Le cronache del ghiaccio e del fuoco di George R.R. Martin
Sono molti gli elementi che separano le due saghe. Il diverso peso della magia, il tasso di mortalità, la presenza del male assoluto, anche se non si può escludere che gli Estranei martiniani possano in futuro interpretare questo ruolo. Eppure i personaggi dei due autori sono ugualmente umani e allo stesso modo faticano fra mille incertezze per costruire il loro futuro. La distanza maggiore fra le due saghe, probabilmente, è costituita dal fatto che lo sguardo di Martin è puntato più in basso, verso il quotidiano.
Martin si è spesso lamentato (15) che molti fantasy più che il Medioevo ricordino Dysneyland. Ci sono castelli, principesse e cavalieri, ma questa è solo la superficie. Mancano cose pure presenti a quei tempi come i cani che razzolavano nei saloni o la malattia e le carestie, così come manca la comprensione di cosa siano davvero le differenze sociali. Tutti elementi che nella sua saga sono invece ben presenti e che, insieme alla straordinaria caratterizzazione dei personaggi, l’hanno fatta amare anche da chi non ama il fantasy.
Ciascuno ha seguito la sua strada ma, quando un autore ha successo come hanno avuto Jordan o Martin, le sue opere iniziano a influenzare quelle degli altri. L’influenza di Robert la si può vedere nel proliferare di saghe dalle dimensioni enormi. Lo stesso Martin ma anche Terry Goodkind, Steven Erikson e Brandon Sanderson hanno costruito — o stanno costruendo — storie dalle dimensioni impensabili fino a una ventina di anni fa. Non per nulla Jordan aveva venduto al suo editore i diritti per una trilogia anche se fin dall’inizio sapeva che i libri che avrebbero costituito la sua saga sarebbero stati almeno sei.
L’influenza di Martin è legata all’altezza della visione, posta quasi a livello del suolo per cogliere al meglio la concretezza di ogni dettaglio. I personaggi muoiono, i cani razzolano nei saloni e non ci sono veri cavalieri. Può essere investito di questo titolo persino un mostro di ferocia quale Gregor Clegane, e l’uso delle armi non è mai senza conseguenze.
I Sopravvissuti di Richard K. Morgan
In una storia di questo tipo gli eroi sono davvero dei sopravvissuti, perché ogni vittoria si ottiene a caro prezzo e la vita idilliaca di tante ambientazioni fantastiche non è assolutamente possibile.
In più se in passato c’erano già stati personaggi omosessuali in opere fantasy, Morgan sottolinea l’omosessualità di Ringil come nessuno aveva mai fatto prima.
Lo scrittore ha scelto di usare il fantasy come base per creare un’ambientazione senza doversi occupare di quelle ricerche meticolose che sarebbero state necessarie per un romanzo storico, in modo da poter narrare la storia che gli interessava con una maggiore libertà.
Tornando alla definizione iniziale anche questo potrebbe essere un fantasy per chi non ama il fantasy nel senso che, nonostante la presenza di diversi elementi non spiegabili con la sola ragione o secondo le nostre leggi fisiche, anche qui l’accento dello scrittore è posto sui personaggi e sule varie relazioni, umane e sociali, e il tipo di attenzione per i dettagli è lo stesso di Martin. Morgan ha esordito come scrittore di fantascienza, e probabilmente questo genere lo ha indirizzato vero il realismo più che verso lo sguardo elevato dell’epica o verso un’atmosfera nostalgica e fantastica che gli appare semplicistica (16).
The Heroes di Joe Abercrombie
La quantità di elementi magici non è poi così lontana da quanto già visto in The Lions of Al-Rassan e i personaggi emergono dalla pagina con la stessa forza, ma l’effetto finale è molto diverso. Kay è coinvolgente e almeno una svolta della trama è devastante da un punto di vista emotivo, ma la storia ha un respiro ampio e anche nei momenti più forti non si sofferma mai sui dettagli realistici poco piacevoli a meno che non abbiano una precisa funzione. Il libro di Abercrombie è un pugno nello stomaco, crudo e realistico e a tratti disturbante.
La valle di Osrung non fa parte del nostro mondo solo perché le nostre conoscenze geografiche ci assicurano che non esiste, così come la nostra storia non ricorda nessuna battaglia come quella di The Heroes. Eppure tutto ha una tale sensazione di autenticità che questi fatti potrebbero essere veri, e se dimentichiamo i dettagli di nomi e località quanto leggiamo è vero. I dubbi, la sofferenza, i tentativi di sopravvivere e di volgere la situazione al meglio, i piani e la loro applicazione, riuscita o fallita, la paura, la fatica, le mutilazioni, la morte, la descrizione anche di elementi spiacevoli come gli escrementi, sono tutte cose reali, che persone reali hanno provato nel corso delle innumerevoli battaglie combattute lungo la storia del nostro pianeta. Il quadro d’insieme è una finzione, ma ogni singola scena può essere stata vissuta da persone reali che in momenti diversi hanno calcato il suolo della Terra.
Conclusioni
Per molto tempo la fantasy post-tolkieniana ha dovuto fare i conti con l’eredità del professore di Oxford. A volte ne ha ripreso gli spunti per creare qualcosa di nuovo, più spesso, negli autori meno dotati, si è fermata alla semplice imitazione. Ora c’è un nuovo modello che parla di realismo e di dettagli tutt’altro che affascinanti, un modello che sposta i confini di un genere fino a poco tempo fa ritenuto semplicemente non realistico. Potrà non piacere a tutti, e certamente non è adatto a tutti gli autori. La maggior parte di loro sta giustamente continuando a scrivere come ha sempre fatto, rimanendo fedele alla propria visione, ma i romanzi di Martin hanno fatto vedere che esiste anche un’altra possibilità, e diversi scrittori hanno già iniziato a esplorarla. La fantasy può essere anche più realistica di un’opera storica se, come nei casi di Morgan o Abercrombie, chi se ne occupa ha davvero qualcosa da dire e utilizza gli strumenti che ha a disposizione per mostrare ai lettori la propria visione. Che piacciano o meno, storie di questo tipo distruggono il pregiudizio comune che queste siano solo “favolette per bambini”.
Note
15) Sono molte le interviste nelle quali Martin ha toccato l’argomento. Mi limito a segnalare quella condotta nel gennaio del 2001 da Linda Richards per January Magazine (http://www.januarymagazine.com/profiles/grrmartin.html) e quella di John Hodgman del 19 settembre 2011 per Maximum Fun (http://www.maximumfun.org/sound-young-america/george-r-r-martin-author-song-ice-and-fire-series-interview-sound-young-america).
16) The Real Fantastic Stuff, an essay by Richard K. Morgan, articolo pubblicato il 18 febbraio 2009 su Suvudu: http://suvudu.com/2009/02/the-real-fantastic-stuff-an-essay-by-richard-k-morgan.html.