Quando la Moglie è in Vacanza: Pruriti e Paure dell’Uomo Qualunque

Creato il 16 gennaio 2014 da Dietrolequinte @DlqMagazine
Giuseppe Floriano Bonanno 16 gennaio 2014 teatro, vedere Nessun commento

Uno dei grandi temi che, da sempre, affollano film, pièce teatrali e romanzi è indubbiamente quello dei comportamenti e delle relazioni tra maschi e femmine; in questo filone si inserisce alla perfezione, essendone forse uno dei manifesti più illustri ed ammirati Quando la moglie è in vacanza, che il Teatro EuropAuditorium propone nel suo cartellone in una versione diretta da Alessandro D’Alatri con musiche originali scritte da Renato Zero. Il testo di George Axelrod fu messo in scena per la prima volta a Broadway nel 1952, salutato da un grande successo di critica e pubblico. Tutti però rammentano forse meglio l’adattamento cinematografico che ne fece nel 1955 Billy Wilder e che fu portato al successo planetario dalla forte e conturbante presenza di Marilyn Monroe. Nel 2000 il film è poi stato inserito dall’American Film Institute (AFI) al cinquantunesimo posto fra le cento migliori commedie americane di tutti i tempi. Il tema è noto, e meglio ancora lo rende il titolo originale dell’opera, The Seven Year Itch (Il prurito del settimo anno): l’autore ha infatti l’intento di prendere in esame le manie erotiche dell’uomo medio e di portare un feroce, ma sottile, attacco al fatuo perbenismo della middle class americana degli anni ’50. L’alter ego di quest’uomo, combattuto tra bisogni e paure, desideri e convenzioni sociali, è una ragazza dallo spirito libero, che cerca di esprimere sé stessa nel patinato mondo della moda e della pubblicità, che contagia chi gli sta intorno con una prorompente fisicità. La fotografia che ci viene trasmessa è dunque quella di una strana coppia formata dal classico, banale, uomo irrisolto di mezza età e dalla giovane donna che, sotto l’apparente aria di oca giuliva, nasconde invece una forte personalità, ma anche una evidente fragilità emotiva.

L’avversario dell’uomo “sistemato” è la routine, la quotidianità di un rapporto consolidato da anni, dove tutto viene ormai dato per scontato e nulla più emoziona o semplicemente intriga, e solo l’apparire di una donna giovane, con cui il gap generazionale e mentale è palese, può essere la scintilla che rimette in circolo neuroni e desideri assopiti. Su questi piani delicati e complessi si dipana l’analisi caratteriale dei protagonisti e, meglio ancora, quella di genere, suggerendoci quasi l’idea che il maschio, più che subire l’attrazione della donna giovane e bella, sia in realtà spaventato da quella che pare una irraggiungibile opportunità. A distanza di più di sessant’anni dal suo debutto il testo mantiene ancora tutta la sua attualità e si presenta come uno sguardo senza preconcetti di sorta sui meccanismi del corteggiamento e dei comportamenti posti in essere nelle relazioni tra uomo e donna. Un Massimo Ghini istrionico, un po’ gigione, un po’ furbetto, entra perfettamente nella parte e ci regala un’interpretazione convincente, sia nelle parti recitate sia in quelle cantate; Elena Santarelli cattura invece la platea con la sua prorompente vitalità e sensualità, ma ha un fantasma contro cui combattere che si chiama Marilyn, impossibile da sconfiggere. Insomma, una lotta impari dalla quale però non esce completamente schiacciata.

Piuttosto, se c’è qualcosa che non convince appieno è il tentativo di attualizzare l’ambientazione e i dialoghi, cosa che finisce per far perdere qualcosa alla verve elettrizzante dell’originale, rallentandone i ritmi e rendendo qualche passaggio di difficile fruizione. La strada seguita dal regista è quella di introdurre in scena meccanismi e soluzioni tecniche innovative, attraverso la proiezione di frammenti visivi, in luogo dei sogni e dei flashback del film, che dovrebbero vivificare e rendere più tangibili le ansie e le proiezioni mentali dei protagonisti, ma che finiscono, invece, per frammentare il continuum narrativo appesantendolo. Il tutto, se da una parte diverte e fa pensare, perché se è vero che il testo è una commedia, tuttavia introduce anche elementi che inquietano, dall’altra lascia invece un retrogusto amaro, perché, come spesso accade, vincere il confronto con un precedente così illustre ed amato è cosa praticamente impossibile. Lo spettacolo si lascia ammirare, grazie alla bravura indubbia dei protagonisti, ma forse è troppo patinato e reinventato per convincere fino in fondo, non avendo la freschezza e l’immediatezza contagiosa della pellicola di Wilder.


Potrebbero interessarti anche :

Possono interessarti anche questi articoli :