Quando la fantasy incontra il realismo/3

Da Martinaframmartino

Le cronache del ghiaccio e del fuoco di George R.R. Martin

Lo stesso tipo di tormento si ritrova nei personaggi di George R.R. Martin, autore in genere ritenuto più realistico di Robert Jordan. Una delle caratteristiche più note delle storie di Martin è la frequenza con cui lo scrittore uccide personaggi anche di primo piano, importantissimi fino a poche righe prima in quel gioco del trono che ormai va avanti da molti anni fino a quando non li cancella dalla storia con una manciata di parole. Jordan uccide personaggi secondari, ma perché la stessa sorte capiti a qualcuno di quelli principali bisogna andare ben avanti nella Ruota del Tempo.

Sono molti gli elementi che separano le due saghe. Il diverso peso della magia, il tasso di mortalità, la presenza del male assoluto, anche se non si può escludere che gli Estranei martiniani possano in futuro interpretare questo ruolo. Eppure i personaggi dei due autori sono ugualmente umani e allo stesso modo faticano fra mille incertezze per costruire il loro futuro. La distanza maggiore fra le due saghe, probabilmente, è costituita dal fatto che lo sguardo di Martin è puntato più in basso, verso il quotidiano.

Martin si è spesso lamentato (15) che molti fantasy più che il Medioevo ricordino Dysneyland. Ci sono castelli, principesse e cavalieri, ma questa è solo la superficie. Mancano cose pure presenti a quei tempi come i cani che razzolavano nei saloni o la malattia e le carestie, così come manca la comprensione di cosa siano davvero le differenze sociali. Tutti elementi che nella sua saga sono invece ben presenti e che, insieme alla straordinaria caratterizzazione dei personaggi, l’hanno fatta amare anche da chi non ama il fantasy.

I romanzi di Guy Gavriel Kay sono poetici. Quelli di Jordan stupiscono per la quantità di elementi che lo scrittore ha saputo creare. Quelli di Martin sono concreti. I personaggi hanno la stessa solidità, le trame sono ugualmente ben costruite e capaci di sorprendere, ma l’impressione generale che se ne ricava è molto diversa. Questo non significa che uno degli scrittori sia più bravo dell’altro, semplicemente sono interessati a risultati diversi.

Ciascuno ha seguito la sua strada ma, quando un autore ha successo come hanno avuto Jordan o Martin, le sue opere iniziano a influenzare quelle degli altri. L’influenza di Robert la si può vedere nel proliferare di saghe dalle dimensioni enormi. Lo stesso Martin ma anche Terry Goodkind, Steven Erikson e Brandon Sanderson hanno costruito — o stanno costruendo — storie dalle dimensioni impensabili fino a una ventina di anni fa. Non per nulla Jordan aveva venduto al suo editore i diritti per una trilogia anche se fin dall’inizio sapeva che i libri che avrebbero costituito la sua saga sarebbero stati almeno sei.

L’influenza di Martin è legata all’altezza della visione, posta quasi a livello del suolo per cogliere al meglio la concretezza di ogni dettaglio. I personaggi muoiono, i cani razzolano nei saloni e non ci sono veri cavalieri. Può essere investito di questo titolo persino un mostro di ferocia quale Gregor Clegane, e l’uso delle armi non è mai senza conseguenze.

I Sopravvissuti di Richard K. Morgan

Nei Sopravvissuti Richard K. Morgan narra la storia di alcuni personaggi segnati da quanto è accaduto in passato nelle loro vite. La guerra, come in Martin, è una cosa sporca, e influisce su chi la vive. Il linguaggio non è più depurato da elementi scurrili, e solo gli elementi fantastici ricordano al lettore che quella che sta leggendo non è una storia vera. La corruzione e i pregiudizi non hanno nulla da invidiare al nostro mondo, e anzi Morgan ha esplicitamente affermato che il suo intento nello scrivere narrativa è di dire qualcosa sul mondo reale. Non parla di temi mitici come Dovere, Potere ed Eroismo, ma di rapporti fra potere politico e potere religioso o di come una società possa essere controllata attraverso il fondamentalismo e il dogmatismo.

In una storia di questo tipo gli eroi sono davvero dei sopravvissuti, perché ogni vittoria si ottiene a caro prezzo e la vita idilliaca di tante ambientazioni fantastiche non è assolutamente possibile.

In più se in passato c’erano già stati personaggi omosessuali in opere fantasy, Morgan sottolinea l’omosessualità di Ringil come nessuno aveva mai fatto prima.

Lo scrittore ha scelto di usare il fantasy come base per creare un’ambientazione senza doversi occupare di quelle ricerche meticolose che sarebbero state necessarie per un romanzo storico, in modo da poter narrare la storia che gli interessava con una maggiore libertà.

Tornando alla definizione iniziale anche questo potrebbe essere un fantasy per chi non ama il fantasy nel senso che, nonostante la presenza di diversi elementi non spiegabili con la sola ragione o secondo le nostre leggi fisiche, anche qui l’accento dello scrittore è posto sui personaggi e sule varie relazioni, umane e sociali, e il tipo di attenzione per i dettagli è lo stesso di Martin. Morgan ha esordito come scrittore di fantascienza, e probabilmente questo genere lo ha indirizzato vero il realismo più che verso lo sguardo elevato dell’epica o verso un’atmosfera nostalgica e fantastica che gli appare semplicistica (16).

