state fino a ora realizzate e che ha spedito i romanzi delle Cronache del ghiaccio e del fuoco in cima alle classifiche di vendita, dimostra che Benioff aveva ragione e che la storia narrata da Martin, dal suo co-produttore D.B. Weiss e da lui stesso ha raggiunto un pubblico ben più vasto di quello tradizionale del genere fantasy.

Questa è, per ripetere uno dei tanti slogan promozionali che abbiamo sentito in questi anni, una storia fantasy per chi non ama il fantasy. Può essere un passo importante per una maggiore considerazione del genere da parte di chi ha sempre ritenuto i generi come una forma espressiva inferiore rispetto al mainstream, ma è vero anche che questa è una storia che sta spostando i confini del genere stesso.

Il fantasy: le caratteristiche di un genere

Qual è quella caratteristica che ci fa dire che una determinata opera appartiene al genere fantasy? Non è una domanda facile, anche se tutti siamo in grado di elencare senza problemi un buon numero di opere e di autori che vi appartengono di diritto. John Grant e Ron Tiner, che hanno redatto la relativa voce nell’Encyclopedia of Fantasy (1), hanno spiegato come nessuna definizione sia soddisfacente, e che anche il contrasto con il realismo non sia così indiscutibile visto che ciascuna epoca o cultura ritiene realistiche cose diverse.

Non solo, definire come prettamente fantasy le opere di scrittori come Jorge Luis Borges, Julio Cortazar, Gabriel Garcia Marquez o degli altri autori appartenenti al Realismo magico, filone nel quale alcuni elementi magici vengono inseriti in un contesto per il resto perfettamente realistico, sarebbe una forzatura che renderebbe inutile ogni tentativo di distinguere il genere dal resto della letteratura.

Più semplice, anche se non esaustivo, è definire il genere in base alla presenza di alcuni elementi che lo contraddistinguono, primo fra tutti l’ambientazione della storia in un mondo secondario (2). La Terra di Mezzo descritta da J.R.R. Tolkien non è meno viva dei personaggi che la abitano. E, dall’immaginaria Narnia di C.S. Lewis al mondo di Shannara di Terry Brooks, dall’arcipelago di Earthsea di Ursula K. Le Guin al mondo di Roshar di Brandon Sanderson, uno dei principali impegni degli scrittori è stato quello di costruire un mondo favoloso e affascinante dotato di una propria storia, di regole ben precise sull’utilizzo della magia e spesso abitato da razze fantastiche.

Una delle saghe più importanti degli ultimi anni è quella della Ruota del Tempo di Robert Jordan. Ciascuno dei quattordici romanzi che la compongono inizia con le stesse frasi: “La Ruota del Tempo gira e le Epoche si susseguono, lasciando ricordi che divengono leggenda; la leggenda sbiadisce nel mito, ma anche il mito è ormai dimenticato, quando ritorna l’Epoca che lo vide nascere. In un’Epoca chiamata da alcuni Epoca Terza, ‘un’Epoca ancora a venire, un’Epoca da gran tempo trascorsa’, il vento si alzò nelle Montagne di Nebbia. Il vento non era l’inizio. Non c’è inizio né fine, al girare della Ruota del Tempo. Ma fu comunque un inizio.” (3)

L’inizio ha un tono epico, porta immediatamente il lettore in un altro tempo e in un altro luogo, un po’ come il “c’era una volta” delle fiabe, opere che tanto hanno in comune con la fantasy. È l’ingresso nel mondo secondario.

“Inizi del genere”, spiega Bruno Bettelheim (4), “suggeriscono che quanto segue non si riferisce al luogo e all’epoca che noi conosciamo. Quest’indeterminatezza voluta all’inizio delle fiabe simboleggia che stiamo per lasciare il mondo concreto della realtà di tutti i giorni. Antichi manieri, oscure caverne, stanze chiuse a cui è vietato l’accesso, foreste impenetrabili, suggeriscono tutti che qualcosa che di regola è nascosto verrà rivelato, mentre la frase “tanto tempo fa” indica che saremo portati a conoscenza di fatti quanto mai remoti”. Fatti remoti che parlano di noi, del nostro tempo e dei nostri sogni perché “si occupano di problemi umani universali” (5). E, come il bambino si identifica nel protagonista della fiaba, l’adulto può ritrovare la propria storia — o una storia che per lui ha una profonda risonanza — in un mondo inventato.

Note

1) Edited by John Clute and John Grant, The Encyclopedia of Fantasy, 1999, Orbit, London, pagg. 337-340.

2) La maggior parte delle opere fantasy si svolge in un altro mondo o, per usare la definizione di Tolkien, in un mondo secondario, ma questo non è necessariamente vero per tutte. Gli urban fantasy sono ambientati nella nostra realtà, dalla quale si discostano solo per alcuni particolari elementi. Se negli ultimi anni questo particolare sottogenere è particolarmente fiorente, le sue radici affondano nel passato. Un esempio famosissimo è Il ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde.

3) Robert Jordan, The Eye of the World, 1990, trad.it. L’occhio del mondo, Fanucci, Roma, 2002, pag. 21.

4) Bruno Bettelheim, The Uses of Enchantment. The Meaning and Importance of Fairy Tales, Alfred A. Knopf, New York, 1976, trad.it. Il mondo incantato. Uso, importanza e significati psicoanalitici delle fiabe, Feltrinelli, Milano, 2006, pag. 63.

5) Bettelheim, op.cit., pag. 11.



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