The Heroes di Joe Abercrombie

Un ulteriore passo in questa direzione è stato compiuto da Joe Abercrombie con il romanzo The Heroes. Abercrombie non è il primo autore fantasy a narrare storie di guerra. Negli anni passati lo avevano già fatto, fra gli altri, Glen Cook o James Barclay. Quello che Joe ha fatto è stato unire l’attenzione agli elementi meno piacevoli o eroici e per questo più trascurati a un linguaggio (mai inutilmente) sboccato con una focalizzazione su un luogo e un tempo molto ristretti, quelli di una battaglia lunga tre giorni. Non sempre lo scrittore si concentra su storie così circoscritte, nel Richiamo delle spade il mondo nel quale si muovono i suoi personaggi è molto più ampio e caratterizzato, e gli elementi magici hanno la loro importanza pur con un modo di tratteggiare la situazione socio-politica che potrebbe far pensare a un romanzo storico. Quella di The Heroes perciò è una scelta deliberata di scrivere esattamente quel tipo di storia.

La quantità di elementi magici non è poi così lontana da quanto già visto in The Lions of Al-Rassan e i personaggi emergono dalla pagina con la stessa forza, ma l’effetto finale è molto diverso. Kay è coinvolgente e almeno una svolta della trama è devastante da un punto di vista emotivo, ma la storia ha un respiro ampio e anche nei momenti più forti non si sofferma mai sui dettagli realistici poco piacevoli a meno che non abbiano una precisa funzione. Il libro di Abercrombie è un pugno nello stomaco, crudo e realistico e a tratti disturbante.

La valle di Osrung non fa parte del nostro mondo solo perché le nostre conoscenze geografiche ci assicurano che non esiste, così come la nostra storia non ricorda nessuna battaglia come quella di The Heroes. Eppure tutto ha una tale sensazione di autenticità che questi fatti potrebbero essere veri, e se dimentichiamo i dettagli di nomi e località quanto leggiamo è vero. I dubbi, la sofferenza, i tentativi di sopravvivere e di volgere la situazione al meglio, i piani e la loro applicazione, riuscita o fallita, la paura, la fatica, le mutilazioni, la morte, la descrizione anche di elementi spiacevoli come gli escrementi, sono tutte cose reali, che persone reali hanno provato nel corso delle innumerevoli battaglie combattute lungo la storia del nostro pianeta. Il quadro d’insieme è una finzione, ma ogni singola scena può essere stata vissuta da persone reali che in momenti diversi hanno calcato il suolo della Terra.

The Heroes è un fantasy che potrebbe essere un romanzo storico. Lo sguardo è basso, a livello del suolo e di chi lotta per portare a casa la pelle in qualunque modo, anche se non tutte le opere di Abercrombie hanno una focalizzazione così ristretta. Morgan ha lo stesso sguardo ma mantiene un mondo più vasto, nel quale gli elementi fantasy hanno la loro importanza. La crudezza è anche una delle caratteristiche fondamentali del Principe dei fulmini di Mark Lawrence, romanzo ambientato in un mondo chiaramente fantasy. Tutte opere pubblicate fra il 2008 e il 2011, quando ormai Martin e le sue Cronache avevano già raggiunto una fama notevole, in seguito enormemente accentuata dalla serie televisiva.

Conclusioni

Per molto tempo la fantasy post-tolkieniana ha dovuto fare i conti con l’eredità del professore di Oxford. A volte ne ha ripreso gli spunti per creare qualcosa di nuovo, più spesso, negli autori meno dotati, si è fermata alla semplice imitazione. Ora c’è un nuovo modello che parla di realismo e di dettagli tutt’altro che affascinanti, un modello che sposta i confini di un genere fino a poco tempo fa ritenuto semplicemente non realistico. Potrà non piacere a tutti, e certamente non è adatto a tutti gli autori. La maggior parte di loro sta giustamente continuando a scrivere come ha sempre fatto, rimanendo fedele alla propria visione, ma i romanzi di Martin hanno fatto vedere che esiste anche un’altra possibilità, e diversi scrittori hanno già iniziato a esplorarla. La fantasy può essere anche più realistica di un’opera storica se, come nei casi di Morgan o Abercrombie, chi se ne occupa ha davvero qualcosa da dire e utilizza gli strumenti che ha a disposizione per mostrare ai lettori la propria visione. Che piacciano o meno, storie di questo tipo distruggono il pregiudizio comune che queste siano solo “favolette per bambini”.

Note

15) Sono molte le interviste nelle quali Martin ha toccato l’argomento. Mi limito a segnalare quella condotta nel gennaio del 2001 da Linda Richards per January Magazine (http://www.januarymagazine.com/profiles/grrmartin.html) e quella di John Hodgman del 19 settembre 2011 per Maximum Fun (http://www.maximumfun.org/sound-young-america/george-r-r-martin-author-song-ice-and-fire-series-interview-sound-young-america).

16) The Real Fantastic Stuff, an essay by Richard K. Morgan, articolo pubblicato il 18 febbraio 2009 su Suvudu: http://suvudu.com/2009/02/the-real-fantastic-stuff-an-essay-by-richard-k-morgan.html.


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